Scuole chiuse in tutta Italia, ma didattica attiva. Questo è l’input che proviene dal Miur, ma prima ancora è stata questa la scelta quasi immediata, che hanno fatto alcune scuole e alcuni docenti, che da anni sono impegnati nella didattica col digitale.
La ministra Lucia Azzolina venerdì 6 marzo, in un messaggio postato sui suoi canali social, ha chiesto agli studenti di fare buon uso degli strumenti digitali perché in questo momento sono preziosi. Rivolgendosi ai ragazzi più grandi ha chiesto loro di supportare i docenti, aiutandoli a fare sempre meglio: “L’interruzione forzata sta ricordando a tutti quanto la scuola manchi e sia il motore del Paese”.
Proviamo di seguito a tracciare un modello di lesson plan per la didattica online.
I dispositivi digitali non sono più “il male”?
Solo qualche settimana prima, come accadeva ormai periodicamente da almeno cinque o sei anni, i dispositivi digitali sembravano per molti il male assoluto e ciclicamente sui giornali, in tv e sui social scoppiava qualche polemica su come e se utilizzare le tecnologie digitali a scuola e a casa. Ora il “se” è stato (finalmente) abolito e ci stiamo arrovellando sul “come”. Sono preziosi e, direi, indispensabili perché la scuola rimanga viva e non si fermi. Nel corso delle prime due settimane di sospensione delle attività scolastiche, i docenti si sono diretti in tre direzioni diverse, dividendosi in queste categorie: gli apocalittici, gli integrati e i volenterosi.
I docenti apocalittici
Gli apocalittici manifestano un atteggiamento critico verso le iniziative di didattica a distanza, come se non fosse previsto nelle competenze del docente avere anche una professionalità adatta a realizzare percorsi di didattica online (e invece è scritto nel contratto, anche se si parla di informatica e non di digitale) e questa richiesta fosse l’ennesima forzatura di un sistema scolastico ormai corrotto dal digitale e dalla tecnologia. Forse a questa categoria potrebbero appartenere quei docenti, che non hanno mai praticato il digitale a scuola nella quotidianità e sono sempre stati un po’ sospettosi e scettici. Ora, ricevendo ordini di servizio dalla scuola (e dalla ministra) per attivarsi in tal senso, allegano nel registro elettronico della classe pagine del libro di testo in pdf e chiedono agli studenti di svolgere in un giorno quantità di esercizi che normalmente assegnerebbero da una settimana all’altra oppure registrano voti insufficienti a chi non si trova davanti allo schermo alle 8.15, pronto per l’avvio delle lezioni. Gli apocalittici si lamentano e aspettano di tornare in classe, per rimproverare di persona gli studenti immaturi e inadempienti, e riprendere le loro lezioni alla lavagna, tracciando col gesso definizioni di grammatica o formule di fisica.
I docenti integrati
Gli integrati invece abbracciano consapevolmente la lezione online perché erano immersi nella didattica digitale già da tempo, tra un rimprovero dell’apocalittico e una invettiva del genitore affetto da “Retrotopia”, cioè quella convinzione per cui il passato è sempre meglio del presente e del futuro (definizione di Baumann, che in questo momento, almeno a me, manca particolarmente): sono esperti di applicazioni, piattaforme, strumenti digitali e comunicazione online. Offrono generosamente le loro competenze sui social o sul loro canale Youtube, abitando più o meno tutti i media disponibili. Finalmente il digitale, snobbato dai colleghi e talvolta anche dai dirigenti scolastici, è la frontiera che arriva e loro ci stavano già dentro da un pezzo.
I docenti volenterosi
La terza categoria è quella dei volenterosi: non si sentono digitali, avrebbero magari desiderato esserlo prima, ma troppe incertezze e dubbi li avevano sempre inibiti. Molti di loro si sono riconosciuti impreparati per questa situazione, ma non si può più rinviare e si sono rimboccati le maniche. Hanno acceso smartphone e tablet, infilato le cuffiette e affollano i webinar, scaricando applicazioni di ogni genere, chiedendo consigli e suggerimenti nei gruppi professionali su Facebook. Questo mi dà molta fiducia: forse serviva una spintarella e quella è arrivata, per sbloccare i lucchetti e aprire le possibilità di sviluppo delle strategie e delle didattiche finora congelate. Vorrei che questi colleghi rimanessero dove sono, da questa parte della barricata, e si ricordassero che cosa ha significato per loro e per i loro studenti esserci, anche in questo contesto di isolamento, confusione, preoccupazione, paura. Vorrei che domani, quando la scuola sarà anche quella di prima (lo sarà?), continuassero a portare avanti le loro competenze, la loro professionalità come insegnanti che non escludono le tecnologie per l’apprendimento, sia a casa che a scuola, accettando con serenità che il digitale è stata ed è una eccezionale opportunità come queste settimane stanno confermando.
Come ricreare il clima della classe davanti a uno schermo?
In ogni caso tutti i docenti italiani si sono trovati a fare i conti con una giornata scolastica che non è paragonabile alla giornata in presenza a scuola. Per questo non si può (e non si deve) pretendere che docenti e studenti stiano davanti ad uno schermo per sei ore di seguito. Il docente che prepara tutte le attività per una didattica a distanza investe molto del suo tempo e delle sue energie nella preparazione non solo dei materiali, che saranno personalizzati per i suoi studenti (e ricordiamoci gli studenti: con Dsa, con disabilità, con difficoltà, con scarsa attenzione, con necessità di muoversi), ma anche delle interazioni che dovrà guidare e dei feedback che dovrà raccogliere. Non ci sono alzate di mano, sguardi obliqui, richieste di andare al bagno a puntellare le ore di lezione: come ricreare il clima della classe attraverso uno schermo? Come comprendere se la studentessa, che in aula sarebbe stata in quarta fila, sta partecipando attivamente al lavoro proposto? Che cosa chiedere e in quanto tempo agli studenti che, seppur a casa, non sono in vacanza e non vivono una situazione semplice?
Un modello di Lesson plan per la didattica online
Proviamo a tracciare un modello di Lesson plan per la didattica online, senza ritorno in aula il giorno dopo. Si deve andare per piccoli passi: lezioni brevi (dieci-quindici minuti di parole, il resto interazioni progressive) e attività con feedback quasi immediato: a voce, per iscritto, con un’applicazione come Kahoot o Quizlet un messaggio, un emoticon. Molte app stanno donando fino a maggio o a luglio 2020, per le zone interessate dal Covid 19, la possibilità di utilizzare la versione premium, ma in modalità gratuita. Questo consente di far accedere molti studenti contemporaneamente e di avere funzioni speciali, che nella versione free non sarebbero disponibili.
Il tempo della lezione non è solo quello della didattica ma, così come era in classe per chi ha da sempre utilizzato le tecnologie didattiche digitali, va monitorato il corretto funzionamento della eventuale piattaforma, degli strumenti digitali di comunicazione ed è necessario capire come intervenire nel caso qualcosa non funzionasse (Prof. Non mi funziona l’audio, non vedo lo schermo, non riesco a vedere lei …).
Bisogna decidere una netiquette da rispettare e avviare un nuovo patto formativo con le famiglie, che predispongano insieme ai figli il setting che una volta era d’aula e ora invece è il salotto, la cucina, la camera dello studente.
Va predisposto uno scenario metodologico e organizzativo: se è in quale misura è prevista una partecipazione attiva dello studente, in quali momenti del collegamento o dell’attività completa, come saranno regolate le eventuali consegne e scadenze post collegamento, quale percorso di apprendimento attivare (scenario della Flipped Classroom, apprendimento autentico con sfide progressive e generative, Problem o Project Based Learning…).
Il docente deve anche immaginare una trasformazione dei contenuti che avrebbe affrontato con la classe, tenendo conto di quali siano ora, in questo momento, i veri interessi e le autentiche preoccupazioni degli studenti, affondando le unghie nella concretezza di ciò che sta accadendo e non allontanandosi dalla contemporaneità, come se ci si trovasse in un limbo accademico nel quale non sta accadendo nulla di diverso dal solito. Il docente dovrebbe poi preoccuparsi di gestire le interazioni degli studenti e dei docenti in piattaforma, qualora decidesse di adottarne una, e progettare le modalità di fruizione dei materiali, sia quelli prodotti da lui che quelli prodotti dagli studenti.
La didattica a distanza poi pone un problema forse ancora più serio: come supportare gli studenti nella gestione del loro tempo a casa, spesso in solitudine o con i familiari, in una convivenza dai tempi forzati? Come poi cercare di risolvere possibili tensioni e incomprensioni, che possono comunque creare nella classe, separata dagli schermi?
Questa non è una didattica comparabile a quella dell’e-learning, né a quella “aula reale-aula virtuale”, che avevamo imparato a conoscere.
Il Covid 19 ci costringerà a creare un nuovo modello perché quello che vince è il desiderio di continuare a fare scuola, cercare di guidare il successo formativo per tutti i nostri studenti, con tutti i loro bisogni educativi, sconvolti dalle emergenze nazionali e dall’invasione di qualcosa che ha sconvolto tutte le nostre buone e cattive abitudini scolastiche.