scuola digitale

Digital Learning, la scuola italiana prova a uscire dal guado: i problemi e le sfide

Dal nuovo governo vengono segnali positivi rispetto al rilancio del Piano Nazionale Scuola Digitale dopo che l’esecutivo giallo-verde aveva bloccato lo sviluppo di tutti i provvedimenti avviati per la digitalizzazione del sistema scolastico e universitario. Speriamo sia la volta buona

Pubblicato il 16 Gen 2020

Paolo Ferri

Professore Ordinario di Tecnologie della formazione, Università degli Studi Milano-Bicocca

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La trasformazione digitale che sta caratterizzando da anni le metodologie e le forme dell’educazione, si presenta in Italia, nella scuola e anche nell’istruzione universitaria pubblica e non solo, come una “rivoluzione inavvertita”, come lo era stata del resto la precedente “rivoluzione cognitiva” quella della stampa di Gutenberg. [1]

Infatti, se si eccettua il campo della formazione aziendale, la Scuola e le Istituzioni universitarie sono molto lontane dall’integrare e comprendere, soprattutto a livello culturale oltre che strumentale, il significato profondo dell’”aumento digitale” della didattica.

Dopo le macerie lasciate dal governo giallo-verde, si intravedono ora timidi segnali di una possibile svolta. La scuola italiana sta forse provando a darsi di nuovo un’Agenda digitale?

Che cos’è il digital learning?

Nel 2019 nel mondo più di centodieci milioni di persone si sono formate attraverso 13.500 corsi universitari on-line in formato MOOC erogati di da più di 900 istituzioni universitarie tra le più prestigiose del mondo – ricordiamo solo MIT, Stanford e Harvard oltre alla Open University – e 50 sono i corsi laurea di queste e altre università che possono essere conseguiti in formato Mooc.

Allo stesso modo un fatturato intorno ai 200 miliardi di dollari viene stimato nel 2019 – da accreditati analisti il mercato – per ciò che riguarda il Digital Learning, l’evoluzione contemporanea dell’e-learning, mercato del quale è prevista una crescita globale fino a 300 miliardi di dollari tra il 2023 e il 2025. Questo dato tiene conto sia della formazione continua erogata dalle aziende Corporate sia di quella erogata dalle pubbliche amministrazioni mondiali e in particolare dal settore scuole e ricerca.

Il termine digital learning identifica un’evoluzione dell’e-learning e del blended learning che prevede – sia all’interno dei percorsi di educazione formale sia di quelli di formazione continua aziendale e istituzione – la possibilità per chi apprende e chi insegna di poter fruire di tutto l’ecosistema contemporaneo degli strumenti di formazione (Nacamulli, R. Lazazzara, A., 2019, L’ecosistema della formazione ). Il Digital learning si avvale cioè, integrandoli, sia dell’apprendimento in aula e dei “supporti tradizionali” sia dei nuovi strumenti digitali che sono stati progettati in questi ultimi trent’anni dagli attori della rivoluzione digitale e che sono entrati nelle vite di tutti noi in maniera massiccia e ormai consueta quasi inavvertita.

Secondo l’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano il concetto di Digital Learning identifica una “piattaforma integrata di canali e strumenti a supporto dei programmi di formazione per rendere più fruibile l’apprendimento”.

Gli strumenti cui si fa riferimento sono: ambienti virtuali per l’apprendimento (LMS), Mooc, Webinar, App per i dispositivi mobile, microlearning, podcast, ma anche gli strumenti della gamification ed i social media. In questo modo attraverso un adeguato mix di supporti formativi disponibili su device multipli è possibile mantenere aggiornato il menu dell’offerta formativa e quindi far apprendere in maniera più efficace le persone, di volta in volta utilizzando i mezzi più funzionali alla fruizione e alla comprensione dei contenuti.

Le modalità di partecipazione e il setting didattico del Digital Learning non sono, infatti, trasmissive e nozionistiche come quelle della scuola novecentesca, ma sono personalizzate. Si adeguano, cioè, alle necessità delle persone o dei gruppi: faccia a faccia, on-line da casa o in mobilità, sul posto di lavoro. Il Digital Learning risponde, cioè, alle necessità di aggiornamento continuo dei dipendenti delle aziende in modo flessibile e fruibile secondo modalità compatibili con le altre esigenze di lavoro e di vita. Ad esempio, attraverso i Mooc o gli ambienti virtuali per l’apprendimento, un’organizzazione può mettere a disposizione dei collaboratori e dei dipendenti vere e proprie ‘biblioteche interattive di formazione’, sempre utilizzabili che permettono di personalizzare l’apprendimento e di aggiornare efficacemente le competenze e le conoscenze delle persone che compongono l’organizzazione stessa. Ma poniamoci ancora una volta questa domanda, perché questo non accade anche nella scuola, perché il Piano Nazionale Scuola Digitale è stato bloccato dallo sciagurato Governo Giallo-Verde e dal Ministro Bussetti? Perché nelle nostre università predominano ancora le lezioni frontali ex cathedra, mentre i Mooc e i supporti digitali per l’apprendimento anche sociale hanno poco diritto di cittadinanza?

Italiani e competenze digitali, un quadro desolante

Lo abbiamo più volte ribadito su Agendadigitale.eu, ma proviamo a prendere in considerazione i dati più recenti. Per quanto riguarda il “Sistema Italia” basta prendere il DESI (Digital Economy and Society Index), l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società. Si tratta di uno strumento che monitora la competitività digitale degli Stati membri dell’UE dal 2015 e che viene misurato di anno in anno.

Come è ben evidenziato dal grafico qui sotto vengono messe a confronto cinque dimensioni del fenomeno della digital trasformation:

  • la connettività;
  • le competenze digitali del capitale umano;
  • l’uso dei servizi internet;
  • l’integrazione nell’economia e nella società delle tecnologie digitali;
  • il tasso di penetrazione nella pubblica amministrazione.
La posizione italiana rispetto agli altri paesi d’Europa è davvero molto infelice, ci troviamo infatti al quint’ultimo posto. Ma il dato più preoccupante è il fatto che gli altri grandi paesi europei Spagna, Germania e Francia, oltre al Regno unito ci precedono in tutti gli indicatori, inoltre la nostra posizione è nettamente al di sotto rispetto alla media europea.

Il nostro paese è in buona posizione, sebbene ancora al di sotto della media dell’UE, sulla connettività e sull’offerta – ma non sull’utilizzo – di servizi pubblici digitali. Tuttavia, tre persone su dieci non utilizzano ancora il Web abitualmente e più della metà della popolazione non possiede competenze digitali di base. Tale carenza nelle competenze digitali si riflette anche in un minore utilizzo dei servizi online, dove si registrano ben pochi progressi. E’ questo il dato più grave: la scarsa alfabetizzazione del nostro capitale umano, che si traduce in una generalizzata mancanza di cultura digitale ed in una strutturale insensibilità delle nostre classi dirigenti alla necessità di colmare anche

Agcom: digital learning, questo sconosciuto

Se si guarda poi più da vicino la scuola, la situazione è analoga ed è ancora molto deficitaria una adeguata formazione dei formatori e dei docenti per apprendere e gestire una didattica digitalmente “aumentata”. Per comprendere meglio il ritardo italiano anche in questo settore analizziamo in sintesi il report “Educare digitale” di Agcom del 2019. Si tratta di un Report sullo dello stato della “digitalizzazione” nella scuola italiana tracciato nel Febbraio 2019 su dati Miur. Gli elementi e le criticità che ne emergono sono in linea con la performance italiana rispetto all’indice DESI. Se analizziamo, infatti, i tre grafici qui sotto ci rendiamo conto dell’arretratezza digitale della scuola italiana.

Solo il 47% degli insegnati afferma di utilizzare quotidianamente nelle proprie attività formative le tecnologie. Questo dato non è affatto conformante: significa che più della metà degli insegnanti non ha integrato le metodologie didattiche “aumentate” digitalmente nella sua pratica quotidiana. Non è, perciò, in grado di fornire ai propri allievi una corretta formazione, disciplinare e interdisciplinare, che permetto loro di sviluppare un cittadinanza digitale critica, proattiva e consapevole.

Anche meno confortante è il dato che riguarda la disponibilità di banda di buona qualità (sopra il 30 Mbps). Solo il 9% delle suole primarie, il 11.2% delle Secondarie di primo grado e il 23% delle scuole superiori ha disponibilità di banda internet di qualità. Come fanno, allora, senza connettersi al Web ad educare “digitalmente” i propri allievi il 47% degli insegnati che dichiarano di svolgere quotidianamente attività didattiche mediate dalle tecnologie digitali?

È probabile che questo utilizzo sia relegato, salvo le ovvie eccezioni (non più del 15 % delle scuole in Italia), al fatto che l’insegnate utilizzi quotidianamente il proprio computer per reperire materiali sul Web da proporre poi attraverso una chiavetta sulla LIM nel corso di una lezione frontale ai propri studenti senza utilizzare il Web o le differenti applicazioni del Digital Learning in classe. Così il dato del 47% di utilizzo quotidiano pare assumere un suo sconfortante realismo per chi frequenta spesso le aule delle scuole italiane.

Solo l’8.6 % dei docenti, secondo Agcom, utilizza la rete per gestire ad esempio ambienti virtuali di apprendimento interattivi (LMS); un altrettanto sparuto 13.9 % utilizza la rete Web per condividere materiali, e il 20.9 % prova a far utilizzare agli studenti i device disponibili in classe o in laboratorio per il lavoro di gruppo (notebook o laptop).

Se si guarda alle attività “digitali” più diffuse, queste si limitano, infatti, nel 29% dei casi all’utilizzo di “presentazioni” digitali utilizzate per “spiegare” – magari attraverso la LIM e o il proiettore i contenuti disciplinari e nella maggioranza dei casi – il 47.3 % – alla consultazione di fonti e contenuti digitali.

Un uso davvero povero delle tecnologie che ritrae il quadro di una scuola e di un corpo insegnate poco attrezzato alle metodologie del Digital Learning, poco formato e spesso demotivato da troppe promesse di riforma, cui non sono seguite, effettive risposte in termini di investimenti, motivazione e incentivi.

Si tratta di un quadro nel complesso davvero poco consolante. Gli insegnanti italiani, almeno a quanto risulta dai dati Agcom, non sono in grado di fornire – nella stragrande maggioranza dei casi non per loro responsabilità, – ai loro allievi “nativi digitali” le competenze di cittadinanza digitale minime per abitare la nostra società informazionale in maniera critica e consapevole.

La controriforma Bussetti

Ora queste note dell’Agcom sono, come accennavamo, del febbraio del 2019, eravamo in piena controriforma Bussetti. Il Ministero Bussetti è stato, infatti, quasi esiziale per il dispiegarsi del benemerito, anche se tardivo piano, di Digitalizzazione del sistema scolastico e universitario italiano avviato da Matteo Renzi e Stefania Giannini e proseguito da Valeria Fedeli. Esiziale perché ha bloccato lo sviluppo di tutti i provvedimenti in cui questo piano si concretizzava: la Buona Scuola (Legge 107), il Piano Nazionale Scuola Digitale e il Piano per la Formazione dei Docenti 2016-2019.

Tutte queste iniziative sono, infatti, state congelate dal Governo giallo-verde, in particolare il PNSD, a favore di altre misure più efficaci dal punto di vista di vista elettorale nel breve periodo come il “reddito di cittadinanza” e “Quota 100”. Non solo sono stati bloccati gli investimenti e azzerata la progettualità relativa alla scuola ma stati allontanati dal Ministero i “tecnici” che avevano disegnato e messo in pratica concretamente gli interventi di riforma: Damien Lanfrei e Donatella Solda per citarne solamente due tra i più noti.

In questo modo molti insegnanti (ad esempio gli animatori digitali e i membri del team dell’Innovazione di ogni scuola) che avevano partecipato con volontà ed impegno alle innovazioni avviate sono rimasti frustrati nelle loro aspettative e privi di un guida progettuale o dei fondi necessari per implementare i progetti. Così le forze resistenti al cambiamento hanno provato a stringere una triplice tenaglia per bloccare l’innovazione didattica e tecnologica. Si tratta della collusione degli interessi di tre soggetti molto differenti:

  • un corpo di dirigenti scolastici e insegnanti, nella sua maggioranza, restio al cambiamento e poco formato;
  • una classe politica che blocca gli investimenti e che usa gli strumenti digitali, in particolare i sociale, solo come strumento di “distrazione di massa” e di propaganda;
  • la diffidenza di una classe intellettuale ed accademica che rimane, anche per ciò che riguarda le nuove leve della ricerca scientifica scettica e diffidente rispetto all’ innovazione tecnologica.

Conclusioni

Dobbiamo perciò rassegnarci ad una marginalità annunciata? La scuola italiana rimarrà per sempre in mezzo ad un guado pericolosissimo tra promesse e buone pratiche avviate e incompiute – la Buon Scuola, il Piano Nazionale Scuola Digitale e il Piano per la Formazione dei Docenti 2016-2019 – e brusche frenate “passatiste”? Non possiamo e non vogliamo permetterlo. Il Governo giallo-verde del “cambiamento” è ormai alle nostre spalle, sostituito, per fortuna, anche al MIUR da un’alleanza “contradditoria” difficile ma che almeno ha abbandonato il massimalismo populista e ottuso che rischiava di seppellire sotto un mare di debito pubblico e di odio (anche on-line), le riforme della scuola e non solo.

Il presente è un paesaggio con rovine. Ma da queste rovine dobbiamo e dovranno ripartire il Ministro della scuola Azzolina, il Viceministro Anna Ascani e il nuovo ministro dell’Università Gaetano Manfredi. Le risorse finanziarie sono forzatamente poche ma gli obiettivi chiari e del resto sono sempre gli stessi tracciati nel 2015 da la Buona Scuola e dal PNSD. A volte anche le persone sono le stesse, ad esempio Anna Ascani. Proprio da Ascani e Azzolina vengono piccoli ma chiari segnali di inversione di rotta rispetto al congelamento dell’innovazione digitale nella scuola ad opera del Ministro Bussetti.

È stato firmato, ad esempio, alla fine dello scorso anno, dal Direttore Generale del MIUR Luciana Volta lo sblocco dei fondi per la formazione degli insegnanti legato al Piano per la Formazione dei Docenti 2016-2019. Il 7 gennaio del 2020, in un suo intervento per Agenda Digitale Anna Ascani, ha fatto il punto sulla necessità di rilanciare l’attuazione del Piano Nazionale Scuola Digitale definito un “sfida” per la scuola italiana. Ha affermato Ascani: “Se è vero che il digitale in sé non è garanzia di successo formativo ma che questo passa attraverso le metodologie e la buona didattica, è però anche vero che la tecnologia e la Rete ci portano possibilità e opportunità che fino a un lustro fa erano impensabili”. Vengono riprese, poi, dal Viceministro tutte le parole chiave che avevano animato la stagione di innovazione fattiva e di progetti legata al varo alla prima attuazione del PNSD: didattica costruzionista, ambienti digitali per l’apprendimento, pensiero computazione, coding, biblioteche digitali, tinkering.

È stato, inoltre, annunciato uno stanziamento piccolo ma simbolico a favore dell’azione degli Animatori digitali: 8,2 milioni di euro che dovrebbero riattivarne la progettualità.

Lo speriamo davvero non tanto per il bene nostro ma per quello dei nostri figli che nel mondo digitalmente aumentato sono nati e cresciuti. Good Night and Good Luck!

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[1] Eisenstein, E. (1979) tr. it. La rivoluzione inavvertita. La stampa come fattore di mutamento, 1986

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