La scuola della società digitale non è la scuola tradizionale a cui si aggiungono le ICT.
È una scuola diversa, centrata sugli studenti e sulla digital literacy. È una scuola fluida, in grado di adattarsi alle dinamiche della società e anche di determinarle.
Nella fase di transizione e a regime, il profilo professionale dell’insegnante necessariamente cambia. Di qui la necessità di uno sviluppo professionale permanente in cui un ruolo importante è svolto dai social network, che contribuiscono in modo rilevante alla condivisione di un repertorio di idee e di pratiche all’interno della comunità.
Ho fatto questa doverosa premessa prima di parlare della mia personale esperienza legata alla condivisione di un articolo scritto da me per agendadigitale.eu sul gruppo Facebook “insegnanti 2.0”, composto soprattutto da insegnanti molto attivi, sensibili ai temi all’innovazione della scuola e al rapporto digitale-educazione.
Accanto a molti “like”, l’articolo ha ricevuto anche 3 critiche. Poche, direte, certo, ma importanti per me, soprattutto perché offrono lo spunto per alcuni chiarimenti e riflessioni.
Una scuola nuova o una scuola digitale?
Ecco la prima:
“Immaginare una scuola nuova, imperniata sui paradigmi indotti dalle nuove tecnologie digitali” Cosa vorrà dire “indotti dalle nuove tecnologie”? Detta così mi sembra una bestialità. La scuola non deve essere digitale e nemmeno i docenti devono essere digitali. Come i medici, avvocati e ingegneri non sono digitali e nessuno chiama la giurisprudenza, l’ingegneria, la medicina: giurisprudenza digitale, Medicina digitale o ingegneria digitale; sarebbe una colossale sciocchezza. Leggerò meglio l’articolo per capire bene”.
Innanzitutto una precisazione: l’autore del post fa riferimento all’occhiello dell’articolo e non al corpo da cui è tratto, che recita: “La scuola tradizionale è basata sui paradigmi della cultura scritta, mentre la scuola della società digitale dovrà nascere sui nuovi paradigmi indotti dalle tecnologie digitali.” Ciò detto, rimangono da chiarire i termini paradigma, indotti e digitale.
Qui per paradigma intendo il complesso di credenze che formano il quadro di riferimento che caratterizza una fase dell’evoluzione dei mezzi per la produzione, immagazzinamento, trasferimento e condivisione della conoscenza. Questo quadro, tradizionalmente costituito dalla cultura scritta, con le sue caratteristiche, sta evolvendo nella cultura digitale, che ingloba quella scritta, ma offre anche nuove rivoluzionarie possibilità che consentono il passaggio:
- Dalla monomedialità alla multimedialità;
- Dalla chiusura all’apertura, dalla linearità alla reticolarità;
- Dal consumo al consumo-produzione;
- Dalla unidirezionalità all’interattività;
- Dalla competizione alla collaborazione;
- Dal materiale all’immateriale;
- Dal trasferimento alla costruzione sociale della conoscenza.
Come è possibile questo passaggio? Per le caratteristiche intrinseche degli oggetti digitali che oggi immagazzinano gran parte della conoscenza e che sono un fattore determinante per la sua produzione e disseminazione. Gli oggetti digitali sono un portato delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), che hanno determinato l’instaurarsi di una società, in cui il motore principale è diventato la conoscenza. In questo senso le ICT inducono (letteralmente “portare (ducere) dentro (in)”) questi paradigmi nella società attuale, proprio come il movimento di una calamita in una bobina induce una corrente. La scuola tradizionale è basata sulla cultura scritta, la scuola nuova necessariamente dovrà essere basata sulla cultura che sfrutta i nuovi paradigmi e i nuovi strumenti per la produzione, immagazzinamento e condivisione della conoscenza.
E veniamo all’aggettivo digitale… “la scuola non deve essere digitale… nemmeno i docenti… i medici, avvocati, ingegneri, nessuno chiama digitale giurisprudenza, ingegneria medicina.” Giustissimo, ma chi ha mai parlato di scuola digitale o docenti digitali? Diverso è affermare che per l’attuale società è necessaria una scuola nuova e che questa scuola (come anche la medicina, la giurisprudenza, l’ingegneria e quindi docenti, medici, ingegneri e avvocati) non può prescindere dai cambiamenti di paradigma indotti dalla rivoluzione digitale.
Digitale a scuola: questione di qualità, non di quantità
Il secondo commento è questo:
A testa bassa a studiare Calvani, come se non ci fosse un domani…
L’autrice del post non spiega i motivi per cui si infligge una condanna così dura, ma conoscendo il lavoro di Calvani immagino si riferisca alle sue idee sulle cose da fare per migliorare gli apprendimenti scolastici. In linea con il lavoro di John Hattie sul Visible Learning e sulle Tomorrow’s Schools, Calvani ritiene che l’aumento delle nuove tecnologie nella scuola non incida (o incida scarsamente) sulla qualità del sistema educativo.
Condivido l’idea che aggiungere nuove tecnologie nella scuola attuale non migliori molto le cose, anche se alcuni provvedimenti (vedi connessioni a banda larga e byod) sono necessari (anche se non sufficienti) per non restare all’età della pietra. Il problema tuttavia non è questo. Non si tratta di quantità (aggiungere tecnologie), ma di qualità (ripensare dalle fondamenta il sistema educativo). Non stiamo parlando di macchine, parliamo di idee. Si tratta dunque di immaginare una scuola nuova per una nuova società, avendo chiare tutte le entità su cui intervenire a cominciare dal capire a che cosa debba servire, cioè dalle finalità, che, secondo me, dovrebbero scaturire da una pedagogia della felicità, tutta da inventare, e di cui dirò qualcosa nei prossimi contributi.
E veniamo all’ultimo commento, “postato” da un docente e formatore molto attivo nell’uso delle tecnologie per l’apprendimento.
“A parte alcune banalità, trovo persino sconcertante che non si tenga conto di tutte le ricerche degli ultimi 40 anni su media, ambienti di apprendimento etc. Le scuole per essere nuove non hanno bisogno di essere attivate digitalmente. Nel complesso …agghiacciante”
Al di là dal tono arrogante, il post travisa il contenuto dell’articolo che non sostiene che “le scuole per essere nuove abbiano bisogno di essere attivate digitalmente”, ma argomenta invece che c’è bisogno di un sistema educativo nuovo, di una scuola nuova adatta all’era digitale. Il post fa anche riferimento al fatto che il contributo “non tiene conto delle ricerche degli ultimi 40 anni su media, ambienti di apprendimento ecc.”. In occasione dei primi 20 anni della rivista TD (da me fondata con il supporto dei colleghi dell’Istituto Tecnologie Didattiche del CNR) con Donatella Persico ho curato il libro “Pedagogia Digitale” che riguarda espressamente lo stato dell’arte di queste ricerche.
In questo testo, proprio nell’ottica del contributo ritenuto “agghiacciante”, molti studiosi del settore discutono come il digitale imponga sostanziali cambiamenti ai sistemi educativi perché siano adatti all’era digitale. Secondo il commento di Roberto Maragliano, la mancanza nel post di qualsiasi tipo di argomentazione mostra come sia difficile superare gli ostacoli posti dai tanti pregiudizi, quando si parla di scuola nuova.
La scuola e gli insegnanti pionieri
Quanto discusso fa riflettere sul ruolo degli insegnanti “pionieri” e dei social network nell’innovazione della scuola. Così come le piante pioniere colonizzano ambienti aridi, creando le condizioni per la crescita prima di arbusti e poi di alberi, i docenti pionieri introducono per primi nuovi modi di fare scuola, conducendo progetti innovativi e sfidando resistenze di colleghi e inerzia del sistema.
Svolgono un ruolo importante perché la maggioranza degli insegnanti può conoscere nuove idee principalmente da loro, attraverso canali interpersonali. Certo non si può chiedere loro di riformare la scuola (Henry Ford, fondatore della Ford Motor Company, soleva dire «se avessi chiesto di che cosa c’era bisogno, mi avrebbero risposto di cavalli più veloci») ma di disseminare l’innovazione e di sperimentare nuovi modi fare scuola.
Il VII Meeting Docenti Virtuali e Insegnanti 2.0
Abbiamo visto un esempio di discussione all’interno del gruppo Facebook “insegnanti 2.0”. Altri gruppi, come “Docenti Virtuali”, svolgono analoghe funzioni. Queste comunità spesso non si limitano a interazioni online. Ad esempio i due gruppi citati congiuntamente hanno tenuto in presenza a Bologna, il VII Meeting Docenti Virtuali e Insegnanti 2.0, dal 10 al 12 maggio, a dimostrazione che i docenti pionieri ritengono utile usare una pluralità di strumenti per condividere e arricchire il proprio repertorio.
La condivisione e la partecipazione contribuiscono in modo rilevante allo sviluppo professionale dei singoli e di tutta la comunità.
Riguardo alla scuola nuova, mi piace concludere con un’osservazione della scrittrice Frances Hodgson Burnet:
All’inizio la gente rifiuta di credere che una nuova cosa strana possa essere fatta, poi iniziano a sperare che possa essere fatta, poi vedono che è possibile farla – poi è fatta e tutto il mondo si chiede perché non è stata fatta prima.