la riflessione

Scuola digitale, perché è un connubio necessario e come esorcizzare la paura

La storia dell’innovazione educativa è costellata di “tecnologie”. La differenza è che oggi il digitale è ovunque. Proprio per questo non si può lasciarlo fuori dalla scuola. E se, ben usato, può servire per superare la scarsa motivazione e anche le difficoltà di molti studenti. Come dimostra la flipped classroom. Ecco come

Pubblicato il 09 Feb 2018

Giovanni Biondi

presidente INDIRE - Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa

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La parola digitale collegata alla parola scuola provoca ancora reazioni difficili da comprendere ma che spesso non hanno logica. L’errore più ricorrente è quello di considerare sullo stesso piano tecnologie, device, reti, modalità di interazione… Così il “problema digitale” è costituito dalla rete, dal web, dal coding, dagli smartphone, dai social, dai linguaggi digitali.

Cos’è la scuola digitale e perché nessuna tecnologia da sola può cambiare la scuola

Si immagina un futuro prossimo in cui gli adolescenti saranno immersi (e persi) nei loro smartphone, estranei e impermeabili a quanto accade intorno a loro. E questa visione, automaticamente, fa scattare l’idea che quella tecnologia, portata in classe, produca quegli stessi effetti di isolamento, quei comportamenti a volte alienanti che si osservano tutti i giorni. La “scuola digitale” non esiste, anzi non deve esistere, almeno nell’accezione descritta sopra. Nessuno può o deve immaginare che la scuola del futuro – con le nuove tecnologie – vedrà ragazzi isolati davanti ad un computer o immersi in una realtà virtuale con un “oculus”, intenti ad esplorare cose che vedono solo loro. E’ del tutto improbabile e comunque non auspicabile uno scenario in cui una nuova generazione di computer, dotati magari di intelligenza artificiale, possa sostituire la figura dell’insegnante. E’ un’ipotesi che va in direzione opposta rispetto alle esigenze dell’adolescente che, per dare senso e sostanza al proprio percorso di crescita, ha bisogno di confrontarsi direttamente e continuamente con adulti e coetanei. Nessuna tecnologia da sola può cambiare la scuola ma nello stesso tempo la scuola può cambiare e fare un salto di qualità se è in grado di utilizzare le opportunità che oggi le tecnologie offrono.

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Scuola e digitale, perché è un connubio “necessario”

La storia dell’innovazione educativa è costellata di “tecnologie”: dalla stamperia del Freinet, al limografo e poi al ciclostile, all’acquario ed alle stazioni metereologiche di Bruno Ciari. La scuola tradizionale è già piena di “tecnologie”, solo che non le percepiamo più come tali: anche la scrittura, il libro e la lavagna sono a loro modo delle tecnologie. Le tecnologie servono e vengono usate ogni giorno a scuola. Il tema dunque è: cosa offrono oggi le tecnologie digitali che può essere utile alla scuola nel suo processo di innovazione? E soprattutto qual è oggi l’obiettivo dell’innovazione? Obiettivo che è insieme anche la ragione principale, il perché dell’innovazione.

Ogni buon insegnante ha sempre cercato il coinvolgimento dello studente, ha cercato di appassionarlo alla propria materia e quindi ha lavorato prima di tutto sulla sua motivazione. Il metro col quale misurare queste nuove tecnologie è quindi questo: possono aiutare nell’apprendimento? Possono contribuire a coinvolgere lo studente e magari rendere meno astratto un concetto o un contenuto? Possono consentire, ad esempio, di capire il funzionamento del corpo umano entrando “virtualmente” dentro e vedendo la circolazione del sangue o l’interno del cuore oppure dobbiamo pensare che solo il metodo narrativo della lezione e la lettura poi della pagina del libro di testo porti a costruire ed assimilare correttamente i concetti? Si può imparare la pittura del ‘300 dalle immagini necessariamente ridotte e selezionate del libro di storia dell’arte o vedere l’affresco su uno schermo e magari ampliarne i particolari e questo può rappresentare un elemento determinante per capire?

Piano nazionale scuola digitale: La scuola nel cloud e il progetto E-twinning

La partita non si gioca solo sugli apprendimenti. La rete, il web, oggi rappresentano una immensa biblioteca fatta non solo di testi ma anche di immagini, filmati…. E’ di gran lunga il più ampio deposito di conoscenze dell’umanità. Si può tenerlo fuori dalla scuola? Certamente, oggi, non può star fuori da nessun ambiente di lavoro, da nessuna Università o ente di ricerca; deve star fuori dalla scuola? E ancora…Siamo sicuri che la relazione educativa si realizzi pienamente e solo quando uno studente, in una classe di trenta ragazzi, ascolta la lezione del docente? O forse la lezione “frontale” non si potrebbe mettere su un cloud, vederla a casa prima di venire a scuola e poi avere più tempo per discutere, fare attività, interagire realmente con l’insegnante? Tra l’altro, la possibilità di avere su cloud i materiali didattici consentirebbe anche ai ragazzi assenti di non perdere le lezioni e anzi rimanere collegati, anche in tempo reale, con la classe. La rete oggi permette a migliaia di insegnanti e studenti in Europa di fare attività didattiche usando le lingue, collegandosi all’interno del progetto E-twinning (sono coinvolti oltre 38.000 insegnanti solo in Italia). Possiamo affermare che queste attività fatte sulla rete siano da buttare perché l’unica relazione è “la comunicazione viva allievo/insegnante nella comunità della classe” e che tutto questo si possa sintetizzare poi nella lezione?Si apprende in un ambiente sociale e la relazione non solo con l’insegnante ma anche con gli altri studenti è fondamentale. Ma è la lezione il luogo e il modo migliore per realizzare questa relazione? La classe è il modo migliore di organizzare la scuola? E la trasmissione “delle conoscenze, percorsi e temi” è il modo migliore, per coinvolgere e motivare gli studenti in un processo di apprendimento? L’unico linguaggio della scuola è, oltre alla voce dell’insegnante, quello scritto sui libri o sulla lavagna.

Tutto ciò che esula da questo contesto viene relegato in un luogo separato: il laboratorio. Non a caso qui finiscono i computer, nel “laboratorio di informatica”, come le macchine da scrivere finivano qualche decennio fa nel laboratorio di dattilografia. Aule normali con i computer sui banchi. Si va nel laboratorio per fare magari presentazioni in powerpoint, una pagina di calcolo su excell o per fare un taglia e incolla di pagine web al quale si assegna l’etichetta di ricerca. Esattamente come si faceva non molti anni fa su grandi quaderni formato A4 dove si incollavano fisicamente fotografie, cartoline, ritagli di giornale: i quaderni delle ricerche. Il modo peggiore di usare le tecnologie è quello di fare con queste le stesse cose che si facevano prima con altri strumenti. Le prime LAN (reti locali) realizzate nelle scuole al tempo dei personal computer e dell’MS/DOS, collegavano appunto tanti computer disposti sui banchi, uno per studente, tra di loro e con quello della cattedra del docente. Il tecnico che l’aveva realizzata spiegava che se Marco, seduto in fondo alla classe, avesse chiesto di parlare si sarebbe illuminata la sua postazione sul monitor del docente. Naturalmente Marco avrebbe potuto alzare la mano e l’effetto sarebbe stato lo stesso. Automatizzare lo stesso schema, la classe, senza avere un obiettivo di innovazione, senza cioè mirare ad utilizzare queste potenzialità per trasformare l’ambiente, rappresenta il fallimento della tecnologia a scuola. Se dobbiamo fare il bignami a colori usando il digitale o raccogliere in rete informazioni sparse per poi stamparle pensando di aver fatto una ricerca, è chiaro che non stiamo facendo un buon uso della rete né delle potenzialità che il digitale offre.

Il digitale e la buona scuola per agganciare la motivazione degli studenti

“Non sia il mero ingresso di uno smartphone in classe a migliorare l’apprendimento” sostengono molti insegnanti ed è vero. Uno smartphone, quando si fa lezione, rappresenta soltanto un elemento di distrazione e di disturbo. Nessuna tecnologia rappresenta in sé un valore assoluto. Anche una LIM usata come una normale lavagna, non porta nessun valore aggiunto né a chi fa lezione né a chi la segue. Il tema infatti è l’innovazione, non la tecnologia. Le ragioni per cui è necessario innovare la scuola sono legate a numerosi temi uno di questi è la motivazione ad apprendere di queste generazioni di studenti. Credo che, indipendentemente dalle definizioni, tutti siamo convinti che ci troviamo di fronte a generazioni nuove di studenti. Nuove dal punto di vista delle strategie cognitive, delle sensibilità, dei linguaggi, ed è anche a tutti evidente che ci troviamo di fronte studenti che sono in genere meno motivati al successo scolastico dalle famiglie che hanno alle spalle. Adolescenti “fragili e spavaldi” e genitori che spesso, con gli insegnanti, fanno i sindacalisti dei figli. Uno scenario molto diverso da quello di qualche decennio fa che mette oggi la scuola in una situazione di difficoltà oggettiva perché non è più percepita come ascensore sociale, come l’unica agenzia formativa disponibile. Oggi si impara moltissimo anche fuori dalla scuola. Il tema fondamentale diventa quindi quello della motivazione.

Agganciare la motivazione degli studenti non è facile, ma farlo ignorando linguaggi e potenzialità del “digitale” è davvero difficile. Immaginare che solo la lezione rappresenti “un incontro tra persone in cammino in una comunità inclusiva” e che quindi la lezione può essere “un laboratorio educativo, di crescita, di partecipazione, di scambi” è per lo meno limitativo. Se fossero le tecnologie ad abbassare il livello culturale del paese, se fossero le innovazioni didattiche e gli sperimentalismi digitali i responsabili dell’ignoranza diffusa e denunciata più volte recentemente sui quotidiani nazionali, non si capisce come mai il livello culturale di molti adulti usciti da una scuola centrata proprio sulla lezione frontale, sia così basso. Lo dimostrano le indagini internazionali sulle competenze e conoscenze degli adulti che mettono l’Italia in fondo alle classifiche mondiali. Eppure questi adulti sono usciti da una scuola dove il digitale non c’era e dove libri, lavagne e lezioni erano pane quotidiano.

La possibilità di muoversi su mappe digitali pluridimensionali è davvero una regressione rispetto ad usare l’atlante o il mappamondo? L’esplorazione dell’infinitamente piccolo può avere una valenza negativa? Pensiamo che tutto questo spersonalizzi l’ambiente di apprendimento? Ma un’aula con i banchi allineati davanti alla cattedra, gli unici arredi presenti a scuola, costruiti e predisposti proprio per la lezione, siamo davvero sicuri che rappresenti un “ambiente di apprendimento”? Un luogo in grado di motivare i ragazzi di oggi allo studio?

La paura del digitale va esorcizzata. Offre alla scuola numerose opportunità proprio per superare il disinteresse, la scarsa motivazione e anche le difficoltà di molti studenti. Non è la pietra filosofale che risolve tutti i problemi e neppure può essere un obiettivo della scuola. La scuola digitale non esiste e non deve esistere. Negli anni 70 i convegni sull’uso del computer a scuola avevano titoli del tipo: come insegnare la storia con il computer…come insegnare la religione o l’educazione fisica con il computer. La risposta poteva essere: ma perché si dovrebbe usare per forza il computer? A volte tanti neofiti folgorati dalle meraviglie dell’elettronica fanno un cattivo servizio al digitale e scambiano il fine con il mezzo. Nello stesso tempo però posizioni che chiedono di fermare il mondo e di immaginare scenari che non ci sono più, rifugiandosi nella retorica dei valori costituzionali come se chi cerca di cambiare ne sia un avversario, non sono sostenibili.

Flipped classroom, l’esempio di un nuovo insegnamento

LEGGI COSA E’ LA FLIPPED CLASSROOM, PRO E CONTRO

“Codificare pratiche e metodi, presentati come la priorità della Scuola, è una semplificazione retorica arbitraria, corrispondente ad un preciso modello culturale preconfezionato, che ridefinisce finalità e ruoli dell’istruzione pubblica in ossequio a un’ideologia indiscussa”. Detto in altre parole: diffondere esperienze condotte “liberamente” da migliaia di insegnanti che evidentemente hanno valutato la loro efficacia, sarebbe una semplificazione retorica arbitraria? Un ossequio ad una sconosciuta ideologia indiscussa? I due insegnanti americani che hanno realizzato la flipped classroom, uno dei metodi messi all’indice nel documento, hanno elaborato questa esperienza didattica proprio per cercare di venire incontro ai loro studenti e soprattutto a quelli più in difficoltà. Terminano il loro libro con queste parole “Ora, cari lettori, vi esortiamo a provare a compiere qualsiasi azione possa servire a modificare la vostra idea di educazione. Anche se non adotterete completamente i nostri modelli, vi incoraggiamo a porvi questa domanda: “Cos’è il meglio per i ragazzi?”. Andate e fatelo”.

Sono colpevoli quindi di aver spostato la lezione sul cloud per trovare il tempo di dedicarsi davvero ai loro studenti e il tutto è nato dalla voglia di aiutare alcuni di loro che avevano problemi nella loro materia: la chimica non l’elettronica. Hanno immaginato che mettere le lezioni sul cloud e permettere agli studenti, sfruttando la rete e le tecnologie digitali, di rivederle più volte a casa e di venire poi in classe per fare delle attività con un insegnante che avesse del tempo per loro, fosse più efficace che usare tutto il tempo a loro disposizione per farsi ascoltare. I risultati che hanno avuto li hanno confortati in questa loro scelta. Non sono evidenze scientifiche? Forse, ma certamente sono dati oggettivi quelli della dispersione scolastica, dell’insuccesso e dell’abbandono, del livello culturale della popolazione adulta che non è uscita dai recenti“sperimentalismi digitali” ma esattamente da quel “laboratorio educativo, di crescita” che si sostiene sia la lezione. Le stesse evidenze che hanno molte delle scuole del movimento delle “avanguardie educative” che, attraverso la trasformazione del modello scolastico, sfruttando anche le potenzialità del digitale, hanno ridotto e spesso azzerato l’abbandono scolastico.

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