povertà educativa

Dispersione scolastica, trasformare i ragazzi in agenti del cambiamento: il ruolo del digitale

Insegnare a pensare, a comunicare in modo preciso e creativo con la nostra lingua madre e con altre lingue, apprendere i linguaggi di tutte le discipline per acquisire e comunicare informazioni è una emergenza educativa. Il digitale può trasformare gli studenti in agenti di un cambiamento che la Scuola deve saper gestire

Pubblicato il 09 Feb 2023

Daniela Di Donato

Docente di italiano (Liceo scientifico), PhD in Psicologia sociale, dello sviluppo e della Ricerca educativa presso Sapienza Università di Roma, esperta di metodologie didattiche, inclusione e uso delle tecnologie digitali a scuola.

Photo by kyo azuma on Unsplash

“I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo” diceva il filosofo del linguaggio Ludwig Wittgenstein. I limiti della mia employability sono dunque i limiti del linguaggio, che riesco a parlare.

Investire oggi sui nuovi linguaggi è la chiave per vincere la partita del futuro, ma questa immersione nel linguaggio dell’informazione va fatta da giovani, perché alcuni linguaggi non si possono imparare troppo tardi. Lo dice il filosofo Luciano Floridi. E che cosa succede allora se quei linguaggi non si acquisiscono? Chi si allontana troppo presto dai percorsi educativi istituzionali o non raggiunge le competenze indispensabili per l’apprendimento permanente dove finisce? In una zona d’ombra illuminata spesso solo dalla ricerca educativa o dai grandi monitoraggi nazionali e internazionali.

Povertà educativa, cosa dicono i dati

Nell’ultima analisi della povertà educativa pubblicata a settembre 2022 da Save the Children si analizzano i dati più recenti sull’incremento dell’incidenza della povertà assoluta tra i minori: è passata dal 13,5% del 2020, al 14,2% del 2021 (pari a 1.382.000 bambini), dopo una relativa diminuzione nel 2019[1].

Nel 2021 il tasso di uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione si è attestato al 12,7%, ancora lontano dal traguardo fissato dal Consiglio dell’Ue nel 2021 del 9% entro il 2030. Su questo fronte solo Spagna e Romania fanno peggio di noi in Europa.

Nei risultati nelle prove Invalsi alla fine della scuola secondaria di primo grado la percentuale di studentesse e studenti, che non raggiungono i traguardi del primo ciclo di istruzione in relazione alla lettura e comprensione del testo scritto è passata dal 34% del 2018 al 39% del 2022. In matematica, sempre nello stesso periodo, tale quota è passata dal 39% al 44%.

Inoltre, tra il 2019 e il 2022, la percentuale di studenti che arrivano al diploma di scuola secondaria di II grado senza le competenze minime necessarie per entrare nel mondo del lavoro e dell’Università è passata dal 7,5% al 9,7%. Nonostante ci sia stato un lieve miglioramento nell’ultimo anno, siamo ancora lontani dai livelli pre-Covid 19. La dispersione implicita è davvero preoccupante anche perché invisibile: quelle ragazze e quei ragazzi magari a scuola ci vengono regolarmente, fanno i compiti, non manifestano disagi espliciti, anzi forse sono anche tranquilli, innocui, trasparenti. Sembrano esserci, ma non ci sono e non ce ne accorgiamo.

Due aspetti, quello della povertà economica ed educativa, sono strettamente correlati: i minori che provengono da famiglie svantaggiate dal punto di vista socioeconomico sono quelli che hanno registrato negli ultimi anni i livelli di apprendimento più bassi, quindi anche coloro maggiormente a rischio di dispersione scolastica. La scuola dovrebbe rappresentare un argine alla crescita delle disuguaglianze, garantendo a tutti i minori le opportunità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni. Lo sta facendo? Se non lo sta facendo, che cosa intenderebbe promuovere in termini di progettualità, innovazione sistemica e investimento di risorse professionali?

Promuovere l’acquisizione e la valutazione delle competenze a scuola

I dati raccontano quanto sia necessario e urgente promuovere l’acquisizione e la valutazione delle competenze a scuola, anche quelle digitali, che sono competenze di base attraverso una didattica innovativa e inclusiva, che agisca sugli ambienti per l’apprendimento, sulla cittadinanza digitale, sull’educazione ai media. Il Curriculo nazionale dovrebbe finalmente adottare il quadro teorico delle competenze digitali DigComp 2.2 non solo per l’alfabetizzazione digitale di base, ma anche per la Media literacy ovvero l’apprendimento e lo sviluppo personale nel mondo digitale.

Non si tratta di sapersi creare un Avatar in una realtà virtuale (anche se potrebbe essere un inizio, per rompere il ghiaccio), ma di utilizzare quelle esperienze per riflettere su ogni singolo passaggio: implicazioni tecniche, etiche, sociologiche, matematiche, artistiche, psicologiche, insomma transdisciplinari e multidisciplinari.

Senza un’adeguata formazione degli insegnanti, rischiamo di vanificare i soldi del PNRR

Sarebbe finalmente il momento giusto per istituire un sistema di certificazione delle competenze digitali al termine della scuola secondaria di I grado, al fine di ovviare alla mancanza di strumenti di valutazione nel nostro paese rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea. Secondo passo: mettere tutte e tutti in condizione di sperimentare, apprendere e comprendere con insegnanti competenti non solo delle loro discipline, ma anche di come utilizzare il digitale per insegnare latino, italiano, arte, educazione civica e tutto il resto.

I finanziamenti del PNRR sono quasi 500 milioni di euro. I percorsi che verranno finanziati hanno come obiettivo la progettazione di itinerari di personalizzazione per chi ha manifestato una maggiore fragilità negli apprendimenti. Alle scuole destinatarie dei fondi viene chiesto nello specifico di organizzare:

  • Programmi e iniziative specifiche di mentoring, counseling, formazione e orientamento;
  • Potenziamento del tempo scuola con progettualità mirate;
  • Introduzione di una piattaforma per attività di tutoraggio e formazione disponibile online per supportare l’attuazione dell’investimento;
  • Distribuzione territoriale in modo da coprire l’intero territorio nazionale, con particolare attenzione alle aree territoriali e alle scuole che registrano maggiori divari negli apprendimenti;
  • Misure di accompagnamento per superare divari territoriali e disuguaglianze rispetto alla parità di accesso all’istruzione, all’inclusione e al successo formativo;
  • Certificazione dei risultati raggiunti e valutazione di impatto delle misure da parte dell’Invalsi.

Lo scopo di questa linea di investimento è raggiungere un tasso di dispersione scolastica pari almeno al 10.2%, cioè quello della media europea nel 2019. Il rischio? L’acquisto massivo di oggetti tecnologici, che non avranno mai un’anima perché non saranno utilizzati o verranno utilizzati in una percentuale risibile. Senza imminente formazione degli insegnanti, ma anche dei Dirigenti scolastici, saranno investimenti inutili. Si sa che l’obsolescenza è dietro l’angolo.

Trasformare gli studenti in agenti attivi col digitale

L’utilizzo delle tecnologie e delle caratteristiche degli ambienti digitali potrebbe servire per trasformare le pratiche di approccio alle studentesse e agli studenti, che hanno manifestato sofferenze di varia natura nel raggiungere quelle competenze di base indispensabili. Sono loro a dover assumere il ruolo di agenti attivi, di progettisti di spazi oltre che di oggetti, in grado di stabilire che cosa possa assumere valore nell’ambito dei loro progetti, di decidere con chi collaborare e di sentirsi liberi di incorporare i propri repertori di pratica nella realizzazione dei progetti. Questa agentività potrebbe produrre un atteggiamento trasformativo della persona, che potrebbe così cercare di attuare dei cambiamenti a livello individuale e sociale, utilizzando strumenti e risorse culturali disponibili all’interno della comunità di appartenenza, che è la sola a poterne riconoscere il valore intellettuale. Gli esseri umani vivono in un ambiente trasformato dagli strumenti prodotti dalle generazioni precedenti e questi strumenti mediano i rapporti tra le persone con il mondo fisico, ma non sono semplici sussidi: trasformano le funzioni mentali e poi sono prodotti sociali. Vigotskij e Bruner docent.

Ora però la rapidità dell’evoluzione tecnologica ci porta a dire che gli artefatti non sono creati solo dalle generazioni precedenti, ma anche contemporanee. Ecco, la potenzialità trasformativa delle tecnologie digitali sembra davvero sottostimata a scuola.

Se si guardasse ai repertori di pratica degli studenti, intesi come le loro modalità di coinvolgimento in attività culturali, secondo una prospettiva socioculturale e costruttivista nella quale l’apprendimento può aver luogo in un contesto di conoscenze pregresse, di abilità, di sistemi simbolici e di significati forse si potrebbero progettare itinerari più efficaci per il recupero degli achiever.

Le tecnologie come interruttori che accendono diverse possibilità di apprendimento

Le tecnologie sono interruttori, che accendono diverse possibilità di apprendimento, che vanno incontro ai bisogni di sviluppare cittadinanza: non è possibile, infatti, pensare che si possa imparare solo dallo studio o solo dall’esperienza o vivendo in un contesto sociale dove non possiamo immaginare il futuro dei nostri mondi e dei nostri territori, se non attraverso un esercizio di simulazione. Anticipare tutti i problemi e le criticità che potrebbero manifestarsi è la vera sfida e le tecnologie digitali possono davvero essere i mezzi più indicati per farlo. Le tecnologie didattiche richiedono infatti che ci siano dei processi evolutivi: dalla progettazione, al design, ai tentativi di trovare i giusti canali e mezzi di content creation e content curation; e poi la pubblicazione dei prodotti, la raccolta dei feedback, il confronto con gli altri (coproduttori o fruitori) e l’eventuale successiva rielaborazione dei risultati. Partire dagli interessi delle studentesse e degli studenti, per dare a loro la possibilità di sviluppare le idee correlate è una strategia vincente per rimotivarli e per provare a riavvicinarli ai percorsi formali di crescita, rientrando nella scuola, non abbandonandola perché estranea.

Conclusioni

Luciano Floridi ci ricorda quanto sia ancora e sempre più importante non concentrarsi esclusivamente sui contenuti dell’apprendimento, che cambieranno o che saranno comunque disponibili o recuperabili, ma puntare sui linguaggi dell’informazione. Insegnare a gestire le informazioni equivale ad insegnare ad aumentare il capitale semantico, cioè ciò che usiamo per dare significato e senso alle realtà che ci circondano. Il capitale semantico è specifico dell’uomo. Non è terreno dell’intelligenza artificiale. Semanticizzare il mondo vuol dire dunque dare significato e senso alle cose che ci circondano e differenziarci.

Insegnare a pensare, a comunicare in modo preciso e creativo con la nostra lingua madre e con altre lingue, apprendere i linguaggi di tutte le discipline per poter acquisire e comunicare informazioni è una emergenza educativa. Se molti cittadini non riusciranno a raggiungere queste competenze non saranno mai in grado di recuperare il gap ampio e profondo, che traccerà un solco difficile da recuperare col tempo. E allora l’invisibilità potrebbe diventare tanto, tanto rischiosa.

  1. Save The Children (2022). Alla ricerca del tempo perduto. Un’analisi delle disuguaglianze nell’offerta di tempi e spazi educativi nella scuola italiana.

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