Nelle ultime settimane il BYOD (Bring Your Own Device), per lo più smartphone a scuola, ha fatto parlare di sé. Già presente all’interno del Piano Nazionale Scuola Digitale con l’Azione #6, in cui si invitava le scuole ad aprirsi a “politiche per cui l’utilizzo di dispositivi elettronici personali durante le attività didattiche” fosse “possibile ed efficientemente integrato”, il MIUR ha riportato in auge il tema coi Dieci punti per l’uso dei dispositivi mobili a scuola, pubblicati in occasione di Futura, la festa bolognese del PNSD.
Puntare sull’utilizzo dei dispositivi personali delle famiglie non vuol dire solo realizzare un risparmio per le scuole e per l’amministrazione centrale, ma anche ribadire che i device sono solo un mezzo, non il fine dell’azione educativa; che vogliamo incoraggiarne un utilizzo consapevole e positivo, toccando anche temi fondamentali di Educazione alla Cittadinanza Digitale; e che il Digitale trasforma non solo gli ambienti di apprendimento, ma anche le metodologie.
Le regole su smartphone a scuola: quello che il decalogo non dice
Ci sono anche delle cose che il Decalogo, per il momento, non dice. La prima, è che il BYOD non si può improvvisare. Non si può entrare in classe una mattina esclamando: “Ragazzi da domani useremo i vostri smartphone/tablet/notebook durante le lezioni!”. Ogni scuola dovrebbe prevedere il BYOD all’interno del Regolamento d’Istituto ed inoltre sarebbe davvero necessario redigere una PUA, ovvero una Politica d’Uso Accettabile e Sicuro della Rete all’interno della quale ogni scuola elenca non solo le strategie per garantire la sicurezza legata all’utilizzo delle TIC, ma soprattutto le norme e le linee guida che intende darsi per l’impiego vero e proprio dei dispositivi connessi. Oltre a questo, da un punto di vista educativo, sarebbe necessario condividere un Patto Formativo, soprattutto per il primo ciclo, sia con gli alunni che coi genitori. In Rete se ne trovano di ben fatti e sono fermamente convinto che, come educatori, sia una carta fondamentale da giocare.
BYOD sì, ma con una rete performante e le dovute precauzioni
Darsi delle regole riesce comunque abbastanza bene alle varie scuole, ma ci sono degli elementi che non possono davvero essere trascurati. Il primo è sicuramente la Rete. Il BYOD funziona davvero nel momento in cui all’interno delle classi è presente un Wi-Fi performante, con una connessione in fibra ottica in grado di permettere ad almeno una classe di 25 alunni di navigare senza problemi. Il Bring Your Own Device ci consente di risparmiare sull’acquisto dei dispositivi, ma non ci esonera dall’avere un accesso veloce e stabile ad Internet. Giocare la partita dei fondi PON almeno per questo aspetto è imprescindibile.
Non solo: i dispositivi hanno batterie che si scaricano, e che quindi necessitano di essere ricaricate (perché in molti casi non arriveranno alla fine della mattinata). Smartphone e tablet possono essere “salvati” dai powerbank, le ormai diffusissime batterie portatiti, mentre per i notebook la cosa si fa decisamente più complicata. Occorre dirlo chiaro e forte: no a soluzioni fai-da-te con prolunghe, multiprese ed adattatori. Investiamo in un buon angolo ricarica, anche mobile, oppure in un elettricista, perché con la sicurezza non si scherza.
Fortunatamente la strada non è tutta in salita. I servizi cloud e le web app offrono soluzioni spesso interoperabili che consentono di abbattere le differenze dovute a sistemi operativi diversi, limitazioni a livello di hardware, etc. Questo non vuol dire che lavorare in modalità BYOD sia esente da piccoli problemi o grattacapi di ordine tecnologico, tuttavia con la pratica s’impara a gestire efficacemente anche i contrattempi.
Col BYOD, alunni protagonisti attivi
Una volta poste queste basi, si può iniziare ad impostare il lavoro e ci si renderà subito conto che i vantaggi sono notevoli. Esistono strumenti semplici da utilizzare per condividere lo schermo dei dispositivi degli alunni col computer dell’insegnante e di conseguenza sulla LIM: che si scelga un dongle HDMI come Chromecast o una soluzione software come Reflector 3, ciò che conta è rendere protagonista il lavoro della classe, spingere alla collaborazione, mettere in circolo le idee.
Si possono prendere appunti in maniera multimediale, aggiungendo immagini ed audio ad un quaderno cloud (quindi disponibile sia a scuola che a casa) su Microsoft OneNote oppure su Google Keep. L’insegnante potrebbe anche continuare ad utilizzare la classica lezione frontale, ma con strumenti come HyperSay, sarebbe in grado d’inserire contenuti interattivi, come domande e sondaggi per gli alunni all’interno della propria presentazione PowerPoint e raccogliere feedback e domande dalla classe in maniera ordinata e continua. Vogliamo che siano attivi, non semplici spettatori, ed i dispositivi personali ci consentono di farlo.
Realizzare con pochi euro ciò che sembrava impossibile
Ci sono inoltre esperienze, realizzabili grazie al BYOD, che fino a qualche anno fa sembravano fantascienza per il 99% delle scuole, come la Realtà Virtuale. Predisporre una postazione per la Virtual Reality, quindi per un solo alunno alla volta, prevede l’acquisto di PC molto potenti, generalmente che vanno dai 3000€ ai 4000€ euro, oltre al singolo visore che può oscillare tra i 600€ ed i 1500€. Cifre astronomiche per una scuola. Esistono tuttavia soluzioni sempre più diffuse che si basano su Google Cardboard, ovvero dei visori (spesso in cartone, appunto, ma anche in plastica) a basso costo da utilizzare insieme agli smartphone. Non si parla più di migliaia di euro, ma di cifre che spesso stanno sotto la decina.
Con il cellulare degli alunni e con un Cardboard si possono realizzare esperienze immersive che lasciano i più giovani a bocca aperta e che hanno molteplici punti di forza: permettono di fare ciò che è poco pratico, oppure molto costoso, o anche pericoloso, se non impossibile; inoltre i maggiori elementi visivi e spaziali aiutano la memorizzazione e permettono di associare concetti a quanto provato e visto all’interno del mondo virtuale.
Così come non abbiamo lasciato nulla al caso in fase di progettazione, anche qui potremo costruire lezioni grazie a contenuti didattici validati dal gigante tecnologico di Moutain View, presenti all’interno dell’applicazione Google Esplorazioni (Android e iOS). L’app viene installata all’interno degli smartphone degli studenti, inseriti all’interno dei visori Cardboard, e con la stessa app il docente armato di tablet lancia immagini a 360° che gli alunni possono osservare seguendo le indicazione (anche sotto forma di frecce o disegni a mano libera direttamente sull’immagine) che il docente darà loro. Si possono visitare decine di musei, fare immersioni nelle profondità dell’oceano, vedere da vicino gli organi all’interno del corpo umano, oppure osservare le bellezze di monumenti ed edifici che si trovano a migliaia di chilometri dalle nostre classi. Consideriamola come una chiave per aprire l’interesse degli alunni ed approfondire innumerevoli tematiche.
Una nuova prospettiva
Con questa prospettiva si capisce bene che la polemica “smartphone sì / smartphone no” all’interno delle scuole ha davvero poco senso. Non è importante il device in sé, ma quello che con esso si riesce a realizzare. La grande sfida sta nel far comprendere alle nuove generazioni che quello che hanno in tasca può essere qualcosa di più che un semplice strumento per comunicare e scattare foto; si tratta a tutti gli effetti di una grande porta su nuove esperienze e nuovi saperi.
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