La sospensione delle lezioni nelle scuole e nelle università a causa dei rischi connessi alla diffusione del coronavirus costituisce allo stesso tempo un problema e un’opportunità di crescita della cultura digitale in Italia.
Il problema è relativo ai rischi di perdita di giornate di istruzione difficilmente recuperabili, specialmente se come è avvenuto sino ad oggi in diverse Regioni italiane abbiamo protratto la sospensione di settimana in settimana, senza possibilità di avere uno scenario certo.
La riprogrammazione, lo slittamento dell’anno scolastico e del calendario accademico, le problematiche legate all’esame di maturità, alle sessioni di esami universitari, e così via, sono una realtà con cui ci confrontiamo come genitori e nel mondo dell’istruzione in modo costante, ora dopo ora.
Da docente penso che quello che possiamo fare in questi giorni è mostrare che siamo una comunità educante che non deroga al patto formativo e che non si abbandona ai momenti di crisi ma reagisce, tutti assieme.
Emergenza covid-19 e resilienza della scuola
È per questo che ricorrere al digitale rappresenta l’opportunità che può nascere da questa condizione di crisi. Non il digitale in sé ma le forme di resilienza che possono passare attraverso la possibilità di continuare a fare lezione o di reinventare il modo di fare lezione attraverso sistemi e piattaforme che molte scuole e università posseggono già o strumenti più o meno proprietari che già vengono usati ma in modo occasionale e marginale. Il tutto tenendo conto che non siamo tutti ancora pronti, tanto che i ministeri dell’Istruzione e quello dell’Università e della Ricerca hanno creato istantaneamente, per rassicurare il mondo dell’insegnamento, una pagina che illustra diversi tool utili per fare lezione online.
Da genitore, posso osservare come mia figlia, V liceo scientifico di Ravenna, passi da fine febbraio le mattinate con professori che fanno lezioni live su Google Hangouts, condividono materiali su Google classroom e caricano compiti su Drive. Ovviamente smartphone sempre accanto agli schermi di PC o tablet perché le chat Whatsapp di classe e delle varie materie producono costantemente notifiche.
Certo è difficile. Lo è per docenti che spesso hanno utilizzato poco questi sistemi, per ragazze e ragazzi che, di conseguenza, non erano familiarizzati, ma in un paio di giorni la classe ha ritrovato un proprio ritmo. E, certo, cambiano i ritmi, i luoghi e alcune interazioni con i compagni.
Nel pomeriggio però si ritrovano in gruppi per studiare assieme, rendendo l’isolamento più sopportabile. Anche perché la vita comunque continua e il digitale è parte della loro vita quotidiana assieme alla presenza dei corpi. Resta la preoccupazione per l’esame di maturità, e forse, anche su questo, servirebbero meno voci incontrollate e più certezze da parte del Ministero nelle prossime settimane.
Il distance learning nelle università
E in questo il digitale rappresenta un’opportunità. Sono molte le università che hanno, più o meno velocemente, reagito attraverso progetti di distance learning, stimolati anche dal Ministro e dalla Presidenza del Consiglio che nei decreti parlano di sospensione dei servizi educativi e della frequenza “ferma in ogni caso la possibilità di svolgimento di attività formative a distanza”.
Noi, alla Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, abbiamo deciso di uscire da una comfort zone di lezioni registrate da scaricare – che richiedono comunque uno sforzo organizzativo ma che traducono la relazione con gli studenti a un’attività di semplice download – per sperimentare una didattica a distanza in tempo reale con le nostre classi.
E così, lunedì scorso, come altri docenti ho programmato, nello spazio moodle che uso per il blended learning del mio corso, una videochat con il plugin di Blackboard Collaborate che mi ha permesso di fare uno streaming – registrato e scaricabile per chi non potesse assistere – in cui condividere slide, interagire in vocale e chat con 130 studenti curiosi e particolarmente interattivi. Sono una generazione particolarmente abituata all’interazione online che si è comportata come in una di quelle streammate su Twitch, in cui si alterna silenziosa attenzione a discussioni animate con domande ed esempi. Per tutti noi si è trattato di cliccare su un bottone di accesso: il resto è tutta interazione da sperimentare e produzioni di contenuti da sollecitare. E gestione di tecnici e servizi informatici di Ateneo che hanno permesso in questa prima settimana, presidiando un help desk e rafforzando i server e monitorandoli costantemente, di reggere online in streaming 1.000 utenti simultanei e un numero complessivo di utenti nell’arco di ogni giornata vicino ai 10.000 e coprire il 60% dei corsi erogati nel semestre.
La tecnologia era già lì, probabilmente sottoutilizzata, come in tante altre realtà universitarie, e la condizione di impossibilità generata dal Covid-19 ha funzionato da acceleratore culturale nell’accettare l’innovazione. I risultati, ne sono certo, si potenzieranno e miglioreranno nella prossima settimana (ma forse dovrei usare il plurale, guardando i dati esponenziali di diffusione del virus), le modalità didattiche si affineranno, le interazioni si arricchiranno attraverso le possibilità di contatto, verifica, condivisione e produzione che la piattaforma consente. Perché siamo tutti consapevoli che la formazione non è distribuire contenuti ma è ciò che produciamo mentre interagiamo; e come siamo cambiati, docenti e studenti, dopo questa interazione.
Vincere le resistenze
Le preoccupazioni e le resistenze, in particolare nel mondo della scuola, restano, come leggo nei quotidiani e in blog di docenti: “molti ragazzi non hanno Internet a casa”, “diversi non hanno computer per guardare video lunghi”, “non siamo formati per fare queste lezioni”.
Il problema del digital divide – tecnologico, sociale, culturale, ecc. – è sicuramente un’argomentazione valida da affrontare a condizione che non si trasformi in una retorica, una polemica pelosa, un “sì, però” da utilizzare come scudo di rifrazione.
Questi dubbi li ho posti a mia figlia che, forse sbrigativamente, ha detto: “ma non hanno uno smartphone? Noi possiamo seguire volendo tutto da lì”. In Italia, dati Digital 2019 We Are Social, la penetrazione dello smartphone è del 76% – la maggioranza sono i più giovani – e quella di Internet del 92%. Possiamo certo fare di meglio, ma la risposta attraverso il digitale al momento riempiendo di senso quello che rischiava di essere un vuoto. Una risposta concreta ma anche simbolica. E il simbolico è qualcosa che non è solo una potenza devastatrice (come quando i simboli diventano strumenti di divisione) ma qualcosa che ha la capacità di unire e integrare la società, almeno per come ci hanno insegnato Émile Durkheim e Marcel Mauss.
E anche discutere del fatto che i più piccoli non sono adatti a questa modalità a distanza mi sembra una critica di superficie. Almeno a sentire Fabiola, maestra di scuola primaria, che mi ha detto: “oggi su weschool ho messo le board con tutti i link alle canzoncine e video didattici vari. Poi gli caricherò letture, schede e se riesco faccio una live, visto che hanno appena messo questa opzione in piattaforma. Chiederò a loro di scrivere qualche frase e mandarmi i loro disegni tramite foto. Mi sembrano contenti! É una totale sperimentazione perché hanno tra i 6 e i 7 anni! Però la preside mi ha autorizzato per cui son partita! Vediamo che succede!”.
Conclusioni
Alla fine di questo periodo in cui l’emergenza didattica si tradurrà in metodo di gestione della didattica attraverso il digitale avremo aumentato le nostre competenze, scoperto soluzioni da utilizzare in condizioni di normalità, accresciuto l’accettazione del digitale come risorsa all’interno di un altro ambito della vita quotidiana che non sia l’intrattenimento o l’informazione.
Il fatto che lo sperimenteremo in massa – docenti, studenti, tecnici e famiglie – potrà farci superare la naturale soglia di resistenza all’innovazione in questo ambito e uscire dalla retorica della curiosità per il nuovo, perché vivremo questa possibilità come più naturale e accessibile. Dipende da noi e dalla capacità di trasformare, per una volta, il racconto sul digitale in un’esperienza concreta.