I nuovi media hanno dissolto molti confini, per le potenzialità comunicative istantanee tra molteplici spazi: gerarchici, di genere, della partecipazione democratica ma anche, non ultimi, confini geopolitici. La tendenza è quella di un nuovo sistema globale dai confini sempre più porosi, con un continuo passaggio tra scenari e contesti.
Cos’è la flipped classroom
Le modalità didattiche della “Flipped Classroom” (FC) tendono a tradurre questo modello in un’opportunità didattica: utilizzando le potenzialità dei nuovi dispositivi digitali si scompone la lezione in più momenti, dentro e fuori la classe (Mary Beth et al. 2015).
Si parte da una fase preparatoria nella quale gli studenti possono fruire di materiale fornito da un docente o semplicemente già esistente nella rete; questo può essere ovviamente un video o siti in qualche maniera accreditati, scientifici o documenti (come le teche Rai o gli archivi dei giornali) per familiarizzare con l’argomento della lezione.
In questa maniera anche gli allievi più insicuri possono armarsi per ricche argomentazioni durante la lezione: questa infatti perde il suo carattere verticale (questa tipologia può benissimo essere registrata e lasciata a disposizione on line) per diventare un seminario interattivo in presenza, in pieno spirito costruttivo, dove il docente dopo aver fornito delle informazioni elementari – come l’argomento che verrà trattato – condurrà la discussione sulla base del materiale raccolto dagli studenti, in modo da generare nuovo sapere assieme a loro.
L’attività seminariale ovviamente, per un approfondito livello di discussione, è bene si basi anche su testi scientifici come, ad esempio, quelli dalle biblioteche elettroniche delle rispettive università, da Google Scholar o da parti accessibili di Google book.
Inoltre, possono rimanere a disposizione poi le classiche slide riassuntive del percorso indicato dal docente, arricchite da quanto prodotto insieme agli studenti.
Infine, si possono aprire dei gruppi di discussione, con la partecipazione dello stesso docente, la cui funzione ovviamente non è solamente quella di rispondere alle domande sull’argomento, ma di fatto anche di supportare gli studenti nel loro studio e sviscerare i dubbi che possono sorgere nella lettura dei classici libri di testo.
Se l’impegno di preparazione della lezione è sicuramente maggiore alla lezione tradizionale, il docente può essere supportato, anche per le competenze surmediali (sui media della surmodernità, che si aggiornano costantemente) da un tutor, ponte tra diverse generazioni mediatiche.
FC è in sostanza un ribaltamento del tradizionale metodo scolastico: ciò che veniva fatto in classe e a casa viene capovolto. Così facendo si spostano i momenti e luoghi degli obiettivi didattici, che erano così ordinati – utilizzando la tassonomia di Bloom -: ricordo, comprensione, applicazione, analisi, valutazione e creazione (Min Kyu et al. 2014).
Così si può utilizzare il mezzo migliore per l’argomento e obiettivo: se il sistema di reti sociali è opportunistico, nel senso che si utilizzano i nodi accessibili più vicini, così anche può diventare l’utilizzo dei diversi supporti.
I momenti nel quali si costruisce il ricordo e la comprensione possono venire quindi anticipati rispetto alla lezione in aula, nella quale invece si possono praticare così già anche l’applicazione, l’analisi, la valutazione e la creazione, azioni queste che possono essere supportate dai dispositivi mobili a disposizione degli studenti.
Le tecnologie che si impongono come killer app non sono solo hardware e software, ma pratiche culturali che fondono questi in organismi sociotecnici (es. gli smart mob): il punto di forza del modello FC è la pratica della partecipazione-condivisone sociale che ruota intorno alle web community.
Una premessa metodologica forse è necessaria: la FC preesiste come forma latente e non definita alla sua concettualizzazione. Appartiene a quei fenomeni la cui conoscenza genera anche l’oggetto, come le costellazioni ad esempio. Pertanto è utilizzare qualcosa che in potenza già c’è, per una migliore didattica, gli studenti smanetterebbero sui tab e gli smart e così i loro genitori con whatsapp, importante è saper leggere e utilizzare questo per costruire una virtuosa comunità di apprendimento: un ambiente cooperativo di condivisione delle informazioni, delle domande e delle risposte per i lavori di gruppo (Kong 2014).
Fino al 2015 non abbiamo trovato letteratura scientifica che attesti la miglior resa degli studenti nella Fc rispetto a quella tradizionale (O’Flaherty, Craig 2015; Findlay-Thompson, Mombourquette 2014), così come non c’era per le precedenti forme di e-learning.
Però nel 2017 sono usciti dei risultati che metterebbero in luce una correlazione positiva tra competenze informatiche-comunicative e apprendimento: ovvero nella FC, quelli che hanno altre capacita di auto-efficacia nel web imparano di più rispetto a chi ha inferiori capacità. Un nodo non da poco legato, una volta ancora, al divario digitale.
Molti concordavano comunque nel dire che v’è una maggiore soddisfazione negli alunni (Roach 2014; Chih-Yang et al 2014; Jacot et al. 2014): a questa si potrebbe agganciare la correlazione studiata tra agio nella classe (in questo caso la classe è fusa con tutto l’ambiente mediatico digitale a portata degli studenti) e resa scolastica.
A questo va aggiunto, sempre da letteratura del 2017, che la motivazione ha una ricaduta positiva sulla soddisfazione, e che la motivazione, a sua volta, può essere incrementata dall’utilizzo di video e podcast associati a momenti riflessivi, così migliorerebbe anche il successo degli studenti.
Nel 2018 sono uscite anche ricerche che hanno sottolineato come l’integrazione (“the incorporation”) della FC nella didattica conduce ad un incremento statisticamente significativo dell’appredimento degli studenti, soprattutto di quello di lungo periodo.
La FC genera inoltre un senso di appartenenza superiore ai metodi tradizionali che si traduce in maggior tempo dedicato allo studio, in quanto si contribuisce, così, alla comunità di apprendimento.
Anche a titolo personale si è riscontrata una grande acquisizione di responsabilità in diversi studenti che costruendo gruppi di lavoro si sono dimostrati attivi nell’analisi di testi, nell’elaborazione tematica di argomenti, sì da trasformarsi in articoli, paper e progetti concreti sul territorio.
Come ottimizzare la flipped classroom
Rimangono invece valide le linee guida per la costruzione di una Flipped Classroom, centrate sull’apprendimento dello studente e suddivise su quattro fattori fondamentali (Min Kyu et al. 2014).
1) Il docente deve provvedere a:
– Incentivare lo studente affinché si prepari per l’incontro in classe
– Ideare meccanismi di valutazione della comprensione degli studenti
– Ricercare rapidi feedback per adattare il lavoro individuale e di gruppo
2) Allo studente deve essere assegnato il tempo sufficiente per svolgere quanto richiesto
3) Per garantire la presenza sociale si devono fornire:
– Assistenza nella costruzione di una comunità di apprendimento
– Tecnologie famigliari agli utenti e facilitazione al loro accesso
4) Questo sistema si basa sulle potenzialità dell’intelligenza collettiva-connettiva, pertanto si verifica uno scambio continuo: gli studenti possono attingere da un sapere globale ed il docente si pone nella posizione di accogliere ed elaborare nuove informazioni e collaborare alla costruzione di sapere. Per la presenza cognitiva dei discenti devono essere comunicati:
– I valori aggiunti della preparazione e condivisione del lavoro
– Chiari collegamenti tra le attività nella classe fisica e quella in rete. Di fatto la classe fisica si fonde con quella in rete e ne diventa una parte integrante.
– Orientamenti ben definiti e strutturati del lavoro da svolgere
La classe capovolta rappresenta l’evoluzione dell’e-learning, con superamenti dei primi ostacoli: il peso della ricerca e costruzione della didattica non solo non è tutto sul docente (ed eventualmente sul tutor), ma un grande contributo deriva dalla classe.
Il fermento comunicativo che ne deriva è tale che si abbatte anche quella sensazione di solitudine e lontananza dalla classe, che aveva caratterizzato, almeno da interviste, le prime docenze in ambienti e-learning.
Allo studente si offrono delle modalità didattiche direttamente collocate all’interno del suo orizzonte comunicativo, utilizzando i suoi media e i suoi codici, integrandolo poi con supporti più tradizionali, come il vecchio libro di testo (possibilmente in formato e-book).
Lo studente stesso può così reperire e organizzare i suoi contenuti, ma anche reciprocamente con tutta la classe, e ipoteticamente, con tutti gli studenti del mondo che stanno affrontando quel percorso o che ne abbiano lasciato tracce in rete.
Quest’ultimo però deve essere motivato e competente ed avere adeguati strumenti a supporto. Purtroppo la situazione attuale non permette questo salto qualitativo vista la condizione di docenti sottopagati, precari e che magari devono utilizzare, oltre che il loro tempo libero, anche i loro supporti privati per costruire dei contenuti utili a tale metodologia didattica.
Ciò che rende a dimensione umana e fa la differenza da una fruizione passiva è l’elemento umano stesso: insieme docente, tutor e studenti rendono viva e pratica culturale tecnologica l’aula così come i soggetti collegati tra di loro rendono vivo, intelligente e connettivo lo sciame che si crea negli smartmob (Rheingold).
Sulla motivazione di questi si deve puntare: motivazione che va rafforzata sia attraverso l’agilità nell’utilizzo delle nuove tecnologie ma anche nella motivazione di dar valore agli insegnanti e al contenuto stesso della lezione, ovvero la cultura.
Soltanto così avrà valore e interesse l’utilizzo di strumenti multimediali socialmente connessi ai fini didattici, altrimenti sarà solo una dispersione, una finestra, verso altri riferimenti, di intrattenimento, di comunicazione, ma non di accrescimento del sapere.
Affinché una persona e una società investano in sapere a questo deve essere riconosciuto valore così come agli operatori della conoscenza stessa: si tende a condividere ciò che è riconosciuto come un valore e si è motivati a farlo se vi sono le giuste ricompense sociali.
Imparare dal passato per non ripetere gli errori
Una decina d’anni fa grande era il fermento nel mondo della didattica e della ricerca sul tema dell’e-learning.
Dalle prime ricerche sulle esperienze degli studenti e dei docenti in corsi estesi, si decretò all’unanimità l’importanza della componente umana nell’influenzare la qualità dell’e-learning.
Indispensabile risultò la figura del tutor che mediava i rapporti fra studenti e docenti e traghettava entrambi verso i nuovi media, oltre che seguire e rispondere nella maniera più rapida possibile alle richieste dei discenti per non far sentire assente l’istituzione.
Infine, sia per ovvietà e sia perché c’erano delle ricerche che sottolineavano il diverso grado e qualità di ricordo generato da diverse tipologie di esperienze didattiche (video ottimo per memorizzare per concetti concreti, lettura necessaria invece per i concetti astratti, l’interazione il giusto compromesso tra le prime due), e probabilmente anche per l’anglofilia ancora imperante, si stabilì all’unisono che il metodo blended era il migliore.
Nel complesso sono state fatte importanti esperienze nell’ambito accademico più accreditato.
In ultima istanza però ci si accorse che un e-learning di qualità richiedeva degli oneri superiori alla didattica tradizionale: costruzioni del materiale, seguire la classe online, videoconferenze in ore consone agli studenti che scelgono questa modalità (per lo più lavoratori), ritardi nel conseguimento della laurea (che pesano a livello finanziario sulle università).
Inoltre, nei casi di corsi virtuosi i picchi nel numero degli iscritti online paventavano il rischio di un accelerato svuotamento delle aule oltre che l’inutilità di una imponente struttura organizzativa, degli edifici e di un corpo docente non giovane e poco propenso a stravolgere anni di preparazione didattica nel frontale.
Alla fine, pare che i soggetti che abbiano veramente trovato giovamento nell’e-learning siano state alcune università private con docenti giovani sottopagati, nate per servire a studenti non frequentanti, pronti a pagare molto di più per arrivare ad un pezzo di carta, senza l’impegno di un tradizionale percorso universitario, una laurea comunque riconosciuta che potesse servire a scatti di carriera ma purtroppo non certo ricercata per un ingresso nel mercato del lavoro.
Esistono purtroppo realtà universitarie dove il docente è contrattualizzato per produrre un corso che poi viene ripetuto indipendente dalla presenza didattica dell’insegnante e tanto meno da un suo aggiornamento.
La classe capovolta può essere una risposta adeguata ad alcuni dei problemi appena esposti tanto per il materiale, quanto per il percorso che di fatto viene costruito assieme agli studenti, i quali passano così non solo informazioni al docente, ma anche lo aiutano nella fruizione degli stessi, oltre che nel comprendere i loro media e i loro codici.
Questo metodo richiede comunque la presenza fisica degli studenti in un’aula e la necessità di una classe docente ben motivata. Al contempo si verifica una facilitazione dell’interazione con gli studenti e i mezzi sono diffusi e presenti nella classe attraverso i dispositivi degli stessi studenti.
Nell’attuazione per quanto possibile di questa modalità, si riscontra grande acquisizione di responsabilità in diversi studenti che costruendo gruppi di lavoro si sono dimostrati attivi nello studiare attualissimi saggi internazionali, hanno condiviso elaborati con i supporti dell’aula, hanno riflettuto insieme in maniera approfondita su tematiche del corso – tanto da offrire le basi per articoli su questa rivista -.
Inoltre, la costruzione insieme agli studenti di momenti formativi e divulgativi verso un pubblico più ampio, partendo proprio dalla collaborazione che nasce da queste premesse didattiche, ha altresì permesso di imparare tantissimo dai giovani sui loro media e codici, su una loro etica e sul loro mondo.
Queste sono le premesse, non solo per una buona didattica, ma per rinnestare una continuità e reciprocità generazionale che da alcuni decenni in Italia manca.
Passaggio ed equità di opportunità interrotta che speriamo di reintrodurre almeno nella sfera che, da docenti, con loro condividiamo e renderli così, almeno in questa, coprotagonisti: quella dell’Istruzione, base per il futuro che verrà.
Era Meyrowitz che sosteneva il superamento dei confini attraverso i media, in No sense of place, speriamo, che con la Flipedd Classroom, riusciremo ad andare anche oltre il senso del tempo, che a volte, ha determinato chiusure ed incomprensioni tra le generazioni.
Le ultime esperienze, vantaggi e svantaggi
Molte le esperienze recenti in fatto di flipped classroom, per cui è possibile trarre un bilancio su ciò che abbiamo capito per questa modalità innovativa di insegnamento. Tra cui i vantaggi e gli svantaggi, numerosi in entrambi i casi. Vediamoli in questo articolo sulle ultime esperienze della flipped classroom.
FONTI:
Aidinopoulou, V., & Sampson, D. G. (2017). «An action research study from implementing the flipped classroom model in primary school history teaching and learning», “Journal of Educational Technology & Society”, 20(1), 237e247
Chih-Yanh Chao, Yuan-Tai Chen, Kuei-Yu Chuang (2015), «Exploring Students’ Learning Attitude and Achievement in Flipped Learning Supported Computer Aided Design», Comput Appl Eng Educ 9999 (2015), pp. 1–13
Heng Ngee Mok (2014), «Teaching Tip: The Flipped Classroom», “Journal of Information Systems Education”, Vol. 25(1) Spring 2014
Jacqueline O’Flaherty, Craig Phillips (2015), «The use of flipped classrooms in higher education: A scoping review», “Internet and Higher Education” 25 (2015), pp. 85–95
Mary Beth Gilboy, Scott Heinerich, Gina Pazzaglia (2015), «Enhancing Student Engagement Using the Flipped Classroom», “Journal of Nutrition Education and Behavior” Volume 47, Number 1, 2015
Melanie T. Jacot Jason Noren Zane L. Berge (2014), «The flipped classroom in training and development: fad or the future? » -, “PhD Performance Improvement” vol. 53, no. 9, October 2014
Min Kyu Kima, So Mi Kimb, Otto Khera, Joan Getman (2014), «The experience of three flipped classrooms in an urban university:an exploration of design principles», “Internet and Higher Education” 22 (2014), pp.37–50
Nicola Strizzolo (2007), “Processi formative nella formazione a distanza”, Forum, Udine
Ramazan Y (2018), «Exploring the role of e-learning readiness on student satisfaction and motivation in flipped classroom», “Computers in Human Behavior”, 70 (2017), pp. 251-260.
Sandi Findlay-Thompson, Peter Mombourquette (2014), «Evaluation of a flipped classroom in an undergraduate business course», “Business education & accreditation”, Volume 6, Number 1 (2014)
Sharon See, John M.Conry (2014), «Flip MyClass!A faculty development demonstration of a flipped-classroom», “Currents in Pharmacy Teaching and Learning” 6(2014), pp. 585–588
Siu Cheung Kong (2014), «Developing information literacy and critical thinking skills through domain knowledge learning in digital classrooms: An experience of practicing flipped classroom strategy», “Computers & Education” 78 (2014) 160-173
Stylianos S., Demetrios G. S. (2018), «Investigating the impact of Flipped Classroom on students’ learningexperiences: A Self-Determination Theory approach», “Computers in Human Behavior”, 78 (2018), pp. 368-378
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