didattica ludica

Gamification per formare i docenti: strategie innovative per i corsi DM 66



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Il DM 66 mira a potenziare la formazione docenti attraverso percorsi che integrano tecnologie digitali e metodologie innovative, nonostante le criticità legate a istruzioni operative poco dettagliate e a una variabilità nei livelli di competenza degli insegnanti

Pubblicato il 20 mar 2025

Pier Daniel Cornacchia

PhD in Educazione nella Società Contemporanea presso l'università degli studi di Milano Bicocca



shutterstock_2439362887 Who is Danny

La formazione docenti è considerata un’urgenza per il mondo della scuola, perché gli insegnanti e gli alunni stiano al passo con i tempi e facciano un’esperienza scolastica che sia davvero significativa per quello che è il mondo d’oggi.

Tuttavia, non molto è stato scritto riguardo al come formare la classe docente, affinché l’innovazione tecnologica e metodologica non sia più solo una prerogativa di altri paesi. Per questo, con il seguente articolo si intende dare un primo riscontro su alcuni dei corsi per docenti, avviati in accordo con l’offerta del DM 66.

A seguito di alcune brevi considerazioni su questa azione del PNRR,  si passerà a raccontare parte del processo di progettazione di uno dei corsi previsti dall’offerta formativa, cioè sulla didattica con il gioco, nella speranza che ciò risulti utile a capire non solo le problematiche inerenti l’ideazione e la conduzione di una formazione docenti, ma restituisca il senso potenziale ed effettivo di questi processi formativi.

Le criticità del DM 66 e le sfide della formazione digitale

Il DM 66 del 2023 ha definito un’azione di potenziamento dell’offerta dei servizi all’istruzione “dagli asili nido all’Università”, come parte del Piano nazionale di ripresa e resilienza, a favore di tutte le istituzioni scolastiche statali, per la realizzazione di percorsi formativi per il personale scolastico sulla transizione digitale nella didattica e nell’organizzazione scolastica, in coerenza con i quadri di riferimento europei per le competenze digitali DigComp 2.2 e DigCompEdu.

A questo decreto sono seguite delle istruzioni operative che definiscono diverse questioni, già analizzate in un articolo, in cui si sottolineano non solo le difficoltà e le tempistiche infelici, ma anche la previsione di un basso impatto. In queste istruzioni si stabilisce che le formazioni debbano riguardare una serie di tematiche: le pratiche innovative, il potenziamento dello STEM, le metodologie didattiche innovative per l’insegnamento e l’apprendimento etc. In questa offerta si definisce anche più nello specifico quali tecnologie o quali approcci prevedere, definendo come possibili scelte il making, il tinkering, il VR, l’AR, l’utilizzo del gioco e così via. Il focus sulle tecnologie digitali deriva dall’irrisolto problema del Gap digitale della scuola italiana, dovuto in parte anche a una reticenza tecnologica da parte di dirigenti, accademici, e anche di molti insegnanti; conseguentemente, il sistema della formazione italiana continua a trovarsi in ritardo rispetto a molte altre nazioni d’Europa.

I limiti operativi dei corsi DM 66 e le ambiguità normative

Per quanto sia apprezzabile lo sforzo di chiarimento di alcune parti delle istruzioni operative, purtroppo, queste invitano a rifarsi ai framework del DigComp, ma non chiarendo quanto fedelmente. I framework europei prevedono, per esempio, che le proposte formative debbano definire il livello in entrata e in uscita, rifacendosi alla scala QCER A1-C2, ma nei documenti del DM 66 non c’è alcuna indicazione in tal senso. Ciò rende difficile capire il livello di competenza in entrata di chi si appresta a fare questi corsi e, analogamente, non permette di definire il livello che ci si può aspettare in uscita.

È plausibile che chi ha progettato tale azione PNRR, avendo in mente le statistiche sulla digitalizzazione degli insegnanti, supponga che nel complesso il livello degli insegnanti sia da principiante o poco più rispetto ai diversi argomenti da trattare. A rendere ancor più complessa la questione delle impostazioni di queste formazioni, è la loro durata, perché ogni scuola decide per ogni corso il numero di ore previste, andando da un minimo di 10 a un massimo di 25. Come se non bastasse, non c’è nemmeno chiarezza su come debbano essere condotti questi corsi: sono infatti concesse sia le modalità online, in presenza o in modalità mista, a prescindere dalla tipologia di corso erogato e, in aggiunta, non può essere richiesto lo studio individuale, perché l’unico requisito per il rilascio della certificazione del corso è la presenza. Certamente l’online garantisce una copertura maggiore dei pochi formatori certificati in Italia, che possono soddisfare l’interesse formativo degli insegnanti ovunque nella penisola, ma dall’altra si potrebbe mettere in discussione quanto sia possibile formare nell’uso di alcune tecnologie, se non facendo stare il formatore assieme ai docenti nello stesso ambiente e operando sull’hardware. In generale, il decreto e le istruzioni operative non prevedono delle linee guida su come portare avanti le formazioni e non è stato previsto un monitoraggio e nemmeno una loro valutazione. Perciò, diventa particolarmente difficile capire, non solo come andrebbero impostati questi corsi, ma diventa pressoché impossibile definire quale sarà l’impatto di tutta questa azione PNRR.

Cos’è la didattica con il gioco: approcci e tipologie

In vista delle erogazioni, sono stato chiamato da un ente di formazione a portare avanti alcuni di questi corsi inerenti la didattica con il gioco per diverse scuole in Italia in modalità esclusivamente online. La sfida di come impostare e condurre questi corsi è stata tutt’altro che semplice sia per motivi legati a questa tipologie di formazioni, come precedentemente spiegato, sia per lo specifico argomento da trattare.

Fare didattica con il gioco si riferisce a una serie di esperienze che sono diventate sempre più comuni soprattutto nel nord Europa e nei paesi cosiddetti anglosassoni; le motivazioni sono legate sia a una maggior abitudine di queste tipologie di scuole a rifarsi a diverse tecnologie, ma anche alla predisposizione all’innovazione, lontana da quella che potremmo considerare la “scuola tradizionale”. Queste esperienze sono principalmente di tre tipologie e sono solitamente definite come:

  • game integration o game-based learning, cioè “imparare giocando” ;
  • game design, cioè “imparare progettando e creando i giochi” ;
  • gamification, cioè “insegnare utilizzando strategie che richiamano al gioco” .

Per le prime due esperienze diventa necessario distinguere fra due macro-categorie di giochi che sono adoperati:

  •  i giochi digitali, cioè i videogiochi come quelli commerciali, i giochi che includono i robot educativi o i videogiochi progettati con un intento didattico;
  • i giochi analogici che includono i giochi da tavolo, i giochi all’aperto (sociali e di movimento), i giochi carta-matita, i giochi di ruolo e in generale qualunque gioco che non richiede dispositivi.

I contenuti della formazione sulla didattica ludica e le sfide temporali

Una formazione su questo argomento generalmente include non solo un excursus sulle esperienze e le tipologie di giochi precedentemente descritte, ma anche altre questioni da trattare, come la progettazione didattica con i mediatori ludici, la comprensione di quali siano i giochi più adatti per i propri studenti, il focus disciplinare e la trasversalità, la gestione delle dinamiche sociali quando si fa giocare, come promuovere le modalità ludiche nella propria scuola e l’uso problematico dei giochi (e.g. il cyberbullismo e l’azzardo).

Inoltre, io ho previsto un’apertura a questioni che lo specifico gruppo di formazione solleva come prioritarie. Ad esempio uno dei gruppi in questione mi ha chiesto di fare un affondo sulla gestione comportamentale quando si fa didattica con il gioco. Solitamente, i corsi che mirano a coprire questo range di argomenti hanno una durata di 40-50 ore e, quindi, va da sé che pensare di coprire tutto in 10-25 ore risulti impossibile, per di più non potendo prevedere uniformità nelle abilità dei corsisti in entrata. In aggiunta, molti di questi corsi generalmente prevedono che i frequentanti facciano dei lavori individuali e/o di gruppo fra un incontro e l’altro e/o a fine corso, ma questa possibilità non è formalmente prevista dal DM66.

I contenuti della formazione sulla didattica ludica e le sfide temporali

Rifacendomi a una sperimentazione condotta in Olanda, ho pensato di “gamificare” questi corsi di formazione sulla didattica con il gioco. Questo significa che ho previsto alcune strategie dal sapore ludico per cercare di rendere la proposta formativa più efficace. Questo approccio risulta essere particolarmente significativo, perché, vivendo in un ambiente gamificato, i docenti possono rendersi conto di persona del cosa questo comporti e di come queste strategie possano essere riproposte a loro volta in classe. La prima strategia di gamification che ho implementato è quella della scelta, perché quando si gioca si deve scegliere continuamente, già quando si determina quale gioco fare.

La strategia della scelta e la personalizzazione dei corsi

La scelta è implementata facendo sì che, una volta che sono illustrati i diversi argomenti inerenti la didattica con il gioco, gli insegnanti esprimano le loro preferenze, partecipando a un sondaggio sugli argomenti più d’interesse; così da capire quali argomenti proporre nelle ore a disposizione, qualunque sia la durata complessiva. Questa strategia permette di concentrarsi sulle questioni che risultano utili e interessanti per lo specifico gruppo e di evitare di trattarne altre che facilmente sarebbero viste con disinteresse o addirittura con diffidenza. Infatti, la letteratura avverte che l’uso del gioco non è sempre ben visto da tutti i docenti.

Sfide di gruppo e sistema di punti: incentivare la partecipazione

Un’altra questione che si è cercato di affrontare con la gamification è la tipica bassa partecipazione degli insegnanti nei corsi di formazione, soprattutto quando svolti online. Ho quindi sfruttato due strategie tipiche del gioco. La prima è stata quella di prevedere tante sfide a gruppi, possibili grazie alle breakout rooms dei sistemi di videoconferenza, chiedendo di provare dei giochi, di progettare dei giochi e di realizzare delle progettazioni didattiche integrando il gioco.

Le sfide sono tali quando risultano complesse, non raggiungibili in un solo modo e quando richiedono lo sforzo di tutti i membri del gruppo, che sono invitati ad affrontare le questioni poste in tempi anche serrati. Inoltre, se con il procedere degli incontri si mantengono questi gruppi, si rinforza il senso di interdipendenza positiva. Tuttavia, ci si deve riservare di reimpostare i gruppi nel momento in cui questi risultano poco proficui.

La seconda strategia con fine incentivante è stata quella di premiare gli interventi e i contributi sia online sia offline con dei punti assegnati a tutto il gruppo in formazione e con dei feedback, elemento tipico dei videogiochi oltre che delle buone prassi scolastiche. In questo modo gli insegnanti sono sollecitati a impegnarsi per la propria crescita individuale, ma anche a favorire lo scambio e la condivisione con i propri colleghi.

Al raggiungimento di uno specifico numero di punti si prevede anche un momento di premiazione, così da mostrare come si può incentivare e riconoscere gli sforzi collettivi. Man mano che si raggiungono questi milestone, la natura del riconoscimento, seppur solo verbale e simbolico, deve essere maggiore e rispecchiare l’effettivo progresso del gruppo in formazione.

Solitamente queste premiazioni si fanno più individualmente o per delle squadre, ma volevo che si rinforzasse anche il senso di appartenenza al gruppo più allargato, visto che la collaborazione fra colleghi è uno degli indicatori possibili di efficacia per la didattica, soprattutto per quella ludica. Sarà interessante ricevere dai corsisti un rimando su questa dimensione della premiazione.

La strategia del profiling e l’autovalutazione docente

Infine, un’altra strategia che ho scelto di adottare è quella del profiling, che tipicamente ha luogo nei giochi con la creazione del proprio avatar e impostando la difficoltà del gameplay.  Invece, si è proposto, sempre a inizio formazione, un breve sondaggio per capire le caratteristiche degli insegnanti dello specifico gruppo del corso: le attitudini ludiche e tecnologiche, le opinioni sul mediatore ludico e le abitudini inerenti l’uso dei giochi in classe degli docenti partecipanti etc. In questo modo si può ulteriormente definire su misura la proposta rivolta agli insegnanti di ogni gruppo in formazione. Proponendo un simile questionario a corso concluso, dovrebbe diventare evidente se ci sono dei cambi nelle attitudini dei corsisti e quali aspetti del corso si rivelano essere più incisivi e formativi. Inoltre, questo questionario permette agli insegnanti di autovalutarsi, così da guidarli nel capire cosa è cambiato nelle proprie predisposizioni e competenze personali e cosa invece debba ancora essere approfondito per padroneggiare l’approccio ludico.

Resistenze e criticità riscontrate nei primi corsi

Non ci si aspetta che tutte le strategie di gamification implementate nel corso siano ugualmente efficaci o ben accolte da tutti gli insegnanti e, anzi, sarà interessante capire il loro rimando a fine corso per comprendere a quali condizioni è meglio proporre le varie strategie implementate.

Durante i primi incontri di formazione dei corsi già avviati sono state sollevate diverse questioni, che andranno meglio analizzate, una volta che questi corsi sono conclusi. La più evidente è che c’è una certa diffidenza di alcuni insegnanti nei confronti dei videogiochi, a meno che non assomiglino a delle attività didattiche, come quelle ottenute tramite il design delle attività digitali con Learning Apps, Kahoot o Wordwall. Invece, i giochi non digitali sembrano essere molto più popolari e ben visti, probabilmente perché più consuetudinari.

Tentando di proporre anche dei semplici videogiochi  “punta e clicca” o escape room digitali, alcuni docenti hanno addirittura espresso disorientamento, sconsolatezza o preoccupazione, perché si sentono inadatti a giocare a questi giochi; quindi, ancor più, non proporrebbero questi giochi in classe. Queste criticità espresse sono spesso accompagnate dal riconoscere un impaccio con le tecnologie e un “divide” fra gli adulti e i giovani d’oggi. Al contempo, alcuni dichiarano di voler superare questo senso di inadeguatezza e di distacco generazionale. 

Ad ogni modo, altri insegnanti ritengono che i bambini d’oggi stiano già talmente tanto davanti ai videogiochi nel tempo libero, da pensare che la scuola debba in qualche modo porsi come un’alternativa in pieno contrasto a quella che loro ritengono essere una tendenza tecnocentrica.

Criticità strutturali della formazione online

L’altra questione che ho rilevato personalmente è legata al fatto che questi corsi sono pensati per accogliere i docenti di tutto il primo ciclo assieme e, per quanto lo scambio fra l’infanzia, la primaria e la secondaria sia arricchente, ho notato che il dover lavorare a gruppi eterogenei di diversi ordini di scuola ha costituito anche un freno alla loro creatività e alla loro sinergia come gruppo, viste le diverse priorità e focus disciplinari.

Per ultimo, sollevo una questione legata alla formazione online, perché molti insegnanti, seguendo da casa, faticano ad avere la necessaria concentrazione per poter apprendere e lavorare con gli altri; l’apporto del tutor del corso diventa minimo, anche se questa figura doveva essere uno dei grandi punti di forza delle formazioni del DM 66. Infatti, chi ricopre questo ruolo assistito fatica e evita di interagire in uno spazio virtuale; in più, non essendo nemmeno esperto dell’argomento, specie quando non conosce personalmente i corsisti, fatica ad aiutarli a seguire al meglio. 

Riflessioni conclusive e prospettive future

In conclusione, si spera che le strategie precedentemente descritte in parte compensino alcuni dei limiti, inerenti le impostazioni delle formazioni del DM 66, e che si riesca a rendere il fare ludico parte dell’habitus degli insegnanti. La mia analisi finale mette anche in luce come ci sia molto da fare perché gi docenti accolgano l’uso delle tecnologie e portino avanti una didattica più vicina alle modalità e ai bisogni dei bambini e dei ragazzi d’oggi. Questi corsi del DM 66 sicuramente renderanno gli insegnanti più consapevoli del “divide”, legato alle tecnologie e ai costumi dell’infanzia di oggi, ma temo che l’impostazione di questi interventi non permetta al corpo docenti di affrontare nel breve termine queste questioni e, quindi, si rischia di non colmare quel “Gap digitale” che denota gli insegnanti italiani ancor oggi.

Bibliografia

Andreoletti, M., Tinterri, A., & Dipace, A. (2024). Game at School? Italian Teachers’ Perceptions of the Introduction of Games in the Classroom. European Conference on Games Based Learning, 18(1), 63–71. https://doi.org/10.34190/ecgbl.18.1.2657

Palha, S., Bouwer, A., Webb, K., Van Smaalen, D., & Agterberg, D. (2024). Game-based Pedagogy in Teacher Training: Results of a Pilot Course. European Conference on Games Based Learning, 18(1), 677–684. https://doi.org/10.34190/ecgbl.18.1.2698

Plass, J. L., Mayer, R. E., & Homer, B. D. (A c. Di). (2019). Handbook of game-based learning. The MIT Press.

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