Gestire i comportamenti degli studenti e delle studentesse a scuola sembra essere diventato un vero problema. Il refrain “Zitti e buoni” dei Maneskin o la richiesta perentoria di annullare il sarcasmo in aula dei Pink Floyd ci hanno raccontato l’opposizione all’esercizio del potere degli adulti nelle istituzioni scolastiche e non solo. Il tritacarne del mitico video di “The Wall” e i bambini che camminano in fila come degli automi si è fissato nell’immaginario collettivo, che descrive una scuola autoritaria, dove la soppressione dei comportamenti indesiderati da parte degli insegnanti è dominante.
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La gestione della classe, oggi
Come funziona la gestione della classe oggi? Il tema è fondante in qualsiasi approccio educativo ed è una competenza cruciale, che mette alla prova anche gli insegnanti più preparati, più pazienti e più disponibili.
Spesso si fraintende la disciplina con il semplice rispetto delle regole, ma negli scenari di studio collegati al tema è in verità qualcosa di più raffinato e complesso: viene definita infatti “gestione della classe” tutto ciò che l’insegnante mette in opera per stabilire e mantenere un ambiente favorevole alle attività di insegnamento e apprendimento, come dice il professor Mario Comoglio (Charles, 2002). Non si tratta insomma solo di intercettare i comportamenti considerati scorretti e capire quali azioni agire, ma proprio di prendere in considerazione che in un sistema sociale come la classe, anche il linguaggio della gestione deve riferirsi alle dimensioni del gruppo, dell’ambiente, dei contesti nei quali si definisce. In questo sistema l’ordine non riguarda solo gli studenti, ma anche gli insegnanti e c’è un ampio numero di circostanze che ne condizionano la natura, il bisogno di intervenire e le conseguenze (Doyle, 1986).
Clima di classe e apprendimento
In questi anni sempre di più si è compreso non solo che il clima di classe è decisivo per permettere l’apprendimento delle studentesse e degli studenti, ma è diventato propedeutico alla realizzazione di qualsiasi attività, che rischia di fallire sul nascere se i comportamenti agiti non sono sufficientemente pro-sociali e condivisi.
I fattori da considerare per progettare una disciplina di classe efficace
Diversi sono i fattori da considerare per progettare una disciplina di classe efficace e alcuni di loro sono intervenuti nel tempo a complicare le cose:
- La tensione verso i processi di inclusione, che dovrebbero portare gli insegnanti a rispondere ai bisogni educativi speciali di ogni studente: l’attenzione orientata verso qualcuno in particolare potrebbe generare disattenzione e noia in altri;
- La costante attenzione alle reazioni simultanee che si scatenano dopo e durante alcuni eventi;
- La richiesta pressoché immediata di interventi corretti dell’insegnante qualora accadesse qualcosa che turbi il clima (basta un rumore molesto o l’ingresso in aula di un estraneo)
- L’imprevedibilità e la mutevolezza della classe come sistema: magari un giorno è prevista una attività di gruppo, ma mancano tre studenti e l’insegnante deve immediatamente mettere in atto un piano B (e talvolta anche un piano C o D);
- Ogni decisione o azione che l’insegnante prende è sotto gli occhi di tutti e subisce svariate interpretazioni. Se uno studente riceve un richiamo pubblico questo non ha un effetto solo su di lui, ma su ciascuno dei presenti e non sempre è possibile conoscere gli effetti dell’impatto su di loro.
- La classe è un luogo storicizzato, dove alcune azioni avvengono per diversi giorni, per settimane, per anni ed errori iniziali nell’impostazione delle relazioni possono influire anche in futuro e forse saranno difficili da modificare.
- L’ingresso delle tecnologie digitali ha introdotto una variabile, che ha aumentato l’ansia del docente: si trova infatti nella condizione di dovere controllare/monitorare anche la mediazione degli strumenti, talvolta poco accessibile in modo istantaneo e immediato, e di pensare un sistema di regole condivise che restituiscano parte della responsabilità agli studenti (es. se si sta facendo una attività e si prevede l’uso dello smartphone, che sia effettivamente utilizzato per quello e non per fare altro) e delle famiglie (es. se lo studente non cura lo strumento e lo fa cadere o ne manomette il funzionamento non è responsabilità dell’insegnante, ma dei genitori).
Il vero punto di arrivo di un processo educativo
La pandemia e la didattica a distanza hanno svelato quanto il controllo diretto dell’insegnante sortisse effetti deboli, se lo studente non aveva acquisito una buona capacità di riflessione e di consapevolezza sui comportamenti da tenere in certi contesti. La diatriba sulle webcam accese o spente durante le lezioni online o i microfoni che rivelavano desideri diversi da quelli di chi è impegnato in una attività di apprendimento hanno generato ulteriori codici e regolamenti, di tipo esclusivamente sanzionatorio, non tenendo conto di anni di ricerca educativa che ci racconta la scarsa efficacia di questi modelli tutti orientati sullo sviluppo della motivazione estrinseca e ben poco tesi alla costruzione di quella motivazione intrinseca, che rappresenta il vero punto di arrivo di un processo educativo.
Com’è cambiato il paradigma di gestione della classe
Il paradigma della gestione della classe negli ultimi vent’anni è profondamente cambiato: non si tratta più di acquisire un repertorio di tecniche o di strategie di controllo quanto sviluppare una competenza dell’insegnante, che matura una capacità riflessiva adeguata ad intraprendere azioni in quella complessità di variabili che abbiamo descritto e che interagiscono nel momento dell’apprendimento.
Non è quindi mera gestione di una regolazione esterna, ma è sviluppare autoregolazione nello studente: questo porta a pensare alla classe come un luogo in cui generare fiducia e caring fin dal primo giorno per distribuire su tutti la responsabilità dell’efficacia e del benessere e promuovere comportamenti inclusivi (D’Alonzo, 2020). La classe dovrebbe essere tutta orientata verso l’apprendimento e non solo verso i bisogni dell’insegnante, che può rivelarsi talvolta anche poco assertivo, muovendosi in modo ondivago tra comportamenti amichevoli o repressivi a seconda del giorno, dell’azione percepita o del momento dell’anno.
Stabilire subito che cosa ci si aspetta che accada e tratteggiare con chiarezza quali saranno le conseguenze dei comportamenti, che si allontanano da quelli che costruiscono un clima sereno orientato all’apprendimento, trasforma le fughe degli studenti in assunzione di responsabilità. Nel rispetto dei reciproci ruoli è possibile trovare una strada che si allontani dalla repressione come unica via? In questo perfino il digitale può esserci di aiuto: non solo lavorare sulla responsabilità della coerenza dell’uso e del non uso dei dispositivi in classe (per questo si vedano i “Dieci punti per l’uso dei dispositivi personali a scuola”, documento ufficiale del Miur sul tema), ma anche sperimentare alcuni strumenti e ambienti come mediatori e come occasioni per lavorare sui comportamenti da promuovere e da scoraggiare (es. Classdojo) oppure web app che aiutano a regolare la gestione del rumore in aula e le attività di gruppo (es. Classroomscreen).
Il lavoro più duro è quello che porta l’insegnante a sostenere l’autocontrollo, resistendo alla tentazione di punire e basta, di provare a indagare le motivazioni che si celano dietro al comportamento scorretto, cioè quello che altera quel clima desiderato, e di come potrebbe reagire lo studente se imparasse a gestire i suoi comportamenti o quantomeno a ridurne l’impatto su di sé e sugli altri. Una strategia win-win è l’unica che porterebbe soddisfazioni a tutti i protagonisti della storia scolastica: siamo pronti a costruire processi di pace invece di scatenare azioni di guerra a colpi di note e rimproveri?
Bibliografia
Charles C.M. (2002). Gestire la classe. Teorie della disciplina di classe e applicazioni pratiche. Roma: Las
D’Alonzo L. (2020). La gestione della classe per l’inclusione. Brescia: Scholè -Editrice Morcelliana
Doyle, W. (1986). Classroom Organization and Management. In M. C. Witttrock (Ed.), Handbook of research on teaching (3rd Edition, pp. 392-431). New York: Macmillan.