Come per molti della mia età, la voce narrante del giovane Holden Caulfield ha segnato una svolta nella mia vita di lettrice. Da docente spesso l’ho consigliato ai miei studenti, sperando che anche loro ne fossero fulminati. Qualche volta è successo. Di Holden mi colpiva la leggerezza e l’immediatezza con cui, a colpi di poche rapide parole, faceva conoscere al lettore il mondo dal suo punto di vista. Per chi non lo avesse letto, la storia è questa: siamo in America e un ragazzo di sedici anni viene espulso dal college che frequenta in Pennsylvania (è la quarta volta che cambia scuola). Per le vacanze di Natale, deve tornare a casa sua, a New York, e dire ai suoi dell’espulsione. Dirlo a suo padre, che come gli ricorda la sorellina, non appena lo saprà lo ammazzerà. Holden decide di partire però un giorno prima: arriva in città e vagabonda.
Il 13 aprile 2017 sono stati emanati i decreti attuativi della Legge 107. Il decreto 62, in particolare, si occupa delle norme in materia di valutazione e di certificazione delle competenze. Il suo articolo 1, comma 1 definisce che cosa ha per oggetto la valutazione: il processo formativo e i risultati di apprendimento. Poi aggiunge che ha finalità formativa ed educativa, che concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi, che documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove l’autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze. L’autovalutazione è una parte che mancava, sia nelle Indicazioni nazionali (quando se ne parla ci si riferisce solo a quella d’istituto e non a quella degli studenti), sia negli altri testi normativi sulla valutazione (es. il DPR 122/2009). Che cosa significa far autovalutare gli studenti?
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Autovalutazione e Giovane Holden
Tutta la storia raccontata da Salinger si svolge praticamente in poco più di ventiquattro ore, in cui succedono poche cose e non particolarmente interessanti in sé. Quello che inchioda al testo è scoprire il punto di vista di Holden su ciò che gli accade e ricucire le tappe della sua analisi adolescenziale, che spesso dichiara di non avere interesse a raccontarci. Ecco, in Holden ho rivisto i miei studenti. Fanno fatica a parlare di sé, sono reticenti nel raccontare processi, sensazioni, sentimenti in generale, figuriamoci quelli legati all’apprendimento, ai quali spesso non sanno neanche dare un nome. Ma soprattutto chi glielo chiede mai. Se sono aiutati a farlo con qualche mediatore e il clima della classe è progettato perché ciò avvenga, si mettono in gioco e aprono il loro mondo personale e originale, nel quale è giusto entrare in punta di piedi, ma entrare, per abitarlo insieme. L’autovalutazione non è darsi il voto da soli, ma esprimere il proprio “punto della strada”: dove mi trovo, che cosa mi manca per raggiungere l’obiettivo, quali tappe ho raggiunto e come l’ho fatto, di che cosa ho bisogno ancora per procedere, come mi rialzerò quando ci sarà una caduta e non saprò come andare avanti, che cosa ho provato quella volta in cui ho raggiunto una meta e che cosa invece quando l’ho fallita. Quali di queste emozioni ho intenzione di riprovare…L’autovalutazione è la narrazione di un percorso e il narratore è il ragazzo. Lo scopo è metacognitivo ed è qualcosa di talmente raffinato, che spesso i docenti ne hanno quasi timore e hanno ragione: per provocare tutto questo si deve essere disposti a perdere quel potere, che deriva dall’essere onniscenti e onnipotenti in classe. Si deve immaginare, infatti, un docente che definisca chiaramente con gli studenti quali saranno gli obiettivi da raggiungere e in quali tempi ipotetici, che comprenda e coinvolga la classe sulla scelta degli strumenti di cui avranno bisogno e ragioni anche su come supportarli discretamente nel groviglio di strategie, facendo in modo che ciascuno selezioni di volta in volta quelle più adatte a lui, per avviare e controllare i propri percorsi.
La valutazione, strumento di crescita non solo in classe
Appena saputa la notizia dell’espulsione, Holden si reca a trovare il suo professore di storia, “il vecchio Spencer”, che è malato. Holden gli vuole bene, ma non lo sopporta: non sopporta che ripeta le cose sempre due volte, che gli legga il suo brutto tema sugli egiziani e che voglia per forza fargli capire che la storia non l’ha mai studiata ed è per questo che è stato costretto a bocciarlo. Holden scrive: “Non puoi fermare un professore quando vuol fare una cosa. La fa, e basta”. Come si fa a cambiare questa idea che gli studenti hanno di noi? Come si fa a evitare l’autoreferenzialità e provare a cedere terreno per riconquistarlo insieme a loro, non contro di loro? Mentre il prof. gli risponde, Holden già pensa ad altro e si chiede dove vanno a finire le anitre quando il laghetto di Central park gela… Non vi è mai capitato di straparlare in classe e capire che era del tutto inutile? Per questo sarebbe meglio occuparsi di altro: per esempio fare molta più valutazione formativa e non solo valutazione informativa. Chiedere frequentemente agli studenti dei feedback, anche attraverso app digitali che raccolgano le risposte per noi, aiutarli a fermarsi con regolarità mentre si impara, per capire che cosa si sta imparando e se lo si sta facendo nel modo giusto. La scena più seria del romanzo è l’incontro tra Holden e la sua saggia sorellina Phoebe. Si vedono di notte in casa dei genitori. Lei lo ascolta lamentarsi di tutto e di tutti, poi gli chiede: dimmi una cosa che nella vita ti piace, una cosa che tu vorresti fare da grande. Inchioda così il fratello alle sue responsabilità. Vogliamo anche noi fare lo stesso? Fare questo servizio ai nostri studenti e aiutarli a farsi consapevolmente inchiodare alle loro responsabilità? La valutazione dovremmo farla diventare la più preziosa occasione di crescita in classe e fuori. Siamo in un terribile ritardo. Dobbiamo cominciare a lavorare per evitare che gli studenti pensino al voto come qualcosa di casuale (sono stato fortunato) o di punitivo (la professoressa ce l’ha con me). La valutazione è il cuore di quello che facciamo e gli studenti sono perfettamente in grado di capire che se qualcosa cambia è perché sono loro ad essere cambiati. Un po’ come quando Holden visita il museo di storia naturale e trova tutto identico all’ultima volta, in cui c’era stato. “Nessuno era mai diverso. L’unico ad essere diverso eri tu”.
Il digitale per coinvolgere e stimolare i ragazzi
In che modo il digitale può partecipare a questa narrazione? Lo storytelling è un’attività che si sposa bene con la tecnologia. Pensate solo a quanto possono essere potenti ed evocativi strumenti come Instagram o Twitter per fermare una riflessione sul proprio apprendimento con un’immagine e una chirurgica didascalia. A Bologna, durante gli eventi per il compleanno del PNSD ho conosciuto una super docente svedese, Nina Lindström, che è venuta per presentare le Strawbees insieme a Erik Thorstensson. Eravamo a cena insieme e le ho chiesto quale fosse la sua visione della scuola. Lei mi ha detto che aveva solo due priorità: destare amore per la matematica e raggiungere la semplicità. E quando le ho chiesto come facesse ad ottenere questi obiettivi mi ha risposto che era semplice: chiedeva ai ragazzi. Si impegnava tutta l’estate a girare video pratici e fare foto sulle rappresentazioni geometriche, sugli strumenti di misura, persino sulle equazioni, chiedendo spesso alla gente per strada di aiutarla a costruire i suoi modelli. Poi li pubblicava su Instagram e chiedeva agli studenti di commentare o di rispondere ad alcune domande. E sollecitava i ragazzi a raccontare come erano arrivati al risultato di un problema, usando immagini o video autoprodotti, commentando insieme a loro volta per volta ogni tappa e ogni difficoltà incontrata durante la comprensione. Un flusso di narrazione didattica della matematica.
Negli adolescenti la progressiva scoperta di sé è una priorità. Possiamo chiamarlo “imparare ad imparare” e aiutare i nostri ragazzi a vedere nell’altro un aiuto e non un ostacolo. Farla diventare una modalità educativa permanente e faremo loro un regalo per tutta la vita. Secondo la studiosa americana Margaret Heritage, esperta di valutazione formativa, gli approcci metacognitivi includono il dare senso, la riflessione sulle proprie strategie di apprendimento e l’autovalutazione. Ritiene che sia urgente e necessario virare verso una valutazione, in cui gli studenti sono partecipanti attivi e critici. A partire dagli undici/dodici anni, i ragazzi sono maturi per assumere una maggiore consapevolezza di sè stessi come discenti. Vogliamo cominciare a far raccontare la grande avventura dell’apprendimento o vogliamo continuare a piazzare numeri e basta? Holden Caulfield risponderebbe così: “Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti”.