Insegno materie teoriche: Semiotica, Teorie della percezione, Teorie della comunicazione, Marketing e Comunicazione pubblicitaria. La pandemia mi costringe a tenere i miei corsi a distanza, da più di un anno e, sebbene abbia trascorso i primi sei mesi a rincorrere le piattaforme colta alla sprovvista come tutti, a oggi, dopo che di mesi ne sono trascorsi il doppio, e dopo aver trascorso l’estate a rivedere completamente tutti i miei programmi accademici, penso di poter tracciare un bilancio.
Comincio da un aneddoto. Qualche mese fa, uno studente di una classe che non ho mai incontrato di persona, durante la prima lezione del mio corso di “Semiotica dell’arte”, subito dopo aver terminato l’appello, accende microfono e telecamera e dice: “Scusi professoressa, ma noi per caso ci siamo già visti online? Perché mi sembra di aver già avuto una docente con il suo nome il semestre scorso, per una lecture, sempre online, però io seguivo la lezione dal telefono, quindi non vedevo tanto bene. In effetti mi sembra di riconoscerla, ma non ne sono sicuro. Era lei?”.
Questa domanda che sembra strana, ma a pensarci bene forse non lo è tanto, mi è rimasta in testa per tutti questi mesi e mi torna in mente ogni volta che mi connetto per le mie lezioni di didattica online, che ormai proseguono in questa forma ininterrottamente da due semestri. E proseguiranno identiche anche nei mesi a venire, in base alle scelte che le Accademie hanno preso, in funzione delle ultime disposizioni governative.
Piattaforme e apprendimento
Ebbene, pensavo che fosse sufficiente studiare le piattaforme (insegno usando Webex, Teams, Google meet, Zoom, Blackboard), e cambiare metodologia didattica per sopperire alla presenza, generando un nuovo modo di riflettere sul concetto stesso di presenza. Una questione non necessariamente negativa in sé. E invece non è stato così semplice o automatico. Perché non avevo calcolato i problemi di connessione di una buona metà degli studenti, costretti a connettersi dal telefono, senza poter accendere la camera per non essere costretti ad uscire e rientrare dalla stanza virtuale, le loro condizioni familiari che li hanno spesso costretti a fare lezione in luoghi in cui non erano soli, ma circondati da familiari impegnati in altro, la scelta a volte spregiudicata degli orari di erogazione delle lezioni, che per incastrare tutte le aule online in contemporanea, spesso avvenivano in tarda serata.
Tutti elementi che, per l’apprendimento delle lezioni teoriche, hanno un effetto disastroso.
Ancorare l’attenzione di chi ti vede poco e male, non sempre ti sente e spesso non ti sente bene, non è solo in stanza e spesso non ha neanche una propria stanza, e magari è già online da 6 ore per altri corsi, diventa una lotta. Una lotta al secondo, perché tu sai che, per le materie che insegni, se il tuo studente non riesce a rimanere concentrato e non viene stimolato almeno ogni 10 minuti attivamente, perde il filo e tu lo perderai per sempre.
Quando sei in aula, la teoria si fa sguardo, i concetti si fanno suoni, gli esempi diventano gesti. Sai esattamente quando andare avanti e quando fermarti. Quando gli studenti hanno compreso il punto e puoi passare al prossimo, quando invece è il caso di rimanere fermi sullo stesso concetto. Chi coinvolgere e come, per trasformare il gruppo in una comunità, che poi si aiuterà a vicenda. E nessuno studente, per questo, potrebbe dimenticare il volto di un docente, dopo averlo ascoltato. Per un unico motivo. Perché il tuo volto è il volto di ciò che hanno appena imparato.
Online i tempi sono dilatati in modo evanescente e chi non ricorda il tuo volto, non riesce a trovare una corrispondenza tra i tuoi occhi e la tua voce, vuol dire che difficilmente avrà memorizzato il tuo intervento.
Dad e qualità della formazione
In questo senso sono d’accordo con Amos Bianchi, che afferma: “Il processo formativo dell’accademia non è cartesiano: al contrario le menti seguono i corpi, e il soggetto accademico vive nel mondo della vita per restituire il suo operato al mondo della vita. […] E il mondo della vita non può essere rimediato con la didattica a distanza perché vive sul e nel movimento. Vedremo nelle nostre esistenze poche altre esperienze, si spera nessuna, in grado di vincolare in maniera tanto coatta la cinetica dei corpi. Un corpo coatto, costretto alla scrivania, non è il corpo di un soggetto accademico”[1].
E così “Scusi professoressa, per caso ci siamo già visti online?”, è un dubbio che può voler dire molto. Personalmente mi ha fatto riflettere sul fatto che due semestri di lezioni teoriche recepite a singhiozzi, online, non sono pochi. Anzi, sono abbastanza per abbassare la qualità della formazione in modo drastico. Se è vero che “L’Accademia online non è un destino”, è pur vero che il presente è quello che è. Quindi, se non possiamo andare in aula, perché non possiamo andare in aula, allora direi che a noi teorici sarebbe meglio affidare meno ore di quelle previste dal piano di studio in questa emergenza, e lasciare parte di quelle ore previste dal piano ai ragazzi per studiare ciò che noi non possiamo spiegare. In quel modo potremmo usare le ore con loro non per inseguire la loro attenzione, ma per spiegare come si studia la nostra materia e guidarli, appunto, nello studio.
Un’attività, quella dello studio vero e proprio, che invece, adesso, poiché gli studenti hanno la testa completante obnubilata dallo schermo, proprio è impensabile che riescano a fare. E questo, a mio avviso, trasforma l’ironia di uno studente, in un vero e proprio dramma con cui confrontarsi al più presto.
Bibliografia
B.Bruschi, A.Perissinotto, Didattica a distanza: Com’è, come potrebbe essere, La Terza 2020
D.De Notaris, T.Melchionna, V.Reda (a cura di), Didattica digitale. Chi, come e perché, Salerno 2020
- https://www.wired.it/attualita/tech/2021/01/27/accademia-online-formazione-distanza/ ↑