Siamo abituati a pensare che la didattica digitale serva per superare la distanza, quella che si crea – per esempio – quando si chiudono le scuole per una pandemia.
Non è così. Perché il digitale amplia le potenzialità di qualunque intervento formativo: si può far lezione ognuno a casa sua, ma si può anche incidere efficacemente sulla sfera del comportamento, con una didattica nuova centrata sull’esperienza.
Ce lo dimostra un progetto per la scuola secondaria inferiore, finanziato dal Ministero della Salute, che è entrato nella sua fase conclusiva.
Un programma psicoeducativo
Il titolo del progetto descrive bene le sue finalità: “Programma psicoeducativo per giovani di autoregolazione delle emozioni per favorire l’utilizzo consapevole e prevenire l’uso problematico di Internet”. È un programma per studenti della scuola secondaria inferiore, basato su strumenti multimediali interattivi (serious games)
finalizzati a favorire la conoscenza dei principali fattori di rischio e a insegnare abilità utili per prevenire e fronteggiare l’uso problematico di Internet. E non solo.
Poiché il progetto ha un’ottica preventiva, è basato perlopiù sul rafforzamento di fattori protettivi. Questi fattori riguardano l’esercizio di alcune abilità psicosociali che si è visto essere associate a un migliore funzionamento emotivo e sociale e, perciò, a una minore probabilità di sviluppare comportamenti a rischio o disadattivi.
Il progetto, realizzato con il supporto tecnico e finanziario del Ministero della Salute – CCM – Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, è stato coordinato dal Dipartimento Salute e Politiche Sociali di Trento. Ha coinvolto cinque Unità Operative (UO) nelle seguenti Regioni/Province: Provincia Autonoma di Trento, Lombardia, Lazio, Marche e Molise. L’Istituto Superiore di Sanità è tra le UO.
Cercando la “salute mentale positiva”
Sono ormai molte le evidenze scientifiche disponibili sull’efficacia di interventi di promozione della salute mentale nelle scuole per prevenire comportamenti a rischio, problematici e disadattivi. Ma agire direttamente su questi comportamenti, cioè sul sintomo serve a poco. Come dimostra la letteratura scientifica, quelli che producono nei giovani migliori benefici a lungo termine sono i programmi che promuovono le competenze psicosociali generiche, che riguardano perlopiù il funzionamento emotivo e sociale e l’adozione di stili di vita salutari.
La scuola è l’ambiente ottimale per l’implementazione di programmi che promuovono la salute mentale. Per diversi motivi.
- Dal momento che la maggior parte dei bambini e degli adolescenti frequentano la scuola, è questa il luogo ideale di individuazione e trattamento precoce dei ragazzi a rischio di disturbi mentali e/o comportamenti problematici.
- La scuola fornisce una rete di comunità che include pari e insegnanti. Quando vengono coinvolti, diventano un potenziale enorme per influenzare lo sviluppo in età evolutiva.
- Questi programmi-intervento, se integrati nell’ambito di attività scolastiche curriculari, hanno il vantaggio di non essere stigmatizzanti, perché non si rivolgono esclusivamente a ragazzi che presentano problemi psichiatrici o neuropsichiatrici o comportamenti a rischio, ma a tutti gli studenti, con finalità di promozione della salute, quindi oltre che riabilitative anche preventive.
Lo dimostrano numerose ricerche, condotte negli ultimi anni, sui programmi di salute mentale, inclusi quelli rivolti in particolare ai giovani provenienti da realtà a rischio. La letteratura evidenzia che i migliori programmi sono quelli condotti nell’ambito di attività scolastiche curriculari che iniziano precocemente, ovvero in età pre-adolescenziale, e promuovono la cosiddetta “salute mentale positiva” degli studenti mediante il potenziamento di abilità come saper regolare le proprie emozioni, fronteggiare e risolvere problemi e esercitare l’auto-disciplina.
Anche nel contesto dell’uso problematico di Internet e dei videogiochi e del cyberbullismo, promuovere queste abilità può essere uno strumento di prevenzione e protezione. Per sollecitare una maggiore partecipazione e adesione da parte degli adolescenti, si è scelto di promuoverli usando metodi interattivi e, per certi versi, vicini al loro linguaggio. Sembra un paradosso: usare un videogioco contro l’abuso dei videogiochi.
Ma non è così.
A che servono i serious game
Per prima cosa, serve una precisazione: i serious game non sono videogiochi. E, vale la pena di aggiungerlo, non sono “divertenti” nel senso comune del termine, perché non sono fatti per passare qualche ora spensierata. Sono piuttosto esperienze, anche dure, dove l’obiettivo è imparare a vivere.
“Serious game” è il termine in voga da qualche anno per definire le simulazioni digitali interattive: mondi virtuali in cui il “giocatore” è invitato a calarsi in una storia problematica, determinandone gli esiti in base alle proprie decisioni. Non sono storie che finiscono per forza bene ed è per questo che un serious game coinvolge emotivamente e responsabilizza, ma consentendo di affrontare le situazioni in modo nuovo (per esempio, fermando il tempo per pensare invece di reagire), di sbagliare senza conseguenze e, poi, di riflettere sugli errori.
Un serious game, infatti, presenta sempre un doppio livello:
- Al livello più evidente c’è la narrazione di un mondo virtuale, metafora della realtà, in cui si affrontano i problemi visti dal protagonista (che il giocatore, in qualche modo, impersona).
- Al livello sottostante ci sono gli obiettivi di apprendimento, vale a dire quello che il giocatore/protagonista deve acquisire per arrivare a una soluzione soddisfacente. Sono conoscenze e abilità che riguardano le regole di funzionamento del mondo virtuale, il modo con cui si può agire positivamente, le conseguenze degli errori. Sono, insomma, gli “obiettivi didattici” del game.
Tre serious game
All’interno di questo progetto, sono stati realizzati tre serious game, ambientati in una classe di dodicenni, in cui il protagonista (ogni volta diverso) deve risolvere una situazione particolarmente spiacevole mettendo in gioco determinate competenze.
Vediamoli più in dettaglio:
- Nel primo gioco, il tema è l’esclusione. Alessandro viene a conoscenza, quasi per caso di una imminente sfida calcistica tra la sua classe e una squadra di “grandi”. Ovviamente, nessuno ha pensato di convocarlo, né di farlo partecipe in alcun modo.
L’obiettivo è illustrare e far sperimentare alcune abilità di comunicazione (come esprimere sentimenti piacevoli e, soprattutto, spiacevoli) e di espressione delle proprie idee, convinzioni, esigenze e stati d’animo in modo sincero, diretto e non aggressivo (cioè in modo assertivo), così da difendere i propri diritti senza offendere o negare le ragioni degli altri. - Il secondo è centrato su bullismo ed esclusione, ma da una prospettiva diversa di quella della dinamica bullo/vittima. Mirko è combattuto tra un amico bullizzato, immigrato di seconda generazione, e un’altra amica che ha paura di invitarlo alla sua festa perché teme la reazione dei bulletti della classe.
L’obiettivo è affrontare problemi col metodo del problem solving, un modello strutturato (cioè svolto in modo sistematico, secondo tappe ben definite) di soluzione di problemi/raggiungimento di obiettivi, che si è dimostrato efficace per affrontare situazioni difficili e stressanti e raggiungere obiettivi impegnativi. - Nel terzo gioco si affronta l’autoisolamento collegato all’abuso di Internet. Loredana reagisce chiudendosi in casa al presunto abbandono da parte dell’amica del cuore che cresce forse troppo in fretta rispetto a lei.
L’obiettivo è riconoscere comportamenti personali e di gruppo disfunzionali, come l’uso problematico di Internet, e stimolare il cambiamento assumendo un punto di vista diverso, facendo esperienze nuove e accettando qualche regola.
Qui, come in tutti i serious game, tutto dipende dalle mosse del giocatore/protagonista. Deve decidere se studiare o non studiare, cosa rispondere nella chat di classe, come commentare i post di un social network, cosa dire al professore che interroga, ai genitori, agli amici dopo scuola o al telefono.
Ovviamente, è possibile giocare in molti modi, ma il progetto non prevede che i ragazzi vengano lasciati da soli, ad apprendere per prove ed errori.
La sperimentazione
In questo progetto, come dicevamo, il digitale non è “a distanza”. Nella sperimentazione, che ha coinvolto 10 istituti scolastici e 20 classi di II media, si “gioca” (obbligatorie le virgolette) una volta a settimana per due mesi, durante l’orario scolastico, in presenza e non da soli.
I ragazzi vengono divisi in piccoli gruppi, ciascuno con un pc o tablet, e ogni scelta (Cosa scriviamo in chat? Come rispondiamo alla telefonata di Mario? Partecipiamo o no al concorso fotografico?) dev’essere discussa e negoziata. Poi, quando si arriva a un punto prestabilito, l’insegnante interrompe il gioco per una riflessione in plenaria sui temi sollecitati dalla storia: cosa fate se mentre studiate sentite le notifiche del cellulare? Vi siete mai sentiti esclusi da una festa o una partita? Conoscete qualche “bullo”? Come vi comportate nei suoi confronti?
Gli insegnanti aderenti al progetto hanno seguito un percorso formativo curato dall’Istituto Superiore di Sanità su come condurre le sessioni di gioco, stimolare la discussione plenaria e sulle possibili soluzioni. Sono stati dotati di manuali d’uso e di indicazioni (da integrare liberamente) per i momenti di riflessione e si sono avvalsi dell’affiancamento del personale dei servizi di salute mentale, dei dipartimenti di prevenzione e universitari coinvolti nel progetto.
La sperimentazione in queste settimane è ancora in corso, ma dalle informazioni preliminari emergono due aspetti incoraggianti: da parte di ragazzi e docenti c’è un grande interesse per i temi affrontati unito a un notevole gradimento per lo strumento serious game. Anche se è così diverso dai soliti videogiochi.
Una tecnologia aperta
Sul piano tecnico, i tre serious game sono stati sviluppati, in quattro versioni, per garantire la massima diffusione con device e piattaforme diversi.
La versione principale è un learning object Scorm da installare in un Learning Management System compatibile (come Moodle, Docebo e, praticamente, tutti gli altri) o in un qualunque server web. Nel primo caso, traccia come previsto dallo standard Scorm, altrimenti mantiene una memorizzazione locale dello stato della simulazione, per consentire di interrompere il gioco e riprenderlo nello stesso punto.
Lo sviluppo ha utilizzato l’architettura Learning Brick e i linguaggi tipici dell’ambiente web (Html5, Javascript, CSS), per consentirne la fruizione con qualunque browser senza la necessità di alcun plugin.
Poi dalla versione web sono state ricavate tra applicazioni per l’uso in locale tramite i device più diffusi:
- un’app per tablet Android;
- un’app per smartphone Android (con un layout ottimizzato in verticale);
- un eseguibile portabile per Windows.
La differenziazione delle versioni è uno dei punti di forza di questo progetto, perché favorisce la sua disseminazione eliminando almeno i vincoli di carattere tecnologico.
Serious game, bene comune
I progetti, per loro natura, hanno un inizio e una fine. Tipicamente, la fase conclusiva prevede una sperimentazione sul campo, un convegno di fine progetto, magari qualche pubblicazione e poi un lungo oblio in cui i documenti, i prodotti e anche le idee riposano indefinitamente nel metaforico cassetto.
Ma questa volta può andare diversamente. È per questo che la documentazione e i serious game (in tutte le loro versioni) sono e rimarranno liberamente fruibili o scaricabili per essere usati dalle scuole e non solo. Al momento, sono disponibili nel sito Epicentro dell’Istituto Superiore di Sanità (l’URL è visibile nel box).
Perché documenti, serious game e idee finanziati con fondi pubblici siano, come dovrebbero, un bene comune.
Programma psicoeducativo per giovani di autoregolazione delle emozioni per favorire l’utilizzo consapevole e prevenire l’uso problematico di Internet”
Progetto realizzato con il supporto tecnico e finanziario del Ministero della Salute – CCM – Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria.
Link utili:
- Per accedere ai serious game online o scaricarne le versioni per pc, tablet e smartphone:
https://www.epicentro.iss.it/scuola/progetto-uso-consapevole-internet-giochi - Per informazioni:
- Dott. ssa Daniela Bonaldi, Dipartimento Salute e Politiche Sociali della Provincia Autonoma di Trento.
- Dott. ssa Antonella Gigantesco, ricercatrice, Istituto Superiore di Sanità.