È possibile che principi educativi elaborati all’inizio del 900 da Maria Montessori trovino riscontro in quello che oggi chiamiamo Technology Enhanced Learning? Che legame esiste fra il metodo montessoriano e metodologie didattiche innovative come i Serious Game (SG)?
Maria Montessori è nota per le sue straordinarie intuizioni didattiche che hanno cambiato per sempre il modo di concepire l’educazione dei più giovani. Molti sanno che fra la grande pedagogista italiana e il mondo del digitale esiste un interessante legame ‘biografico’, ovvero il fatto che importanti esponenti della economia basata sull’informazione hanno frequentato scuole ispirate al suo metodo. Parliamo di personaggi del calibro di Jeff Bezos (Amazon), Larry Page e Sergey Brin (Google) e Jimmy Wales (Wikipedia). Raramente, però, si collegano gli studi montessoriani ai nuovi modelli educativi nati in risposta alla trasformazione digitale.
A livello più ampio, il primo importante punto in comune tra metodo montessoriano e il cosiddetto Technology Enhanced Learning sta nel legame fra pensiero, inteso come facoltà su cui si basa l’apprendimento, ed esperienza. A noi, chiaramente, questa correlazione non suona nuova, ma ai tempi della Montessori dire che i bambini dovevano essere lasciati liberi di agire seguendo la propria curiosità ed il proprio desiderio di sperimentare all’interno di un certo ambiente, era qualcosa di rivoluzionario.
Oggi certamente l’educazione è meno rigida, esistono laboratori, attività sperimentali, ecc. Ad essere onesti, tuttavia, l’idea che arrivati alle elementari ci si accomoda su un banco e ci si alza finita l’università, in parte, ancora ancora sopravvive.
Ludicità disciplinata
Ma torniamo al nostro confronto che inizia a farsi davvero interessante quando si prendono in considerazione le caratteristiche dell’ambiente in cui deve avvenire l’apprendimento. Nel metodo Montessoriano si parla di ‘Ambiente preparato’, ovvero un ambiente costruito a misura di bambino, predisposto per essere esplorato e per dare opportuni feedback. Anche se si tratta di un ambiente che vuole stimolare curiosità, gioco e capacità di agire liberamente non rappresenta uno spazio anarchico, in cui è possibile fare tutto quello che si vuole, ma piuttosto uno spazio in cui le esperienze che è possibile fare sono ‘indirizzate’ da una serie di scelte dell’educatore.
In altri termini chi ha progettato l’ambiente ha ragionato sul tipo di attività che possono essere fatte al suo interno e sul tipo di feedback che tali attività forniscono, alla luce di specifici obiettivi di apprendimento.
Non a caso un’attenzione particolare, oggetto di una ricerca specifica che si è evoluta negli anni, viene data ai materiali che stanno dentro l’Ambiente preparato. Nel linguaggio montessoriano questi materiali vengono definiti anche materiali autocorrettivi. L’esempio classico sono i piatti che sono di ceramica perché se non vengono maneggiati correttamente si rompono, dando un feedback inequivocabile.
Ora, per chi utilizza i Serious Game queste indicazioni risultano piuttosto familiari a partire dalla loro definizione scientifica che li qualifica come “un’esperienza virtuale interattiva che punta a raggiungere obiettivi di apprendimento predeterminati attraverso l’attivazione di dinamiche ludiche”. È chiaro, dunque, che in entrambi i casi l’apprendimento avviene per scoperta e grazie ad un lavoro di interazione e di costruzione realizzato attraverso gli oggetti che si trovano nell’ambiente, fisico da una parte e digitale dall’altra.
I feedback che vengono forniti da un SG vengono progettati con cura poiché, come nell’approccio montessoriano, devono essere funzionali a obiettivi di apprendimento specifici, ovvero allo sviluppo di determinate abilità e competenze. Sono distinguibili in due grandi tipologie, espliciti e impliciti.
I primi sono forniti in maniera dichiarativa (solitamente al termine del gioco), sotto forma di commenti e/o grafici che esprimono una valutazione su come è stata condotta l’esperienza.
I secondi invece sono inseriti nella dinamica di gioco e derivano dalle interazioni con gli oggetti ed i personaggi presenti nella storia.
Questo genere di feedback è del tutto simile ai materiali autocorrettivi montessoriani. Se l’interazione con l’oggetto è corretta, il gioco avrà un esito positivo. Diversamente, invece, il feedback negativo fornito permetterà al giocatore di riflettere sull’errore commesso.
Costruire la propria personalità
Altro elemento di similitudine fra i due scenari educativi che vale la pena di sottolineare è l’aspetto del ‘limite’, dei gradi di libertà dei due ambienti. In entrambi c’è ampia possibilità di sperimentazione e di movimento ma uno spontaneismo assoluto non paga. I SG, così come l’Ambiente preparato, sono progettati per promuovere un certo tipo di esperienze che, man mano, chi gioca può scoprire e realizzare. Potremmo dire quindi che entrambi gli approcci credono in quella che potremmo definire ludicità disciplinata come elemento che caratterizza l’ambiente di apprendimento.
Un secondo punto di convergenza che merita attenzione riguarda il rapporto fra la pratica educativa e lo sviluppo della personalità. Maria Montessori aveva un’idea dell’educazione che andava molto oltre l’aspetto scolastico. Una frase del figlio Mario, che poi fu anche un suo stretto collaboratore, coglie bene quest’ampiezza di respiro quando dice che “l’educazione è concepita …non soltanto come una “trasmissione di cultura”, ma piuttosto come un aiuto alla vita in tutte le sue espressioni…”
Attraverso la pratica educativa montessoriana si vuole dunque favorire lo sviluppo delle potenzialità dell’individuo, concepito in maniera olistica e sistemica. Olistica perché occorre tenere presenti le molte dimensioni che lo compongono, da quella biologica a quella spirituale. Sistemica perché oltre ad essere un individuo è parte di un mondo in cui deve trovare il suo posto, cercando un equilibrio fra attitudini e aspirazioni individuali e responsabilità verso gli altri.
In questo percorso di sviluppo della personalità il gioco ha un ruolo fondamentale, ed in particolare il gioco simbolico, quello che del “Facciamo finta che ero…” concetto che sarà centrale anche nelle ricerche di Jean Piaget. Attraverso il gioco simbolico la fantasia è libera di costruire mondi, di prefigurare scenari e sfide future, oppure di immaginare storie fantastiche lontane nello spazio e nel tempo. Agendo all’interno di esse, ‘abitando’ gli stessi mondi che ha creato, il bambino si sperimenta in ruoli differenti, sviluppa possibilità espressive, arricchisce e complessifica la sua personalità.
Anche in questo caso il parallelo con il mondo dei SG è evidente. Gli scenari che il progettista crea non sono altro che ‘palestre di possibilità’, luoghi in cui in maniera protetta è possibile sperimentare identità differenti e arricchire la propria gamma di strategie comportamentali. Anche se esistono delle differenze fra bambini e adulti diverse ricerche mostrano che anche in questi ultimi le esperienze fatte attraverso un avatar possono influenzare percezioni e atteggiamenti ‘reali’ di un individuo. Già più di dieci anni fa ricerche come quella di Yee e Bailenson[1] parlavano del cosiddetto ‘effetto Proteo’, dal nome del celebre personaggio mitologico capace di cambiare forma, da cui deriva chiaramente l’aggettivo ‘proteiforme’.
In definitiva sia nel metodo montessoriano sia nei SG è presente un principio che potremmo definire di autorialità, intesa come capacità di chi apprende di essere autore, di ‘costruire’ la propria individualità e personalità.
Customer experience educativa
C’è infine un terzo aspetto che accomuna gli ambiti didattici che stiamo considerando, ovvero l’importanza data al coinvolgimento estetico nell’apprendimento. Tornando alle caratteristiche dell’Ambiente preparato, la Montessori insiste sul fatto che questo debba essere
- bello, nel senso di gradevole, curato ed accogliente in modo da stimolare il desiderio di essere esplorato, conosciuto ed in qualche modo di appartenervi e prendersene cura,
- stimolante, inteso come capace di suscitare interesse e ricco di percezioni sensoriali, ovvero in grado di attivare la curiosità, suscitare sensazioni positive e catturare l’attenzione.
Anche in questo tipo di indicazioni si coglie la genialità e l’innovatività del pensiero di Maria Montessori che aveva ben capito l’importanza di quella che noi oggi chiamiamo Customer Experience. Tale concetto, alla base del marketing attuale, enfatizza l’importanza dei fattori estetici e della piacevolezza dell’esperienza rispetto ai giudizi basati su analisi puramente razionali. In altre parole, emozioni e sensazioni orientano i giudizi e le scelte delle persone in maniera decisiva. Come, peraltro, è stato definitivamente dimostrato da Daniel Kahneman attraverso i suoi studi sui meccanismi decisionali che lo hanno portato a ricevere il Nobel nel 2002.
Nella progettazione di un buon SG c’è una forte attenzione, non solo ai contenuti, ma anche alla grafica, agli ambienti, al fatto che l’avventura sia ricca, e stimolante. La capacità di coinvolgere esteticamente il giocatore non è un fatto accessorio ma un elemento determinante rispetto alla capacità di generare engagement, di far vivere un’esperienza gratificante. Le moderne neuroscienze confermano che puntare su questi fattori ha un riscontro oggettivo in termini celebrali poiché implicano il rilascio di sostanze legate al piacere, e alla motivazione come la dopamina e la serotonina.
Talvolta si pensa all’educazione basata sul digitale come a qualcosa di esclusivamente tecnico, freddo e distante. E bisogna pur riconoscere che non mancano esempi in cui un uso scorretto delle tecnologie fa dubitare della loro capacità di tenere presenti esigenze tipicamente umane. Dal confronto fra i due mondi che abbiamo preso in esame, tuttavia, non si evidenzia solo una convergenza puramente metodologica. Piuttosto emerge una affinità di principi educativi di fondo, di valori formativi e una idea molto simile di ‘persona in apprendimento’. Insomma, due mondi lontani nel tempo ma concettualmente e antropologicamente vicini. Un confronto che sembra suggerire che il digitale non è intrinsecamente indifferente ai bisogni e alle emozioni delle persone ma anzi può fornire nuove forme e nuovi linguaggi per svilupparle.
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- Yee, N., Bailenson, J. (2007) “The Proteus effect: The effect of transformed self-representation on behavior”. In Human Communication Reasearch, 33, 3, pp. 271-290. ↑