il commento

I vizi del digitale all’italiana che fanno male alla Scuola: ecco perché le scuse non bastano più

Nessun aspirante docente farà il suo ingresso nelle scuole e nessuno dei presenti potrà aggiornare titoli e stato di servizio: tutto rimandato al 2021. Ecco perché serve non solo un’infrastruttura digitale omogenea e capillare ma anche un’identità digitale del cittadino, unico punto di partenza possibile innestare i servizi

Pubblicato il 08 Apr 2020

Giovanni Perani

consulente in digital transformation

scuola education children

In un momento in cui la didattica a distanza, attivata tra mille difficoltà dai docenti italiani, sta consentendo di mandare avanti le attività scolastiche altrimenti bloccate dal lock down, la ministra Lucia Azzolina annuncia che a causa delle lacune nella digitalizzazione del Paese, non potranno essere aggiornate le graduatorie di istituto.

La ministra si scusa, annuncia che per fine anno farà quello che gli ultimi governi avrebbero dovuto fare: digitalizzare. Proseguire con quel piano nazionale scuola digitale che gli esperti sanno di fatto sospeso, dopo l’era Renzi.

L’auto-denuncia della ministra è illuminante dello stato delle cose in Italia. Arriva proprio nel momento in cui ci è diventato più chiaro che, se da una parte i devices digitali sono e saranno sempre più il mezzo privilegiato di interscambio tra gli esseri umani, è fondamentale che la loro applicazione poggi su stabili fondamenta, vale a dire sulla giusta infrastruttura che permetta agli utenti e ai Paesi di ottenere il corretto risultato.

Il problema dei precari causa scuola non digitale

Queste le parole della ministra Lucia Azzolina nel corso della conferenza stampa del 6 aprile scorso: «Chiedo io scusa a tutti i precari della scuola a nome del Ministero dell’Istruzione. Non riusciamo ad aggiornare le graduatorie d’istituto. E questo è dovuto a procedure vetuste, a lacune nella digitalizzazione del Paese, in particolar modo del mio Ministero dell’Istruzione. Non riusciamo a portare avanti un milione di domande cartacee con raccomandate e ricevute di ritorno e bolli. Riaggiorneremo l’anno prossimo con una procedura digitalizzata come quello che avevo voluto nel Decreto Scuola che era stato approvato a dicembre».

Insomma, a causa della crisi sanitaria in corso non verrà realizzato il triennale aggiornamento delle graduatorie di istituto, nessun aspirante docente farà il suo ingresso nelle scuole e nessuno dei già presenti potrà aggiornare titoli e stato di servizio: tutto rimandato al 2021, un vulnus ulteriore al fianco di un mondo che da tempo ha profondi problemi di organico e di gestione delle supplenze.

Ma è il motivo dichiarato dalla ministra che sconcerta al di là di ogni altra valutazione: per questo tipo di pratiche il Ministero si affida ancora al servizio postale, alle ricevute di ritorno, ai bolli. E, a fronte di una tale procedura, rileggere in questo momento le oltre cento pagine del Piano Nazionale Scuola Digitale, pilastro di quella “Buona Scuola” della legge 107/2015 (si badi bene: con validità al 2019-2020), fa tristemente sorridere.

I ritardi della digitalizzazione in Italia

Sorvoliamo in questa sede su specifiche valutazioni relative alle frammentarie procedure online per mezzo delle quali è possibile accedere ad alcuni servizi del Miur, e ricordiamo invece alcuni dati di massima: se a partire dal 5 marzo scorso la scuola ha indirizzato su piattaforme certificate la didattica a distanza, i dati Istat e altri report ufficiali ci dicono che un certo numero di famiglie italiane non dispone di accesso alla banda larga, tantomeno l’ultraveloce; che un certo numero di famiglie non dispone neppure di un device o che, se ne dispone, non ha sviluppato una corretta competenza o una comprensione del mondo digitale; che il nostro Paese è al 24° posto fra gli Stati membri della Ue nell’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società della Commissione europea (uno strumento che certo può essere migliorato ma che ci dà un indirizzo di sistema).

L’Italia è dunque in ampio ritardo, soprattutto rispetto a Paesi come l’Estonia,[7] ormai completamente digitalizzata e per la quale un lockdown non è motivo di crisi quanto per noi.

Il vizio di fondo della trasformazione digitale in Italia

Ma, come si evince bene anche dalle parole utilizzate dalla ministra Azzolina per il mancato aggiornamento delle graduatorie scolastiche, gli sforzi – anche economici – che stiamo facendo con l’introduzione di procedure telematiche nella gestione di alcuni settori chiave mostrano un vizio di base: la trasformazione messa in atto consiste in buona sostanza nel moltiplicarsi di applicazioni che offrono un accesso più rapido ai servizi. Stiamo cioè cominciando dalla coda, mentre non ci siamo affatto applicati nello scavo e nel consolidamento delle fondamenta. E per fondamenta intendiamo la creazione di un’infrastruttura digitale omogenea e capillare e di un’identità digitale del cittadino, unico punto di partenza possibile su cui poi, in un secondo momento e in maniera coerente, innestare i servizi.

Le falle e la debolezza del nostro sistema sono balzate alle cronache nel giorno nero dell’INPS, quando una sezione della piattaforma dell’istituto non ha retto al numero delle richieste del bonus di 600 euro destinato ai professionisti con partita IVA, con conseguente sospensione del servizio e squadre di sviluppatori all’affannosa risoluzione del bug. Un drammatico pesce d’aprile.

Conclusioni

A onor del vero il ministro per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione Paola Pisano ha presentato nel dicembre 2019 il documento “2025 – Strategia per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione del Paese”, ma siamo sicuri che l’ottica di realizzazione dei propositi sarà davvero quella di creare un’infrastruttura condivisa ed efficiente, di implementare la IA, di rafforzare la sicurezza digitale con tecnologie come la blockchain, di gestire le applicazioni tramite l’analisi serrata dei dati, di creare automatismi ed autostrade digitali?

Si tratta di una rivoluzione necessaria, e il momento è ora. Perché non esiste più un’individualità comunale o regionale o nazionale, è la stessa globalizzazione – con tutti i pro e i contro – che ce lo impone.

Allora si potrebbe partire davvero dalla scuola, ambiente privilegiato per formare i cittadini sulla trasformazione del sistema infrastrutturale digitale, una trasformazione che deve essere però anche civica e giuridica e politica.

Non è più tempo per chiedere scusa, è tempo di cambiare.

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