Il primo anno scolastico con l’intelligenza artificiale, panico e gesso? Non serve. Proviamo, piuttosto, a ragionare sull’uso dell’IA a scuola, sulle criticità che pone e come affrontarle anche – o soprattutto – con l’aiuto dei DPO e in attesa dell’intervento legislativo che tutti, a partire dall’Unesco, stanno chiedendo alle autorità.
Tecnologia a scuola, siamo già preparati
Iniziamo un po’ a focalizzare l’argomento.
Veniamo dal periodo Covid in cui, volenti o nolenti, il digitale è stato strumento principe di erogazione delle lezioni, attraverso compiti inviati e discussi online, videolezioni, controllo di quanto svolto dai ragazzi online.
Per i docenti ciò ha significato: studiare le diverse piattaforme; aggiornare le proprie competenze digitali; abituarsi a studiare l’uso del pc e farne pratica quotidiana; attitudine a controllare quanto fatto dagli alunni sui dispositivi.
Quanto agli aspetti privacy, il GDPR con le prescrizioni relative alla tutela dei dati personali e la richiesta di un DPO per ogni istituto o gruppo di istituti ha fatto sì che fossero già presenti: procedure oleate per gestire le situazioni che possono capitare a scuola riguardo i dati personali nonché un esperto in grado di consigliare e aiutare a migliorare atti, prescrizioni e comportamenti da tenere per gestire opportunamente la tutela dei dati personali.
La “novità” dell’intelligenza artificiale
Ma veniamo ora alle novità dell’intelligenza artificiale. Si tratta, innanzitutto, di un nuovo strumento – o meglio, di diverse tipologie di strumenti di molteplici fornitori – che può essere utile in tutte o quasi le materie.
Ma, come per tutte le novità, sono i docenti a dover guidare i ragazzi attraverso le strade nuove. È indispensabile quindi che ciascun insegnante acquisisca una certa pratica con lo strumento.
Il primo passo è, dunque, “metterci mano”, provare a realizzare degli pseudo compiti o delle semplici esercitazioni per capire cosa potrebbe essere utile e proponibile agli alunni.
Nel far ciò bisogna stare attenti ad un punto: di fronte abbiamo un soggetto che, più è precisa la richiesta, migliore (ovvero più aderente a quanto ha in mente chi dà il comando) è la risposta.
Cosa devono fare i docenti
Per diventare bravi ci sono le due strade che usiamo quotidianamente per l’aggiornamento è quella che abbiamo acquisito dal 2018 in poi:
- libri/risorse online,
- pratica quotidiana orientata e focalizzata sui risultati che vogliamo ottenere,
- acquisizione di competenze circa ciò che si può legalmente fare e ciò che è vietato (a partire dai corsi e l’aggiornamento richiesto dagli obblighi legati al GDPR)
Una volta che tutti i docenti di materia hanno fatto pratica si può lavorare a livello di dipartimento con consigli e suggerimenti tra colleghi oltre che, per la parte legale, lo stretto supporto del DPO.
In tal modo si andrebbero ad ottenere tre risultati significativi:
- sforzi indirizzati a specifici obiettivi,
- valorizzazione dei dipartimenti,
- specializzazione delle richieste: ogni materia pone dei requisiti e lavora su situazioni diverse.
Il ruolo del DPO
Chiedere a un DPO di dedicare il proprio intervento a problematiche relative a singole materie gli permette di essere più specifico nella risposta e di raccogliere in maniera più precisa i quesiti, le criticità e le situazioni affrontate in ciascun ambito disciplinare.
Con le informazioni e le richieste che avranno organizzato in modo opportuno i DPO, si potrà essere chirurgici nell’effettuare l’intervento legislativo che tutti, a partire dall’Unesco, stanno chiedendo alle autorità.
Si otterrebbe dunque una normativa che sia specifica e permette a tutti di non restare indietro e di sfruttare il nuovo strumento nella maniera più efficace e umanamente rispettosa dei diritti e delle libertà personali.
Del resto, si dovrà poi tener conto dei contesti operativi nella regolamentazione e solo una granularità nelle informazioni raccolte potrà permettere di essere efficaci.
Tutto semplice? Assolutamente no. Stando a una ricerca dell’Unesco, su 450 scuole e università considerate, meno del 10% ha regolamentato l’uso del nuovo strumento, prevalentemente per assenza di riferimenti normativi nazionali.
E allora? In attesa che si arrivi a delle norme a livello nazionale, sarebbe opportuno utilizzare il Data Protection Officer per iniziare a stabilire dei regolamenti a livello di istituto che tengano conto delle istanze portate dalle aree disciplinari ma che non demandino a loro la scelta su cosa si può fare e cosa no.
L’IA nella pratica disciplinare
In realtà, poi, per quanto riguarda la pratica disciplinare, ci sono diverse strade che sono meno a rischio:
- Elaborazione di testi a partire da quello creato dall’IA per incrementare lo spirito di osservazione e di critica dell’alunno
- Creazione di test a risposta multipla sulla base di passi antologici, liste di argomenti
- Correzione di elaborati dell’automa.
L’elemento che, ritengo, non possa assolutamente mancare in tutto il processo ormai inarrestabile è l’impegno del singolo docente, la necessità di sperimentare e acquisire le basi per poter dialogare con il nuovo “collega” (come qualcuno definisce ChatGPT e i suoi fratelli).
Il rischio, infatti, è essere costretti a inseguire gli alunni per cui la tentazione di assumere atteggiamenti luddistici nei confronti di una realtà che è qui per restare, diventi molto forte.
Un atteggiamento proattivo, invece, portato a livello di dipartimento e poi a livelli più alti, può permettere al decisore di ritagliare su ciascuna disciplina dei corsi di aggiornamento maggiormente efficaci rispetto a un generico elenco di argomenti ottimizzando la spesa pubblica e migliorando l’efficacia per tutti.
Conclusioni
Aggiornamento, compartecipazione, granularità nelle richieste e nelle risposte del decisore, proattività dei docenti sono dunque gli elementi indispensabili in questa fase di transizione
Da ricordare, poi, che ci sono diverse scuole superiori e università nel mondo che hanno già introdotto l’IA nella loro didattica. Esse rappresentano dei tester ma anche dei possibili generatori di buone pratiche soprattutto nella prima fase, quella demandata ai singoli istituti.