In uno stato d’eccezione vengono sospese le regole ordinarie, la normalità viene alterata e si introducono soluzioni che sarebbero impensabili nella normalità dell’ordine istituzionale. La chiusura delle scuole, a cui abbiamo assistito la scorsa primavera e a cui stiamo assistendo, in misura più frammentata, in questo autunno, figura tra le soluzioni eccezionali che sono state adottate e ripetute per impedire o, più realisticamente, rallentare la propagazione del contagio da Sars-Cov-2.
Il vuoto della chiusura delle scuole è stato riempito, almeno nell’immaginario collettivo, dalla disponibilità di infrastrutture e piattaforme digitali che hanno permesso una forma di continuità dei processi di insegnamento ed apprendimento attraverso i diversi dispositivi della Didattica a Distanza (DaD), poi ribattezzata, in estate, Didattica Digitale Integrata (DDI).
La “crisi” di identità dell’insegnante
Nel suo prolungarsi, lo stato d’eccezione e, soprattutto, la digitalizzazione forzosa, hanno generato inevitabilmente una crisi di identità dell’insegnante. Iscritta storicamente in una socio-materialità fatta di corpi, di spazi e di tempi ordinati in regimi di classificazione disciplinare, di libri etc., l’azione del docente ha perso i suoi ancoraggi. L’iconica ‘ora di lezione’ (Recalcati, 2014), che ne è la tradizionale, ma anche stereotipata, ipostatizzazione, non sembra più riproducibile nelle stesse modalità.
Il cambiamento della scuola e della professione dell’insegnante sono, come noto, questioni su cui si dibatte da molto tempo. La situazione d’emergenza è stata accolta, da alcuni, come preludio ad un cambiamento epocale della forma scolastica: il passaggio permanente ad una modalità blended, ed all’ibridazione umano-digitale dell’insegnamento. I segnali di tale trasformazione si possono scorgere un po’ in tutti i Paesi del mondo, dato che la ricetta di policy adottata è stata globalmente molto simile (OECD, 2020): chiusura degli spazi fisici e diffusa ‘digital turn’.
Come hanno messo in evidenza Williamson et al. (2020), si sono sviluppati dei veri e propri ‘pandemics markets’ nel panorama educativo globale: assecondando e, insieme, producendo le condizioni per una accelerazione della digitalizzazione dei sistemi scolastici, questi mercati pandemici hanno creato le premesse per una complessa ridefinizione dell’identità professionale dell’insegnante. È così che la chiusura delle scuole ha aperto una imprevedibile finestra di opportunità funzionale al rilancio ed al consolidamento di traiettorie di cambiamento che si erano in parte già delineate, ma che si stavano realizzando in modo differenziato, talora sottotraccia, nei diversi Paesi. È proprio in questo senso che, potremmo dire, la varietà delle traiettorie sta venendo trasformata nella necessità di un allineamento al trend globale, sempre più standardizzato.
L’uso del digitale nella Scuola italiana
Già prima della pandemia, il nostro Paese figurava, ad esempio, tra i più ‘riluttanti’ a modificare la configurazione dell’insegnamento-apprendimento in senso digitale, malgrado gli investimenti in questa prospettiva fossero stati notevoli.
Le ricerche sul tema documentano uno scarso utilizzo del digitale, nonostante le dotazioni e le aspettative positive degli insegnanti riguardo alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Gui & Gerosa, 2019; Pitzalis, Porcu, & De Feo, 2016). Il questionario Insegnanti INVALSI, poi, per il periodo 2014-17, mostra un aumento delle dotazioni infrastrutturali nelle scuole, associato ad un loro scarso utilizzo. A fronte di una presenza di computer, videoproiettori, fotocamere, Lavagne Interattive Multimediali e connessione internet in misura estesa in tutte le scuole italiane già nel 2014; i docenti utilizzatori regolari delle tecnologie sono risultati solo il 20% nel 2014 ed il 53% nel 2017: certamente un incremento ma, altrettanto certamente, una arrancante diffusione del digitale nei diversi livelli scolastici.
Se la pandemia ha costretto a dare, senza dubbio alcuno, un notevole impulso alla infrastrutturazione digitale del lavoro dell’insegnante, le analisi che sono state sviluppate nel periodo della DaD hanno evidenziato che l’ibridazione umano-digitale dell’insegnamento non si sviluppa in modo conseguente, necessario e automatico. Ciò a cui abbiamo assistito, piuttosto, è un complesso scenario di risposte (Colombo, Poliandri, & Rinaldi, 2020; Grimaldi, Landri, & Taglietti, 2020).
La pandemia e le (tre) identità professionali
Riprendendo la tipologia che abbiamo sviluppato in un altro contributo (Grimaldi et al., 2020), le risposte alla crisi sembrano aver delineato almeno tre identità professionali: quella degli stiliti, quella degli allineati e quella degli attivisti dal basso.
Gli stiliti
Secondo gli stiliti, il digitale è destinato a ‘snaturare’ la forma scolastica, fino a renderla irriconoscibile nei suoi aspetti costitutivi, legati esclusivamente alla relazione tra corpi in presenza. Per costoro, l’unica scuola ‘vera’ è quella che si può svolgere in compresenza fisica.
Gli allineati
Per i docenti allineati, invece, la DaD è l’occasione tanto attesa per passare alla scuola digitale, che viene considerata l’inevitabile prospettiva di trasformazione della normalità scolastica. Questi docenti vedono il digitale come necessario al rinnovamento di una scuola troppo vecchia: l’unico strumento in grado di metterla al passo con i tempi ‘accelerati’ della generazione dei cosiddetti nativi digitali.
Gli attivisti dal basso
Infine, gli attivisti dal basso, in modo più pragmatico, senza farsi travolgere dal novitismo digitale, provano a sperimentare soluzioni ad hoc, mettendosi in gioco professionalmente, nel contesto dell’eccezionalità in cui stiamo tutti vivendo. Per questi docenti si tratta certamente di slittare verso le nuove configurazioni blended della scuola, ma con un atteggiamento maggiormente interessato a sviluppare circuiti potenzialmente virtuosi tra tecnologie e pedagogie.
Quale forma per la scuola blended: tre punti chiave
L’esperienza derivata dallo studio degli ultimi decenni di continue riforme dei sistemi educativi ci dice che il passaggio a configurazioni altre della scuola si produce incessantemente, ma mai senza frizioni. La scuola blended e l’ibridazione umano-digitale dell’insegnamento possono essere rifiutati, come nel caso dei docenti stiliti, o possono essere accettati fideisticamente, come nel caso dei docenti allineati. Possono anche essere assorbiti criticamente, come nel caso degli attivisti dal basso. Quel che è certo è che diverranno (e, in parte già sono) una realtà: il punto dirimente è cogliere e valutarne la forma effettiva che assumeranno. In generale, possiamo dire che lo stato d’eccezione pandemica sta creando le condizioni favorevoli all’infrastrutturazione digitale dell’educazione, ma non è di per sé la condizione sufficiente che determinerà la direzione di questo mutamento. La lezione frontale, ad esempio, può sopravvivere anche attraverso le lezioni in streaming, impoverendo l’insegnamento e l’apprendimento attraverso un riduzionismo dei processi conoscitivi che porta a considerare tutto come un mero passaggio di informazioni tra docenti e discenti (Colombo et al., 2020). Così come l’obbligo ‘per decreto’ di garantire la didattica sincrona in egual misura per tutti può produrre, oltre a capillari regolamentazioni sulle durate e sulle pause delle lezioni digitali (MIUR, 2020), una vera e propria crisi di rigetto verso le modalità digitali.
La forma scolare blended che si è attualmente consolidata nel nostro Paese, purtroppo, sembra stia correndo veloce proprio in questa direzione. Basta scorrere le cronache, più e meno specialistiche, di questi mesi per notare una posizione istituzionale sulla scuola che si articola su tre punti chiave.
La strenua difesa della scuola in presenza
Anzitutto, la strenua difesa della scuola in presenza, che relega la ex-DaD, ora DDI, al ruolo di succedaneo sgradevole e sconsigliabile, temporaneo, utile solo per fronteggiare momenti particolarmente acuti di crisi sanitaria.
La scuola come luogo sicuro
In secondo luogo, se consideriamo le argomentazioni e le azioni messe in campo per sostenere la scuola in presenza, possiamo notare che queste si articolano intorno al leit-motiv della scuola come ‘luogo sicuro’. Il che non è, in effetti, errato: la scuola, in questi mesi, è stata rapidamente trasformata in un vero e proprio check-point sanitario per lo screening di massa della popolazione scolastica (Primocanale.it, 2020), tramite procedure di testing (quasi sempre volontario) al personale (docente e non docente) ed agli alunni: per la riapertura settembrina (Orizzontescuola.it, 2020b), per il tracciamento dei compagni di classe e dei colleghi d’ufficio dei casi positivi (Orizzontescuola.it, 2020a), per le nuove riaperture dopo periodi di chiusura emergenziale più o meno prolungata (Orizzontescuola.it, 2020c).
La capacità di “adattamento” della scuola
Infine, se guardiamo ai tempi ed ai modi con cui vengono disposte tanto le ‘chiusure’ quanto le ‘riaperture’ dei vari gradi di istruzione, non possiamo non notare la convinzione dei decisori politici che quelle scolastiche siano organizzazioni in grado di adattarsi flessibilmente e rapidamente, nel giro di poche ore, ad un tipo di didattica piuttosto che ad un altro.
Il crepuscolo dell’ora di lezione
Si tratta, insomma, di una forma scolare contesa tra stiliti ed allineati, in cui le capacità miracolose dell’affettività e dell’empatia garantite dalla compresenza dei corpi sono pari solo alle doti taumaturgiche dell’infrastrutturazione digitale offerta dalle piattaforme per la DaD-DDI. Ciò che, invece, sembra completamente assente è proprio la pedagogia o, meglio ancora, la metodologia didattica, che dovrebbe invece svolgere il ruolo cardine in una organizzazione con finalità educative. Proprio della missione educativa e della scuola come spazio, non esclusivamente fisico, ove l’insegnamento e l’apprendimento trovano dimora, sembra non esserci traccia. L’identità professionale dei docenti attivisti dal basso, oggi marginalizzata, è proprio quella caratterizzata dalla valorizzazione della tecnologia (anche digitale) non come elemento isolato, ma come parte di un assemblaggio pedagogico distintivo delle forme scolari ibride.
Stiamo assistendo, probabilmente, al crepuscolo dell’ora di lezione. In un contesto di incertezza e di inevitabile confusione, però, ciò che vediamo sorgere sembra essere l’ennesima riproduzione della scuola disciplinare, che guarda in modo dualistico al digitale ed alla presenza fisica e finisce per ricreare, nell’infrastruttura digitale, i medesimi cardini della (tanto criticata) scuola Ottocentesca.
Conclusioni
Vi sarà qualche possibilità di intravedere una nuova alba per la scuola pubblica? Una Aurora (Nietzsche, 1964) fatta di rinnovamento, più che di innovazione, grazie all’individuazione di un equilibrio analogico-digitale funzionale non alle dinamiche dei ‘pandemics markets’ digitali, ma a quelle delle relazioni pedagogico-educative?
Quali sono i futuri dell’educazione (UNESCO, 2020) e le configurazioni della professione dell’insegnante ancora possibili, ma profondamente in difficoltà, in questa Italia scossa dalla seconda ondata? Se dovessimo gettare lo sguardo oltre l’orizzonte, sarebbe auspicabile sperare nell’apertura, nel nostro Paese, di una riflessione in chiave costituente della scuola come istituzione. Si può uscire dal ‘sortilegio’ dell’ora di lezione in chiave disciplinare: sistematizzando le esperienze che sono state realizzate, tra mille difficoltà, in questo periodo di didattica di emergenza, come la scuola all’aperto, i patti di comunità e l’innovazione digitale. In questa prospettiva, alla retorica del ‘tempo perso’ e della ‘perdita in termini di apprendimento’, si contrapporrebbe l’idea emergente di nuovi assemblaggi umano-digitali oltre la forma disciplinare: una configurazione ‘desiderante’ a geometria variabile di spazi, tempi ed affetti.
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Bibliografia
Colombo, M., Poliandri, D., & Rinaldi, E. E. (2020). Gli impatti dell ’ emergenza COVID-19 sul sistema scolastico-formativo in Italia. Scuola Democratica. https://doi.org/10.12828/97098
Grimaldi, E., Landri, P., & Taglietti, D. (2020). Una sociologia pubblica del digitale a scuola. Scuola Democratica. https://doi.org/10.12828/97096
Gui, M., & Gerosa, T. (2019). Strumenti per apprendere o oggetti di apprendimento ? Scuola Democratica, (3), 481–501. https://doi.org/10.12828/95945
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