obiettivi unesco

Il digitale per un’istruzione di qualità, equa e inclusiva: quali modelli

La tecnologia è solo uno strumento, seppur molto raffinato e potente. Solo la conoscenza e l’utilizzo di modelli psico-pedagogici – quali il Knowledge Building – che ne orientino un uso critico, possono consentire di utilizzarla per raggiungere l’obiettivo Unesco per un’ educazione equa, inclusiva e di qualità. Ecco come

Pubblicato il 26 Apr 2019

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L’obiettivo numero 4 dell’Agenda 2030 dell’Unesco per lo Sviluppo Sostenibile prevede di “fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”. Per poter avviare una  riflessione su tale obiettivo occorre partire da una possibile definizione dei termini utilizzati nella sua formulazione, prima di definire quali modelli psico-pedagogici possono contribuire a raggiungerlo.

Possiamo  in tal senso considerare di qualità l’educazione che riesce a promuovere il raggiungimento al più alto livello da parte degli studenti degli obiettivi educativi, su cui ha ricevuto un mandato sociale e istituzionale (si pensi alla scuola e all’Università).

Consideriamo  “equa” una educazione che mette a disposizione di tutti gli studenti le risorse di cui dispone per realizzare il percorso verso tali obiettivi.

Consideriamo “inclusiva” una educazione che consente a tutti pari opportunità di partecipazione nell’utilizzo di tali risorse, anche attraverso opportune personalizzazioni del percorso educativo nel rispetto delle differenze individuali.

Si tratta di tre dimensioni che  costituiscono condizioni importanti per promuovere pari opportunità di apprendimento per tutti.

Il contributo del digitale all’educazione

In questo scenario le tecnologie digitali possono offrire un rilevante contributo a patto di superare alcune barriere. Ne indichiamo  alcune:

  • Il digital divide:  c’è un serio problema di diversa distribuzione delle tecnologie non solo tra diversi Stati e culture ma anche all’interno dello stesso paese. Per esempio, ci sono minoranze a cui l’accesso ad internet non è sempre garantito. Non tutte le scuole sono dotate di infrastrutture adeguate. Esiste anche una differenza di genere: gli uomini restano maggiormente privilegiati nell’uso di tecnologie e di scienze considerate hard. Si veda a tal proposito le riflessioni provenienti dal filone di studi denominato STEM (Science, Technology, Engineering,  Mathemathics).
  • La presenza di  modelli didattici “trasmissivi”: nei contesti scolastici ed universitari si assiste spesso ad una prevalenza di modelli didattici di tipo trasmissivo, orientati a far acquisire la conoscenza prevista da “programmi”, che riducono la funzione delle tecnologie digitali a strumenti di erogazione di informazione ( si pensi ad esempio all’uso in tal senso che viene fatto della LIM). Meno frequente è l’adozione di modelli che puntino a favorire lo sviluppo di competenze mediante la partecipazione ad attività significative o attraverso percorsi di indagine collaborativa orientati a creare nuova conoscenza su problemi rilevanti per la comunità a cui si appartiene. Tali modelli avrebbero nelle tecnologie digitali un supporto importante a sostegno della partecipazione e della creazione di conoscenza.
  • La separazione tra contesto scolastico ed extrascolastico: in molte situazioni l’attività che si svolge a scuola è separata dalle esperienze extrascolastiche degli studenti. Questo comporta a volte una limitata partecipazione alle attività scolastiche da parte dei ragazzi, che si sentono estraniati rispetto al loro mondo: non capiscono l’utilità e il senso delle attività che si svolgono a scuola, dalla quale non si sentono quindi accolti. Si crea quindi una distanza fra modo di imparare e di utilizzare la conoscenza e le tecnologie digitali dentro e fuori la scuola (Resnick, 1987).

Come realizzare un’educazione di qualità, equa e inclusiva

Occorre quindi superare tali barriere per realizzare un’educazione di qualità, equa, inclusiva e che offra opportunità di apprendimento per tutti. Di seguito indichiamo alcune piste percorribili:

  • Attrezzare le scuole e le Università rispetto alle tecnologie digitali:  ancora poco si è fatto in termini di banda larga e non tutte le scuole e le università hanno attrezzature adeguate. In questo modo tali istituzioni formative  potranno contribuire a colmare il digital divide che si accentua sempre di più fra chi possiede e chi non possiede accesso a internet; o anche intervenire a vantaggio chi lo possiede, ma ne fa un uso limitante o addirittura nocivo, non avviandosi verso la “saggezza digitale”, intesa come il saper usare gli strumenti tecnologici per arricchire le potenzialità proprie e del gruppo di cui si fa parte (Prensky, 2010).
  • Formare i docenti su  modelli “comunitari”di utilizzo delle tecnologie digitali. Inutile dare la macchina senza prima insegnare a guidare. I finanziamenti sono una condizione necessaria,  ma è ormai evidente che non possono andare solo nella direzione degli investimenti nelle strutture e nella macchine. Bisogna cambiare l’approccio all’insegnamento e all’apprendimento e la conseguente funzione delle tecnologie digitali. Occorrono modelli che aiutino a ripensare la classe in modo nuovo. Si pensi ad esempio al modello Knowledge Building (Scardamalia e Bereiter, 2010), che rende la classe e la scuola una comunità che costruisce conoscenza utile rispetto ai problemi che caratterizzano il contesto sociale e culturale in cui stiamo vivendo. Oppure all’approccio trialogico (Hakkarainen e Paavola, 2009), orientato a favorire la costruzione collaborativa di artefatti. L’accento posto sul costruire insieme, sull’impresa comune, sulla creazione di artefatti cognitivi e materiali. Ciò consentirebbe di dare senso a ciò che si sta facendo in classe, senza abolire i linguaggi delle discipline, ma anzi utilizzandoli in modo concreto e unendoli insieme in progetti transdisciplinari. Occorre quindi puntare sulla professionalizzazione del docente, lavorando su due fronti: a) offrendo una formazione adeguata; b) intensificando il dibattito politico e sociale sull’importanza della formazione
  • Connettere apprendimento formale e informale: sappiamo già che le contaminazioni tra apprendimento formale e informale possono essere proficue. Come CKBG stiamo preparando un panel per il Congresso EMEM proprio su questo tema. E’ opportuno approfondire la ricerca e riflettere in tal senso, provando a mettere a punto modelli specifici che aiutino tale connessione. Già i due modelli citati (Knowledge Building e Approccio Trialogico) si muovono in tale direzione.  Questo consentirebbe alla scuola e all’università non solo di aprire il proprio contesto alle tecnologie digitali mobili in uso agli studenti (si pensi all’approccio BYOD) ma anche comprendere come le modalità d’uso di tali tecnologie nei contesti extrascolastici, nell’apprendimento informale possono entrare in sinergia positiva con il contesto scolastico e le modalità di apprendimento formale.

La tecnologia digitale è naturalmente solo uno strumento, seppur molto raffinato e potente. Solo la conoscenza e l’utilizzo di modelli psico-pedagogici che ne orientino un uso critico possono consentire di utilizzarla per promuovere il lavoro sull’obiettivo di sviluppo proposto dall’Unesco per l’educazione.

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BIBLIOGRAFIA

Hakkarainen K. and Paavola, S. (2009), Toward a trialogical approach to learning, in Schwarz B., Dreyfus T. and Hershkowitz R., eds., Transformation of knowledge through classroom interaction, (pp. 65-80). London: Routledge

Prensky, M. (2010) H. Sapiens Digitale: dagli immigrati digitali e nativi digitali alla saggezza digitale. TD Tecnologie Didattiche, 50,  17-24.

Resnick, L. B. (1987) Learning in school and out. Educational Researcher, 6(9), 13-20.

Scardamalia, M., & Bereiter, C. (2010). A brief history of Knowledge Building. Canadian Journal of Learning and Technology, 36(1), 397–417.

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