l'analisi

Il futuro della scuola nel PNRR: progetti e condizioni per l’innovazione

Per la Scuola il PNRR prevede ingenti finanziamenti, ma il cambiamento è legato a profonde riforme, allo sviluppo delle reti territoriali, alla crescita della capacità di progettare ed essere protagonista della trasformazione digitale e green della società. Facciamo il punto sulle prospettive e sui limiti del Piano

Pubblicato il 15 Feb 2021

Franco Torcellan

Associazione RED - Laboratorio di Ricerca Educativa e Didattica “Formare Trasformare Innovare”

Photo by kyo azuma on Unsplash

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza riserva alla Scuola un preciso spazio e cospicue risorse. Nella Missione 4 – Istruzione e Ricerca, emerge una visione ampia e sistemica dell’Istruzione che si dettaglia ulteriormente nella Missione 1 per quanto riguarda la complessiva digitalizzazione del Paese, nella Missione 2 per quanto attiene alla riqualificazione degli edifici scolastici e nella Missione 5 con lo sviluppo dell’apprendistato formativo.

La componente “Potenziamento delle competenze e diritto allo studio” della Missione 4 – Istruzione e Ricerca prevede l’investimento di 16,72 miliardi.

Un quadro sistemico per la Scuola dell’innovazione

Gli obiettivi specifici per il mondo della Scuola e dell’Università sono fortemente orientati:

  • a coprire carenze di sistema dagli asili nido e servizi all’infanzia,
  • all’accesso all’istruzione (abbandoni, dispersione),
  • alla formazione universitaria e terziaria,
  • alla limitatezza del tempo scuola,
  • ai limiti di sviluppo delle discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics),
  • al potenziamento della formazione professionale secondaria ed universitaria e dell’apprendistato professionalizzante.

Come in tutto il Piano, una forte attenzione è dedicata alla riduzione di divari di genere e territoriali.

In particolare, per quanto attiene alla digitalizzazione ed alle tecnologie si intende promuovere le opportunità di accesso delle donne all’acquisizione di competenze STEM.

Il piano si rivolge quindi alle giovani generazioni per renderle capaci di affrontare la sfida della digitalizzazione e della transizione ecologica, a partire dal contrasto all’abbandono scolastico e dalla lotta alla povertà educativa, con particolare attenzione alle situazioni di disagio manifestate soprattutto al Sud.

Le Riforme che vengono previste nello specifico per l’attuazione dei progetti della suddetta componente si concentrano complessivamente su reclutamento e formazione degli insegnanti, orientamento e gestione dei percorsi formativi che definiscono gli accessi all’istruzione tecnica e professionale, all’Università e agli ITS (Istituti Tecnici Superiori) e quindi alle imprese, alle professioni e alle carriere universitarie in connessione con il tessuto imprenditoriale dei territori.

Per realizzare un vero cambiamento coerente con la trasformazione del Paese che viene delineata sarà comunque necessario che vengano ridefinite procedure, meccanismi ed abitudini e che l’Autonomia Scolastica trovi una volta per tutte piena attuazione nei cambiamenti strutturali previsti, ma anche nell’approccio culturale degli attori dell’istruzione e della società.

Dagli edifici scolastici alle “città che imparano”

Gli interventi di ristrutturazione degli edifici scolastici sono definiti, come evidenziato in precedenza, nella Missione 2 – Rivoluzione verde e Transizione Ecologica (Componente “Efficienza Energetica e Riqualificazione degli Edifici”).

In fase di attuazione bisognerà però avere un approccio più ampio e sistemico. Il problema va affrontato come questione complessa di sviluppo del Paese e non come semplice insieme di interventi di edilizia.

Vanno realizzati ambienti di apprendimento differenziati a seconda dei processi operativi, cognitivi e relazionali da attivare. Dovranno essere predisposti spazi diversificati, funzionali alla gestione delle comunità di pratica (Etienne Wenger, 2006) e della complessiva comunità scolastica e non semplici sequenze di classi.

Vi è l’occasione di ristrutturare le scuole secondo le effettive necessità dell’apprendimento e non in base ad ottimizzazioni dimensionali per l’accoglienza degli studenti.

La Legge di Bilancio mette a disposizione altri 630 milioni per tali obiettivi. Bisognerà dunque far convergere ed integrare gli interventi di riqualificazione degli immobili con la prevista azione di ammodernamento tecnologico e realizzazione di scuole innovative (Scuola 4.0) con nuove aule didattiche cablate e laboratori, tenendo presente che, per gli istituti tecnici superiori, vengono promosse forme di collaborazione pubblico-privato per la fruibilità di tali strutture sia da parte delle scuole che da parte del sistema produttivo.

Le strutture scolastiche potranno allora essere pensate anche come risorse per integrare scuola ed imprese, nonché come luoghi dove poter sviluppare forme di formazione continua, di supporto all’occupabilità e all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita.

Inoltre, il potenziamento dei servizi abitativi destinati agli studenti universitari fuori sede amplia la dimensione degli interventi a livello di pianificazione territoriale con la possibilità di finanziare interventi infrastrutturali proposti dalle città metropolitane per la riqualificazione di edifici pubblici degradati e inutilizzati da destinare ad alloggi a canoni ridotti. Ciò fa ipotizzare anche l’integrazione degli interventi con piani di rigenerazione urbana e di sviluppo delle periferie.

L’orizzonte complessivo che bisogna focalizzare è dunque quello delle “città che imparano” (Longworth 2007) e della società dell’apprendimento, della pianificazione di smart city che restituiscono senso e piena funzionalità, efficienza ed efficacia al coworking, allo smart working e alla didattica digitale diffusa (in presenza e a distanza), coordinando anche le azioni per la digitalizzazione (Misura 1) e quelli per la mobilità sostenibile (Misura 3)

La Scuola come sistema di orientamento nel mondo dell’innovazione

Forte è l’impegno del piano nell’orientamento che stabilisce innanzitutto l’obbligatorietà di almeno 30 ore nelle classi quarte e quinte delle scuole secondarie di secondo grado. Una piattaforma digitale presenterà puntualmente l’offerta delle Università e della Formazione Terziaria (gli ITS).

Lo scopo è quello di portare gli studenti a conoscenza dei percorsi di studio che possono intraprendere e il relativo indirizzamento verso i settori di occupazione per aumentare il numero di laureati e la formazione professionale secondaria ed universitaria.

Si punta così a risolvere lo squilibrio di competenze tra domanda ed offerta di lavoro e a rendere il bagaglio di competenze dei giovani coerente con le vocazioni produttive dei territori.

Tale intento viene perseguito mediante:

  • moduli orientativi nella scuola secondaria di secondo grado,
  • il potenziamento dell’offerta formativa di discipline abilitanti 4.0,
  • l’incremento delle competenze STEM e del multilinguismo,
  • un aumento delle collaborazioni tra Università e privati nella gestione dei dottorati che si arricchiscono di approcci imprenditoriali e puntano alla valorizzazione economica delle tecnologie e dell’innovazione.

Appare evidente l’importanza riservata agli ITS di cui si ipotizza di decuplicare il numero di studenti in cinque anni e che si pensa di dinamizzare e flessibilizzare nell’azione, creando osmosi con i percorsi universitari. Tali Istituti sono infatti, per loro genesi, già perfettamente integrati nei tessuti produttivi dei territori di cui colgono specializzazioni, storie industriali e capacità di innovazione. Sono gestiti in coerenza con le politiche territoriali e dispongono di un organico di insegnanti e formatori dei settori professionali a cui fanno specifico riferimento. Essi intercettano quindi le eccellenze italiane e contribuiscono direttamente al loro sviluppo partecipando alla costruzione dell’identità dei territori.

In tali Istituti più facilmente si può allargare anche al settore dell’Istruzione, in un approccio maggiormente sistemico, quella sinergia tra la ricerca e il modo delle imprese che è obiettivo dichiarato della Missione 4 e che dà titolo alla sua seconda Componente (Dalla ricerca all’impresa).

Un modello virtuoso che può dare preziose indicazioni per il complessivo approccio al mondo della scuola e della formazione, da un lato fornendo all’istruzione maggiore coerenza con lo sviluppo economico e sociale, dall’altro sviluppando nelle imprese visioni culturali più ampie, più complesse, più aperte al futuro e atte a supportare l’innovazione.

STEM o STEAM: in Italia la digitalizzazione deve puntare sulla bellezza

Come evidenziato, l’attenzione per una “scuola 4.0” è forte e si richiamano puntualmente le discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), ipotizzando un forte potenziamento dell’offerta formativa in tale direzione. Questo raggruppamento disciplinare è stato definito per creare un’interdisciplinarità in sintonia con le attuali linee di sviluppo economico e della produzione, ma forse, al momento, si è insistito sulle singole discipline, mentre la riflessione sulle connessioni tra di esse è, in parte, ancora da esplorare.

Sotto questo aspetto in Italia, forse, sarebbe più utile considerare l’allargamento al campo dell’Arte che è stato proposto attraverso la modifica dell’acronimo in STEAM. La dimensione artistica, sottesa all’inserimento della lettera A nell’acronimo, è tratto fortemente distintivo dell’identità nazionale, non solo per storia e patrimonio, ma anche come tratto distintivo attuale se si estende il ragionamento, ad esempio, al Made in Italy.

La digitalizzazione in Italia dovrebbe unire a Scienza e Tecnologia qualcosa di più che potremmo indicare con la parola “bellezza”.

Concentrarsi su questa specificità dell’eccellenza italiana potrebbe attivare la riflessione su un complesso di competenze disciplinari e di soft skills che interagiscono nei processi produttivi, cognitivi e relazionali; ciò permetterebbe di far emergere idee, stabilire procedure e protocolli, portando all’organizzazione di percorsi di innovazione con la definizione di curricoli verticali e di contesti di apprendimento e formazione funzionali allo sviluppo economico e sociale promosso nel Paese.

Nell’attuazione del Piano si dovrebbero, dunque, realizzare quantomeno importanti sinergie tra azioni per il settore Istruzione ed interventi per la Cultura (Missione 1 – Digitalizzazione, Componente “Turismo e Cultura 4.0”).

Il Piano poi sviluppa con puntualità la prospettiva dell’industria 4.0, ma non insiste, come forse dovrebbe, anche sul peso della digitalizzazione nel settore della comunicazione relativamente alle problematiche sociali e ai nuovi settori di attività e professioni: le competenze nella comunicazione digitale sono ormai irrinunciabili per il cittadino comune come per i professionisti di moltissimi settori. Ad esempio, il marketing è ormai divenuto webmarketing e l’influencer è una professione a tutti gli effetti che non può più essere solo un fenomeno che nasce sui sentieri selvaggi della rete, ma necessita di formazione specifica ed estremamente variegata, come dimostra l’istituzione di alcuni specifici corsi universitari.

Scuola e mondo del lavoro: una sinergia per imparare ad imparare

La seconda Componente della Missione 4 vuole creare rapporti tra mondo della Ricerca e Imprese per il trasferimento di innovazione tecnologica. La prima componente mira a creare rapporti funzionali tra Scuola e Imprese per la creazione di percorsi formativi che creino le competenze necessarie per gestire l’innovazione.

Scuola e Imprese per assolvere tale compito dovranno dialogare in termini di ricerca, sfruttando alcune istanze in cui le esperienze realizzate vengano sottoposte ad analisi e riesame per progettare le azioni successive secondo logiche di continuo miglioramento, che gestiscano il sapere acquisito e i processi da perseguire nei percorsi di studio e formazione e quindi nelle attività produttive.

Si può individuare, ad esempio, l’opportunità di creare un dialogo strutturato ed istituzionalizzato tra tutor interni alla scuola e tutor esterni delle pratiche dei PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento). In questo ambito, che rende più sistemica quella che in precedenza si definiva Alternanza Scuola Lavoro, potrebbero essere creati veri e propri organismi che non solo avrebbero la prevista funzione di “raccogliere elementi che consentano la riproducibilità delle esperienze e la loro capitalizzazione”, ma potrebbero anche sviluppare ricerca sulle caratteristiche e sulla qualità degli apprendimenti riflettendo, non solo su contenuti e procedure veicolati, ma anche e soprattutto sulle combinazioni di competenze disciplinari e soft skills, nonché sulla competenza chiave “imparare ad imparare”.

Ciò fornirebbe indicazioni e strumenti utili alle imprese per la formazione continua e, al contempo, indicazioni preziose alle scuole per l’orientamento, realizzando un’integrazione altissima tra Scuola e settori produttivi dei territori.

Le comunità locali acquisirebbero così una forte consapevolezza della loro identità più profonda, individuando le loro specifiche modalità di pensiero e di relazione.

Gli ostacoli da rimuovere

I limiti nella progettazione

L’esperienza dei Progetti PON (Programma Operativo Nazionale) ha evidenziato difficoltà di progettazione da parte delle scuole soprattutto nel predisporre interventi sistemici e generativi.

I finanziamenti sono stati distribuiti sostanzialmente a pioggia creando una forte parcellizzazione con poche esclusioni, quote attribuite in modo adeguato ai primissimi progetti in graduatoria e quote erogate agli altri molto più contenute. Ciò ha portato a realizzazioni limitate, ma soprattutto che si sono esaurite in sé stesse e non hanno prodotto particolare sviluppo ed innovazione nel sistema. Inoltre, le competenze acquisite dal personale coinvolto non sono state valorizzate e condivise.

I progetti delle scuole, in non pochi casi, si fondano su rilevazioni dei bisogni piuttosto approssimative, che assecondano richieste abbastanza superficiali delle famiglie. Le analisi dei contesti territoriali propongono frequentemente l’elencazione di dati di facile reperimento senza elaborazioni che ne ricostruiscano la complessità economica, sociale e culturale.

In molti progetti si è rilevata anche una mancanza di idee veramente innovative. Si è trattato a volte di attività tradizionali che richiedevano qualche risorsa economica in più per essere svolte in un numero maggiore di classi. Tali interventi si sono nuovamente contratti a fine finanziamento e non hanno modificato l’azione dei singoli docenti o l’organizzazione scolastica.

A volte risulta anche labile l’inserimento di progetti nella “catena della Qualità”: Piano dell’Offerta Formativa – Rapporto di Autovalutazione – Piano di Miglioramento.

Questo testimonia di una scarsa generatività dei progetti che sfruttano i finanziamenti PON solo in forma estemporanea e contingente, senza che vi sia una effettiva prospettiva di innovazione, non essendo predisposte modalità reali di messa a sistema e di diffusione delle esperienze. Ciò viene aggravato spesso dalle carenze nelle capacità di reperimento di fondi con cui integrare i finanziamenti PON. Fundraising e crowdfunding stanno emergendo con forza in alcune scuole, ma non possono dirsi procedure assodate per il sistema scolastico nel suo complesso.

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I limiti nella gestione delle reti territoriali

Dai progetti PON risulta anche una forte difficoltà delle Istituzioni Scolastiche nel gestire reti di scopo. Rapporti tra scuole e con altri soggetti vengono, in genere, elencati, ma spesso si riducono a sinergie molto meccaniche e mirate ad obiettivi molto limitati. Il rapporto con soggetti istituzionali e privati si risolve spesso nella partecipazione a progetti gestiti dai medesimi e in cui la scuola non è un’entità guida, ma un semplice destinatario di servizi fruiti in un contesto di obiettivi, modalità e regole altrui.

Lo sviluppo di vere reti scolastiche e territoriali permetterebbe di non procedere con i finanziamenti a pioggia, concentrando invece risorse in scuole in grado di esprimere effettivamente innovazione e di far crescere successivamente a cascata le altre nella messa a sistema dei risultati e dell’innovazione con impegni di spesa ottimizzati.

I limiti nella documentazione e nella valutazione

Le scuole hanno di frequente evidenziato carenze nella documentazione delle esperienze che l’esposizione in internet ha orientato verso scopi di auto-legittimazione.

Non ci si trova spesso di fronte ad un riesame delle esperienze che facilita la loro messa a sistema o la realizzazione di progetti che sviluppino ulteriormente i risultati conseguiti.

Inoltre, la valutazione dell’impatto dei progetti appare di frequente preordinata dalla percezione di successo e dalla soddisfazione degli studenti (ma anche di genitori e docenti), piuttosto che da strumenti di analisi puntuale dell’acquisizione di competenze, del cambiamento nella gestione dei processi di insegnamento-apprendimento, dell’organizzazione dell’attività della comunità scolastica e delle sue relazioni con il territorio

Gli insegnanti: ruoli e formazione per la gestione del sistema scuola

I limiti qui evidenziati rimandano alla fondamentale questione del reclutamento e della formazione del personale della scuola ed in particolare degli insegnanti che alle competenze relative alla realizzazione dei processi di insegnamento-apprendimento devono unire oggi competenze necessarie a coprire ruoli differenziati per la gestione della Scuola come comunità educante integrata nel territorio (un incubatore di idee e innovazione capace di interagire con plurimi soggetti territoriali e in grado di attingere a fonti complesse di finanziamento).

Il Piano prevede di attuare il reclutamento del personale docente non più solo attraverso una procedura concorsuale a cui far seguire la “formazione dei neoassunti”, ma protraendo il percorso concorsuale stesso lungo tutto un anno di attività, avendo cura di sviluppare e valutare le competenze in merito a metodologie didattiche acquisite e alla capacità di relazionarsi con la comunità educante.

Il Piano ridefinisce poi la formazione in servizio come obbligatoria e attribuente crediti e predispone per tale scopo l’istituzione di una Scuola di Alta Formazione (Università – INDIRE).

Si fa quindi ampio riferimento a forme di didattica digitale integrata, alla mobilità europea degli insegnanti e alle potenzialità dei progetti Erasmus+ , ad una nuova piattaforma per la documentazione e la condivisione delle esperienze e per la gestione di portfolio professionali dei docenti nella forma di Open Badge (attestati digitali di conoscenze disciplinari, soft skills e competenze tecniche acquisite).

Viene quindi indicata, nella presentazione delle linee d’azione, la possibilità per i docenti di sviluppare una carriera legata alle responsabilità assunte all’interno della scuola con crescita in ruolo e aumento della retribuzione. Si fa riferimento a funzioni di coordinamento, progettazione e formazione. Il tutto è ancora un’ipotesi poco dettagliata (e collocata, non molto comprensibilmente nella Linea d’Azione “Competenze STEM e multilinguismo), ma fornisce una prima risposta alla creazione di un organico differenziato e riconosciuto che risponda alla complessità dei compiti e della gestione della Scuola di oggi.

V’è necessità, perciò, che la formazione miri a creare effettive competenze anche per tali funzioni di sistema per superare le carenze di progettazione e gestione precedentemente poste in risalto.

Il tema è delicato in quanto sarà motivo di confronto e contrattazione sindacale, non semplice da realizzare per la necessaria ristrutturazione del contratto di lavoro che non dovrebbe più basarsi solo sul numero di ore di insegnamento e su semplici integrazioni economiche, volte ad “indennizzare” lo svolgimento di funzioni importanti, che però sul versante del riconoscimento e della retribuzione sono ora di fatto individuate come estemporanee.

Nondimeno, va rilevato che, negli ultimi anni, nella formazione è emerso un approccio pericoloso. Grazie alle grandi opportunità messe a disposizione dal digitale, molti docenti hanno cominciato a diffondere le loro pratiche didattiche, promuovendole come di provata qualità. Questa azione è fluita nei corsi di formazione, soprattutto in quelli del Piano Nazionale Scuola Digitale. Per trovare l’ampio numero di formatori necessari, in alcuni casi, si è data automaticamente dignità di formazione ad un pur encomiabile ed utile scambio di esperienze. Abbiamo assistito quindi, a volte, a formazioni che assomigliano più che altro a tutorial di esperienze autovalutate come buone pratiche.

Pesa in tal senso anche la mancanza di Istituti Regionali di Ricerca Educativa, soppressi definitivamente nel 2012, e bisognerà quindi trovare il modo di sopperire all’assenza di un sistema di formazione istituzionale dei formatori e definire modalità di certificazione di competenze, esperienze e progetti.

Questa mancanza di controllo dell’accesso alla funzione di formatore ha determinato una confusione tra dibattito professionale e formazione ed ha anche ridotto l’apporto dell’Università.

È evidente che sarà necessario tracciare il quadro complessivo della formazione secondo criteri di maggiore scientificità.

La scuola tra gli artefici della ripresa

In conclusione, si riconosce nel Piano di Ripresa e Resilienza uno spettro considerevole di interventi che sottendono una visione sistemica dell’innovazione del settore Istruzione in forte interconnessione con i settori economici, la Ricerca e la crescita sociale. Molte opportunità di innovazione dovranno essere concretizzate nel momento della pianificazione e dell’attuazione, toccando questioni riconducibili a storie, abitudini e fattori culturali per risolvere i quali non basterà il solo stanziamento di fondi. Sarà necessario lo sforzo di tutte le componenti della scuola e della società per realizzare il cambiamento, superando rassicuranti visioni conservative e per consegnare ai giovani una società più capace di gestire la complessità in cui siano essi stessi artefici del cambiamento.

Sotto questo aspetto bisognerà da subito coinvolgere gli studenti nell’attuazione dei percorsi di innovazione delineati nel Piano. La Scuola non è solamente destinataria di risorse e servizi. La Scuola può produrre servizi e gli studenti sono già cittadini a pieno titolo.

Le scuole agiscono da tempo sulle aree di intervento del PNRR. In particolare, sono attive sul versante dell’efficienza energetica, della tutela del territorio, dell’Internet of things, della sostenibilità, della gestione dei Beni Culturali e predispongono anche servizi di orientamento gestiti dagli stessi studenti.

Oltre ad inserire nei curricoli i saperi, le abilità, le competenze e gli atteggiamenti a cui il Piano rimanda, le scuole possono produrre significative azioni direttamente sul campo, orientando la didattica verso i cosiddetti “compiti di realtà” e predisponendo vere azioni di supporto alla collettività attraverso il Service Learning e la collaborazione con le imprese per la realizzazione di beni e servizi.

La già citata organizzazione di reti di scopo tra scuole ed entità del territorio sarà dunque centrale nella realizzazione dei processi di innovazione: potrà, infatti, l’indirizzare l’offerta formativa non solo agli studenti ed alle loro famiglie, ma anche alla più ampia comunità locale. La Componente “Potenziamento delle competenze e diritto allo studio” dovrà dunque avvalersi di scuole realmente autonome ed integrate nei territori.

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