l'indagine

Il Piano Scuola 4.0 e l’eredità della pandemia sull’ecosistema didattico: luci e ombre sul futuro

La pandemia ha lasciato un’importante eredità di innovazione, seppur forzata, sugli ecosistemi di apprendimento. Sulla base di un’indagine condotta a due anni dal lockdown su un campione di docenti e dirigenti, una riflessione sugli effetti di questo shock digitale e sui pro e i contro del Piano Scuola 4.0

Pubblicato il 12 Ott 2022

Carlo Giovannella

Università di Roma, Tor Vergata

scuola

Si è appena aperto l’anno scolastico della sperata, da molti, normalizzazione. Ma, ci chiediamo, i due anni e più trascorsi dall’inizio della pandemia sono stati davvero così orribili da cercare di cancellarne il ricordo nel più breve tempo possibile?
In questi due anni, nella cosiddetta letteratura grigia, è stato scritto di tutto sugli ecosistemi di apprendimento (scuola e università), dapprima sotto l’impulso dell’emergenza, poi a seguito di convinzioni personali (tecno-entusiastiche o tecno-fobiche) o perché spinti dalle necessità di rappresentare esigenze di carattere economico e sociale, più recentemente dal desiderio di una nuova normalità e ora dall’esigenza di raggiungere gli obiettivi del PNRR.

Ma, piuttosto che commentare sulla scia di questi fattori, è preferibile a mio avviso affidarsi a dati concreti e poi, sulla base di questi, analizzare l’impianto e i contenuti del Piano Scuola 4.0.

#PNRRIstruzione, il Piano Scuola 4.0

#PNRRIstruzione, il Piano Scuola 4.0

Guarda questo video su YouTube

L’eredità della pandemia sulla digitalizzazione a scuola: l’analisi

Si è passati dalla DAD come salvezza-disastro, alla DID, al rigetto di ogni forma di integrazione tecnologica e, infine, alla necessità di confrontarsi con la transizione digitale del comparto scolastico impostaci dall’Europa. Come ho già evidenziato, personalmente, per deformazione personale, ho sempre scritto ed espresso opinioni a partire dall’analisi dei dati. Dati che per quanto possibile, preferisco raccogliere e analizzare in prima persona.

Non fa eccezione questo intervento che si basa su un’indagine condotta a due anni dal lockdown, in collaborazione tra ASLERD e ANP, su un campione significativo di docenti e dirigenti scolastici. Il lettore interessato ai dettagli relativi alla costruzione del questionario, alla descrizione del campione e all’analisi statistica è rinviato all’articolo (in inglese) disponibile su ResearchGate [1] o a quello in italiano disponibile su BRICKS e ResearchGate [2]. Qui ci limitiamo a sintetizzare gli esiti principali di un’indagine che ha inteso far emergere l’eredità lasciataci da un processo forzato di innovazione tecnologica, passato dapprima per la didattica a distanza, poi per quella integrata e per quella parallela-mista per giungere, ora, alla richiesta dello sviluppo di una realtà “figitale” (vedere piano Suola 4.0).
L’indagine, oltre a indagare le caratteristiche di un processo di innovazione tecnologica forzata e la relazione causale esistente tra i fattori presi in considerazione nel corso dello studio – di cui non ci occuperemo qui se non in minima parte – ha inteso valutare il livello di e-maturity (maturità digitale) raggiunto dall’ecosistema scolastico italiano e del benessere lavorativo (wellbeing) di coloro che hanno risposto al questionario.

L’effetto dello “shock digitale” subito dall’ecosistema scolastico su eMaturity e wellbeing

Prima di passare ai risultati è opportuno illustrare brevemente cosa si intende per “e-maturity” e “wellbeing”.
L’e-maturity è un costrutto multifattoriale utile a misurare la maturità digitale di un’organizzazione complessa – quale un ecosistema di apprendimento scolastico [3,4] – ovvero la capacità  di sfruttare al meglio le opportunità offerte dalle tecnologie e dalla cultura digitale per lo sviluppo strategico  dell’organizzazione stessa. Trattasi di un costrutto alla cui definizione concorrono tre aspetti che caratterizzano il funzionamento e lo sviluppo di un’organizzazione complessa: le risorse tangibili e intangibili (infrastrutture, apparecchiature e software utilizzati in tutti i sottoprocessi messi in campo dall’organizzazione); le competenze individuali (di tutti gli attori che giocano un ruolo nei suddetti sottoprocessi); la cultura organizzativa dell’ecosistema (vision, capacità di pianificazione, percorsi di sviluppo professionale, etc.), vedere fig.1.

In tale figura abbiamo riportato in tre blocchi i fattori che concorrono a definirla e che sono stati oggetto di studio nella presente indagine, unitamente a un quarto blocco dedicato ai fattori che caratterizzano i processi di apprendimento erogati dall’ecosistema, in quanto è su di essi che si palesano gli effetti pratici degli sviluppi strategici che interessano l’ecosistema stesso.
Il “wellbeing” individuale, d’altro canto, interessa i livelli più alti della piramide della smartness-wellbeing di un ecosistema, vedere fig.2, che sono in relazione con gli elementi che costituiscono l’impianto della Self-Determination Theory (SDT) [5]: autonomia, competenza, relatedness (relazionalità/affinità).

La relatedness è connessa al bisogno di interazioni sociali soddisfacenti. Queste ultime, a loro volta, sono alla base dell’apprezzamento pubblico e dell’autostima. Fig. 2, inoltre, mostra come i livelli più alti della piramide della smartness siano connessi alla capacità del tecno-ecosistema di generare nell’individuo uno stato di “flow” [6], ovvero di forte coinvolgimento, necessario al raggiungimento di un significativo livello di soddisfazione personale e alla sensazione di operare con competenza e adeguatezza nel rispondere alle sfide poste dal contesto operativo, sfide che possono essere accompagnate da un’ulteriore crescita del livello di competenza percepito. Il forte coinvolgimento e la sensazione di adeguatezza delle sfide presentate dal contesto, infine, tendono a indurre una sensazione di maggiore autonomia, unitamente a un incremento della motivazione estrinseca e, quindi, ad un senso di appagamento (potenzialmente capace di stimolare anche la motivazione intrinseca).

L’analisi dei dati raccolti mostra come l’effetto dello “shock digitale” subito dall’ecosistema scolastico sia stato positivo sia sulla percezione di e-maturity del sistema scolastico che su quella del wellbeing lavorativo individuale.

Il benessere lavorativo in seguito alla pandemia

Per quel che riguarda quest’ultimo, come mostrato da fig. 3, il benessere lavorativo sembra essere aumentato maggiormente per i dirigenti scolastici che per gli insegnanti.

In cima alla lista dei fattori che hanno riscontrato maggior giovamento dallo shock troviamo l‘accresciuto senso di autonomia, accompagnato da un senso di maggior coinvolgimento e dalla percezione di maggiore stima degli altri nei propri confronti e in ciò che si è in grado di realizzare. Meno rilevanti ma ancora significative le variazioni in positivo della motivazione personale, sia intrinseca che estrinseca e del livello di autostima. A chiudere, la variazione, comunque in positivo, del livello di autorealizzazione.  Il deciso miglioramento in termini di benessere individuale in ambito lavorativo è risultato essere accompagnato da un altrettanto, e anzi superiore, miglioramento del livello percepito della propria relazione personale con le tecnologie; dell’interesse verso le sfide poste dalla digitalizzazione della scuola; del feeling con le tecnologie; della propria propensione nei riguardi dell’innovazione. Una situazione che nel complesso viene ad essere riassunta nella percezione di incremento dell’e-maturity individuale.
Questi risultati assumono una rilevanza ancora maggiore alla luce di un dato già emerso in passato e che viene ulteriormente confermato dalla presente indagine: la didattica on-line, e comunque l’integrazione di tecnologie nei processi scolastici, comportano un incremento consistente della mole di lavoro per coloro che vi sono coinvolti, 60% nella percezione degli insegnanti, 67% in quella dei dirigenti scolastici.

La maturità digitale dell’ecosistema scolastico

Positivo anche l’effetto sull’e-maturity percepita come abbondantemente sufficiente. Le valutazioni medie riguardanti i fattori che compongono il costrutto e-maturity ricavate dalle risposte dei partecipanti sono riassunte in fig. 4.

Ancora una volta più positive quelle dei dirigenti scolastici rispetto a quelle dei docenti, con un divario che si allarga in maniera non inattesa, nel caso degli aspetti relativi alla cultura organizzativa dell’ecosistema: leadership digitale, visione futura sul digitale, assistenza operativa, smart organization dei processi, condivisione delle “migliori pratiche”.

Nel dettaglio – nonostante i problemi strutturali emersi anche nelle precedenti indagini e che continuano ad affliggere la scuola italiana – le valutazioni sulla connettività dell’ecosistema scolastico e sulla dotazione hardware della stessa sono leggermente migliorate nell’opinione degli insegnanti rispetto al 2021 e hanno assunto valori relativamente alti in quella dei dirigenti scolastici.

Più bassa appare la valutazione relativa alla dotazione informatica degli studenti ma, dal momento che la penetrazione degli smartphone tra i giovani è pari al 100%, è molto probabile che tale valutazione si riferisca alla disponibilità personale di un laptop che non è ancora alla portata di tutte le famiglie. I rispondenti, inoltre, hanno stimato come piuttosto elevato il livello delle proprie competenze digitali e pedagogiche associate, mentre si sono mostrati molto più parsimoniosi nei confronti delle competenze dei propri colleghi, quantunque esse risultino in significativo miglioramento rispetto al 2020. Di livello più elevato le competenze digitali riconosciute agli studenti.
Molto interessante lo studio delle relazioni causali tra fattori che contribuiscono alla determinazione della maturità digitale dell’ecosistema scolastico, mostrate in fig. 5.

Come era logico e auspicabile aspettarsi, il terminale della rete causale è proprio la e-maturity del sistema scolastico (SeM). Appare anche abbastanza logico che i fattori che descrivono le infrastrutture e le dotazioni tecnologiche si trovino a monte della rete causale, prima tra tutti la connettività della scuola (SC).

È interessante notare come le competenze digitali degli studenti (ASTP) vengano considerate come precondizioni affinché  gli studenti si dotino di un’adeguata attrezzatura (StTA) e di come quest’ultima sia considerata capace di influenzare la percezione dell’adeguatezza tecnologica della scuola (STA), quasi ne fosse una componente. Diverso il discorso sulle competenze digitali (ATTP) e pedagogiche (ATPP) degli insegnanti che sono percepite come fattore indipendente sia dalla dotazione tecnologica della scuola che dalla cultura organizzativa, quantunque parte dei fattori che definiscono la maturità digitale.

È un dato che fa riflettere: sembrerebbe che gli insegnanti percepiscano le competenze medie del corpo docente come il frutto di un impegno individuale piuttosto che come il risultato indotto dall’attuazione di una strategia finalizzata a produrre una crescita complessiva dell’ecosistema in termini di cultura digitale. È chiaro altresì che i fattori che contribuiscono a determinare la cultura organizzativa dell’ecosistema fungono da ponte tra la disponibilità di un’adeguata infrastruttura tecnologica e il loro utilizzo ottimale finalizzato allo sviluppo di un’elevata maturità digitale. Il ruolo della dirigenza scolastica appare dunque essenziale. La leadership digitale (SDL), infatti, è determinata non solo dall’acquisizione di un’adeguata dotazione tecnologica, ma quest’ultima deve essere accompagnata da un altrettanto adeguato livello di assistenza operativa (OA). E non basta, serve anche una spinta alla condivisione delle migliori pratiche (BPS) che viene ritenuta fondamentale sia per la qualità della formazione (QT) che per il mantenimento di un alto livello di coesione e collaborazione tra colleghi (CC). La leadership digitale è il fattore in grado di ispirare una soddisfacente vision sul futuro digitale dell’ecosistema (SDFV) che non può prescindere dall’utilizzo di un’organizzazione del lavoro smart (USO).

Piano Scuola 4.0 senza visione e coraggio: così si rischia di sprecare (di nuovo) l’occasione

Shock digitale e innovazione tecnologica

Nel complesso gli esiti dell’indagine aiutano a fare chiarezza su molti dei temi oggetto di discussione in questi ultimi due anni e restituiscono un quadro che induce a un cauto ottimismo. Lo shock digitale innegabilmente c’è stato e ha indotto un processo di innovazione tecnologica senza precedenti. Non è ancora possibile valutare quanto tale adozione sia vissuta come una trasformazione profonda e persistente a livello individuale. Di certo trattasi di una trasformazione che trova le sue radici nel comfort generato da un uso semplice ed efficace delle tecnologie e, di certo, non è stata ostacolata da una decrescita del benessere psicologico in ambito lavorativo che, anzi, risulta essere aumentato, in tutte le sue componenti.
Da una situazione di comfort tecnologico è emerso anche un interesse diffuso per le sfide presentate da un’ipotetica transizione digitale applicata al contesto scolastico, nonché un miglioramento del rapporto personale con le tecnologie didattiche che ha comportato il manifestarsi di una sensazione di maggiore efficacia personale e di autonomia, come pure – e ciò sin dai primi mesi dopo il lockdown – una forte richiesta di formazione continua.
L’introduzione forzata delle tecnologie ha comportato anche una crescente convinzione di sostenibilità della  didattica integrata e, ancor di più della didattica aumentata dalle tecnologie, facendo sgorgare sia negli insegnanti che nei dirigenti scolastici, la convinzione che la scuola debba ricorrere sempre di più e con percentuali sempre maggiori a processi di apprendimento aumentati dall’uso di tecnologie.
Sicuramente restano ancora irrisolte alcune problematiche di carattere infrastrutturale, come quella di un’adeguata connettività di rete della scuola – problema che si è palesato in tutta la sua rilevanza con il ritorno in classe e con l’utilizzo della didattica blended parallela – e quella del digital divide, seppure in apparente diminuzione.
Purtroppo, però, i dati raccolti mostrano anche che il ritorno a una nuova normalità sembra aver avviato un processo di sfilacciamento del senso di forte coesione e collaborazione tra colleghi che si era istaurato nel corso del primo anno di lock-down. Per poter preservare tale senso di coesione sarebbe fondamentale un’azione mirata da parte della dirigenza scolastica, figlia di un’adeguata leadership.

Da quanto sopra è evidente che ci troviamo a un bivio: possiamo scegliere di sfruttare al meglio l’eredità positiva che ci ha lasciato un evento così tragico come la pandemia, o di lavorare al ripristino di un modello di scuola indotto dalla rivoluzione industriale che, da tempo, non è più allineato ai progressi della società civile e appare, ormai, anti-storico.

L’impianto e i contenuti del Piano Scuola 4.0

Alla luce degli esiti di questa indagine possiamo analizzare l’impianto e i contenuti del Piano Scuola 4.0.

Il primo impatto con l’impianto del piano non può che essere positivo, come lo fu con il PNSD. Se allora, infatti il PNSD sorprese piacevolmente perché mise per la prima volta a sistema le risorse disponibili all’interno di un progetto unitario, oggi il piano Scuola 4.0 sorprende altrettanto piacevolmente perché per la prima volta propone un approccio e una vision ecosistemici della scuola (ragioni fondanti dell’ASLERD) che inevitabilmente, a causa delle richieste europee, eleggono la transizione digitale a mantra.

Gli aspetti positivi del Piano Scuola 4.o

Un aspetto estremamente positivo è rappresentato dall’enunciazione di linee guida per la realizzazione dei processi di progettazione e implementazione degli spazi tecnologicamente aumentati. Potrebbe sembrare poca cosa ma in questo modo si fornisce una sensazione di concretezza all’impianto generale e sopperisce a una delle maggiori problematiche riscontrabili ancora oggi all’interno della scuola: la mancanza di una cultura del progetto.

Di assoluta rilevanza l’intenzione-obiettivo di portare la banda larga a tutti gli edifici scolastici entro il 2025 e completare il cablaggio interno delle scuole. Risponde a una delle criticità osservate durante il periodo della didattica integrata e parallela in cui, in molti spazi scolastici, non è stato possibile realizzare attività che consentissero di sfruttare risorse esterne e di utilizzare al meglio il “cloud”. Altrettanto importante l’impegno nella riduzione del “digital divide” con il riferimento ai dispositivi da concedere in comodato d’uso, come pure quello nei confronti della dematerializzazione e nell’accesso telematico dei servizi amministrativi forniti dalla scuola.
Estremamente positivi anche l’indicazione relativa alla realizzazione di spazi caratterizzati da elevata flessibilità e l’intenzione di diffondere tra gli studenti e gli attori della scuola una cultura diffusa del digitale (competenze digitali) nelle sue varie accezioni.
In termini ecosistemici risultano fondamentali, inoltre, sia l’evidenziazione della connessione esistente tra spazi, approcci educativi e competenze, sia la messa in relazione della realizzazione dei laboratori con le esperienze di PCTO e il possibile sbocco verso gli ITS.
Ancora positiva l’intenzione di rivedere la formazione iniziale di insegnanti e dirigenti scolastici e di sostenere la loro formazione continua, ovvero di dare risposta a una delle richieste più forti che sono emerse dalle indagini da noi svolte nel corso di questi ultimi due anni. Altrettanto positivo il riconoscimento della leadership dei dirigenti scolastici come ingrediente essenziale per il successo del piano.

Le criticità da evidenziare

D’altro canto, però, il piano contiene, più o meno evidenti, un certo numero di criticità che vale la pena sottolineare, tanto più che il documento è inteso come in fieri e dunque soggetto a miglioramenti.
La principale di esse è la mancanza di un vero salto di qualità nella visione pedagogica d’insieme che appare fortemente condizionata da slogan e terminologie un po’ alla moda, di limitata utilità nella formazione delle nuove generazioni.

Manca, ad esempio, il riferimento a un sistema integrato di competenze (non solo competenze digitali) che possa fungere da faro per lo sviluppo armonico degli studenti. Un sistema che abbia nel pensiero progettuale, nella competenza metaprogettuale e, più in generale, nella “design literacy” il punto di riferimento; un sistema in cui le competenze digitali siano riconosciute come l’elemento in grado di amplificare le competenze per la vita e non come la finalità del sistema educativo, e in cui siano poste al servizio non solo della transizione digitale ed ecologica ma anche, ad esempio, della cittadinanza attiva e dell’innovazione sociale, con il pieno coinvolgimento delle comunità locali, attuabile attraverso i patti di comunità già stipulati da molte scuole.
E abbastanza ovvia, poi, la necessità di rivedere le finalità dei vari percorsi scolastici: se da una parte si percepisce l’intenzione di indirizzare i percorsi tecnici verso l’istruzione tecnica di terzo livello allo scopo di colmare lo “skill mismatch”, dall’altra si perde chiarezza sulla finalità dei licei, in particolare del liceo classico. Di certo avranno il compito di accompagnare lo sviluppo di menti ben formate e flessibili ma a quale scopo, considerando che oggi i classici, e spesso anche gli scientifici, non sono in grado di preparare i ragazzi a sostenere, ad esempio, un test di medicina … e di certo non aiutano a tale fine corsi di coding, robotica, intelligenza artificiale o realtà virtuale/aumentata.

Altri aspetti del Piano Scuola 4.0 su cui riflettere

  • se da una parte viene fornita una scaletta temporale abbastanza precisa per la progettazione e l’implementazione dei vari interventi, dall’altra mancano riferimenti chiari alla misura dell’impatto che non può essere demandata a misure standardizzare a carico del sistema nazionale di valutazione, ma dovrebbe far riferimento a KPI (key performance indicators) definiti all’atto della progettazione dall’ecosistema scolastico e strettamente legati agli obiettivi pedagogici da monitorare – ben oltre la conclusione del progetto – e a cui andrebbe condizionato l’ottenimento di futuri finanziamenti; sarebbe opportuno, inoltre, che del raggiungimento di tali risultati resti traccia nei curricula dei dirigenti e degli insegnanti che si sono impegnati nella progettazione e nella realizzazione degli interventi, in modo che non si perda la loro memoria con eventuali e possibili trasferimenti del personale, anche in corso d’opera;
  • se da una parte si intende portare la larga banda a tutte le scuole non è chiaro come si pensi di renderne sostenibile l’utilizzo nel futuro; il progetto fa riferimento, in un breve passaggio, a una copertura per soli 5 anni senza indicare in modo chiaro a carico di quale azione;
  • se da una parte si intende favorire la ridefinizione degli spazi scolastici in un’ottica di flessibilità funzionale dall’altra si richiede di effettuare tale ridefinizione con gli spazi esistenti; in tantissime scuole, purtroppo, le dimensioni delle aule – soprattutto nelle scuole secondarie – sono talmente risicati che mai e poi mai si potrebbero applicare  i principi illustrati nel piano Scuola 4.0 che sono derivati dall’idea progettuale  sottesa alla realizzazione di una scuola come la Vittra, in cui però gli spazi sono stati progettati da zero; sicuramente l’approccio DADA (Didattiche per Ambienti di Apprendimento) e la rotazione degli alunni – fatti salvi i problemi organizzativi di orario – possono aiutare, ma spesso gli spazi scolastici non consentono neppure l’applicazione di tale approccio e richiederebbero una completa ristrutturazione/sostituzione dell’edificio;
  • se da una parte si intende promuovere (investimento 2.1 e riforma 2.2) un ampio programma di formazione alla transizione digitale di tutto il personale scolastico, dall’altra sarebbe opportuno definire degli strumenti adeguati per evitare che le risorse finiscano per mantenere una pletora di formatori o per distribuire integrazioni stipendiali ad alcuni insegnanti e, soprattutto, per far in mondo che le stesse metodologie di cui si invoca l’adozione nella processi di apprendimento scolastico vengano adottate anche in tali corsi di formazione – e il riferimento è in particolare agli approcci basati sul progetto e sullo sviluppo di competenze – per evitare, come è successo durante il PNSD, che i poli di formazione si riempiano di discenti interessati più a mettere la firma che a mettere in pratica, concretamente, quanto affrontato; anzi sarebbe opportuno che anche la formazione venga collegata a un serio monitoraggio di impatto e, perché no, a un meccanismo premiale (è ciò che si aspetterebbero dirigenti e insegnanti che si sono realmente impegnati sul campo in questi ultimi due anni);
  • se da una parte si intende completare la migrazione dei processi amministrativi in cloud e l’accesso dei cittadini ai servizi amministrativi delle scuole, dall’altra manca un approfondimento sull’adozione di pratiche di “smart working” e sulla digitalizzazione e ottimizzazione digitale dei processi interni (si pensi che uno dei problemi maggiormente segnalati dai docenti è l’interazione con le segreterie anche sul terreno documentale).

Per quel che riguarda gli slogan contenuti nel piano 4.0 a cui facevamo riferimento più sopra, ci soffermiamo solo un esempio (anche se l’elenco sarebbe lungo) utile a chiarire il problema: “Allo stesso tempo gli ambienti innovativi e le tecnologie possono rappresentare una importante occasione di cambiamento dei metodi e delle tecniche di valutazione degli apprendimenti in chiave formativa e motivazionale, grazie al contributo offerto dalle tecnologie digitali che consentono di avere feedback in itinere per monitorare e migliorare sia il processo di apprendimento dello studente che di insegnamento da parte del docente.”
Belle parole ma chi conosce un minimo il settore e gli esiti della ricerca internazionale non può fare a meno di chiedersi quali sono le tecnologie che consentirebbero ciò? Quali livelli/dimensioni dell’esperienza di apprendimento consentirebbero di monitorare? Attraverso quali tracce? Quale il livello di interoperabilità e integrabilità dei dati e delle misure? Etc… E sempre ammesso che i docenti dell’ecosistema scolastico italiano siano in grado di relazionarsi alle tecnologie didattiche in questi termini.

Conclusioni

In ogni caso, come già scritto, il piano è in fieri e siamo fiduciosi che con adeguati confronti sia possibile aumentarne il livello di concretezza e di ecosistemicità.

Addendum: per quanto argomento non attinente al Piano Scuola 4.0 ritengo utile segnalare che in parallelo alla ridefinizione dell’ecosistema scolastico – in termini di spazi, metodologie e competenze – sarebbe opportuno rimettere mano alle metodologie e agli spazi della didattica anche per gli ecosistemi universitari, non sia mai che nella transizione dalla scuola all’università gli studenti abbiano la sensazione di piombare in un medioevo metodologico e infrastrutturale (con l’eccezione, ma non sempre, della connettività alla rete).

Note

[1] Giovannella C., Cianfriglia L. and Giannelli A., The Italian School Ecosystems two years after the lockdown: an  overview on the “digital shock” triggered by the pandemic in the perceptions of schools’ principals and teachers, in  “SLERD 2022: towards the polyphonic construction of a new normality”, Springer, 2022, to be published; https://www.researchgate.net/publication/360784542_The_Italian_School_Ecosystems_two_years_after_the_lockdown_an_overview_on_the_digital_shock_triggered_by_the_pandemic_in_the_perceptions_of_schools’_principals_and_teachers

[2] Giovannella C., Cianfriglia L. and Giannelli A., A due anni dal lockdown: la percezione di insegnanti e dirigenti scolastici circa gli effetti  provocati dallo shock digitale sul sistema scolastico italiano. BRICKS, Sept. 2022
https://www.researchgate.net/publication/363788843_A_due_anni_dal_lockdown_la_percezione_di_insegnanti_e_dirigenti_scolastici_circa_gli_effetti_provocati_dallo_shock_digitale_sul_sistema_scolastico_italiano

[3] 24. Underwood, J., Baguley, T., Banyard, P., Dillon, G., Farrington-Flint, L., Hayes, M., & Selwood, I. (2010).  Understanding the impact of technology: Learner and school level factors. http://dera.ioe.ac.uk/1434/1/becta_2010_understandingimpacttechnology_report.

[4] Sergis S., Zervas P., Sampson D. G., A Holistic Approach for Managing School ICT Competence Profiles towards  Supporting School ICT Uptake, International Journal of Digital Literacy and Digital Competence 5(4), 2014, pp. 33-46

[5] Desmet P. MA. Pohlmeyer A. E. Positive design: An introduction to design for subjective well-being. International  journal of design 7, 3, 2013, 5–Available Online at: https://repository.tudelft.nl/islandora/object/uuid%3A06ec60ac 0363-43ea-9ccd-8426ef0d6b64.

[6] Czisikszentmihalyi M.: Flow – The Psychology of Optimal Experience. Harper & Row (1990)

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

EU Stories - La coesione innova l'Italia

Tutti
Analisi
Video
Iniziative
Social
Programmazione europ
Fondi Europei: la spinta dietro ai Tecnopoli dell’Emilia-Romagna. L’esempio del Tecnopolo di Modena
Interventi
Riccardo Monaco e le politiche di coesione per il Sud
Iniziative
Implementare correttamente i costi standard, l'esperienza AdG
Finanziamenti
Decarbonizzazione, 4,8 miliardi di euro per progetti cleantech
Formazione
Le politiche di Coesione UE, un corso gratuito online per professionisti e giornalisti
Interviste
L’ecosistema della ricerca e dell’innovazione dell’Emilia-Romagna
Interviste
La ricerca e l'innovazione in Campania: l'ecosistema digitale
Iniziative
Settimana europea delle regioni e città: un passo avanti verso la coesione
Iniziative
Al via il progetto COINS
Eventi
Un nuovo sguardo sulla politica di coesione dell'UE
Iniziative
EuroPCom 2024: innovazione e strategia nella comunicazione pubblica europea
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Interviste
Marco De Giorgi (PCM): “Come comunicare le politiche di coesione”
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politiche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia
Programmazione europ
Fondi Europei: la spinta dietro ai Tecnopoli dell’Emilia-Romagna. L’esempio del Tecnopolo di Modena
Interventi
Riccardo Monaco e le politiche di coesione per il Sud
Iniziative
Implementare correttamente i costi standard, l'esperienza AdG
Finanziamenti
Decarbonizzazione, 4,8 miliardi di euro per progetti cleantech
Formazione
Le politiche di Coesione UE, un corso gratuito online per professionisti e giornalisti
Interviste
L’ecosistema della ricerca e dell’innovazione dell’Emilia-Romagna
Interviste
La ricerca e l'innovazione in Campania: l'ecosistema digitale
Iniziative
Settimana europea delle regioni e città: un passo avanti verso la coesione
Iniziative
Al via il progetto COINS
Eventi
Un nuovo sguardo sulla politica di coesione dell'UE
Iniziative
EuroPCom 2024: innovazione e strategia nella comunicazione pubblica europea
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Interviste
Marco De Giorgi (PCM): “Come comunicare le politiche di coesione”
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politiche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia

Articoli correlati