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Imprenditoria e innovazione a scuola: si comincia dalle elementari

Nei Paesi scandinavi (ma anche in Messico), insegnare l’imprenditorialità fin dalle elementari è ormai una prassi. L’Italia dovrebbe seguire questi esempi e le indicazioni della Commissione Ue per creare un chiaro e sostenibile ambiente attrattivo e competitivo per le startup delle prossime generazioni

Pubblicato il 20 Nov 2019

Riccardo Scarfato

Institutional Affairs Manager

ricerca e sviluppo - startup

Creare un ambiente che favorisca la nascita, crescita e sviluppo delle imprese partendo dai banchi di scuola (non solo universitari) sembra essere oramai una mossa vincente. Un reale supporto alla creazione di imprese si ha con una diffusione capillare di “informazioni e cultura imprenditoriale”, provando ad investire così nelle prossime generazioni e giovani leve del futuro mercato del lavoro fin dai primi anni della loro scolarizzazione.

Inquadramento e definizione di imprenditoria

L’imprenditorialità è un ambito affascinante ma di difficile definizione, come ricorda a più riprese il professore René Mauer ai suoi studenti presso l’Istituto di innovazione e imprenditoria Jean-Baptiste Say a Berlino. Tuttavia, il metodo scientifico ci suggerisce di provare a delimitare almeno il contorno di questo fenomeno, che ha nei suoi effetti il motore centrale del progresso. Già nel 1965 Joseph Schumpeter, ministro delle finanze della Prima repubblica austriaca e professore di economia ad Harvard, definì come imprenditori “quegli individui che sfruttano le opportunità di mercato attraverso l’innovazione tecnica e/o organizzativa”.

Possiamo affermare che Schumpeter ha toccato ed affrontato un tema quanto mai attuale, come dimostra anche il trend e la percentuale di presenza del termine “imprenditoria” nei libri pubblicati negli ultimi anni (dati disponibili fino al 2008).

fonte: Google Ngram Viewer

Se identifichiamo l’apice della globalizzazione prima con il XX secolo e poi con il XXI possiamo notare che, in prossimità di questo periodo di “processo di integrazione tra le economie dei paesi del globo”, la crescita esponenziale della curva è sintomo del fatto che la cognizione e sensibilità del fenomeno imprenditoria è cambiato e si sta diffondendo in tutte le società, sviluppate e non.

Risulta singolare infatti che mentre prima l’imprenditoria era legata in maniera quasi indissolubile alla cultura di una nazione, ed era possibile delimitarne dei tratti caratteristici paese per paese, da tempo grazie all’innovazione e globalizzazione non è più così. Al contrario oggigiorno potenzialmente un business che mal si adatta un determinato contesto nazionale, esportando completamente o in buona parte i propri servizi o beni può essere comunque sostenibile e creatore di benessere e valore.

Se possiamo, abbastanza agevolmente, individuare la prima cattedra di Economia (in senso stretto) al mondo nel 1754 a Napoli con Antonio Genovesi, più arduo invece risulta comprendere quando e se, sia nato un percorso completamente basato sull’imprenditoria. Negli ultimi anni si sono moltiplicati i corsi, in particolare Master, ad oggetto Innovation e Entrepreneurship da Boston a Pechino passando per Milano.

Tuttavia l’imprenditoria, non essendo una materia in senso stretto, non è di facile trasmissione circa le nozioni di base anche perché le nozioni stesse (focali e davvero utili) non possono essere insegnate con metodo tradizionale. Alberto Carpaneto, di fondazione Human+, attraverso le sue pubblicazioni e studi ha dimostrato come, più che le competenze tecniche o tecnologia, la buona riuscita di un’impresa è data dal capitale umano inteso come quell’insieme di soft skills che caratterizzano l’individuo e le attitudini personali dello stesso.

Anche per questo motivo, non si può partire solo da un percorso universitario per poter fare impresa o formare l’individuo ad esserne capace, ma è la realtà e l’ambiente che lo circonda che dovrebbero stimolarlo e supportarlo fin dalla giovane età, soprattutto in funziona della centralità delle soft skills e non delle sole competenze tecniche.

Panorama di natalità/mortalità delle imprese Italiane ed Ue

Sicuramente è utile analizzare il tasso di natalità e mortalità delle imprese e/o start-up, per comprendere quale ambiente sia più accogliente per la nascita e sviluppo del genus impresa. InfoCamere ci dà uno spaccato privilegiato che lascia intravedere lo strapiombo verso il quale il Bel Paese si sta dirigendo.

Mentre l’apertura di nuove società in termini assoluti continua a diminuire, le cessazioni hanno un andamento non lineare e non correlato alle nascite. Ancora più esplicativa risulta essere la scomposizione dei risultati per tipologie di società. In questo caso, solo le società di capitali hanno un tasso di natalità positivo nel 2018 (4%) a differenza delle società di persone e le ditte individuali che sono addirittura in negativo rispettivamente al -1,51% e -0,62%. Si tratta di un dato passibile di una doppia lettura: da un lato la paura di fare impresa si riflette nella diminuzione delle società di persone (vedi anche la responsabilità illimitata) e dall’altra un tasso d’istruzione maggiore dei profili degli imprenditori (essendo le società di capitali più tecniche da amministrare) si riflette anche nel tasso di crescita positivo delle imprese, soprattutto startup tecnologiche.

Nel Regno Unito il tasso di natalità delle imprese è diminuito per la prima volta, dal 2010, arrivando al 13,1% nel 2017 rispetto al 14,6% del 2016 secondo i dati del Office National Statistics. Anche la Francia, secondo i dati del Institut national de la statistique et des études économiques, ha avuto un tasso di natalità molto alto nel 2018 pari al 11% rispetto all’anno precedente pur avendo un tasso di mortalità di imprese altrettanto alto (9,2%) resta allargamento in positivo con il 2,1%.

Profilo degli imprenditori

Il profilo professionale degli imprenditori può aiutare a individuare le skills e capacità che contraddistinguono coloro che decidono di intraprendere questa strada. Il dato che salta all’occhio analizzando i dati Istat è che la maggior parte degli imprenditori in Italia sono accomunati dalla mancanza di un titolo di studio universitario. Facile a questo punto affermare, con maggiore convenzione, che sono le soft skill quelle che fanno la differenza più che le conoscenze e capacità tecniche.

Fonte: ISTAT

fonte: EU Startup Monitor, 2018 Report

Questi dati mostrano come la maggior parte degli imprenditori che avviano o si cimentano nella creazione di startup abbiano, invece, una conoscenza universitaria; dato che lascia ben sperare parlando della fiducia del sistema scolastico ma dall’altra parte taglia fuori gran parte della popolazione viste le scarse percentuali, soprattutto Italia, dei laureati.

Un altro dato che dà adito a dubbi e riflessioni è la differenza tra intenzione ed attivazione imprenditoriale in Italia. Secondo i dati del Global Entrepreneurship Monitor Italia – 2018, l’Italia ha un’alta intenzione imprenditoriale (10,3 % contro la media EU del 10,8%) ma una bassissima attivazione d’impresa (appena il 4,3% contro 8,1% media EU). Lo studio, analizzando le varie cause, tocca il nodo delle capacità (addirittura percepite) di questi aspiranti imprenditori che si distaccano dalla media europea di ben 13 punti percentuali, un bel paradosso pensando alla qualità del mercato italiano. La paura di fallire gioca un ruolo importante infatti dal 2006 al 2017 è aumentata di 10 punti percentuali, e le conoscenze e capacità per fare impresa sono calate del 15% nello stesso lasso di tempo. Molti tra gli imprenditori di successo che non hanno alle spalle grandi studi, vedi Ferrero (padre), Del Vecchio e Armani, (pure essendo delle eccezioni illustri) dimostrano come le soft skills facciano da apripista per una carriera imprenditoriale molto più delle competenze tecniche, almeno in una fase inziale.

Insegnare imprenditoria nelle scuole (good practice)

Il CEOWorld Mgazine inserisce al terzo posto, tra gli Stati europei, la Danimarca come paese più friendly per le startup nel 2019. Il caso danese presenta una realtà singolare, ovvero la Danish Foundation for Entrepreneurship (DFE) che, collaborando con gli istituti accademici dalle elementari alle superiori, fornisce vere e proprie lezioni per aspiranti imprenditori. Durante queste lezioni lo scopo ultimo dell’insegnamento all’imprenditorialità degli allievi è che questi lascino la scuola con capacità e competenze per pensare in modi nuovi, scoprire opportunità e tradurre le proprie idee in valore. La DEF non è l’unico esempio in Danimarca, infatti dal 2004, l’Accademia Internazionale Danese per l’Imprenditorialità (IDEA) collabora con tutti gli istituti e gradi d’istruzione per favori diffondere lo spirito imprenditoriale.

Gli altri paesi scandinavi non sono rimasti a guardare. La Norvegia con il Entrepreneurship in Education and Training 2009-2014 ha implementato la presenza di insegnamenti finalizzati all’imprenditoria già dalle elementari all’insegna del motto “Curiosity must be stimulated if it is to develop further”.

Ancora, la Finlandia con il Finnish Development plan for education and research 2011–2016, sottolinea che l’educazione all’imprenditorialità dovrebbe essere sviluppata a tutti i livelli dell’istruzione scolastica e contribuire a migliorare le relazioni tra le scuole e i datori di lavoro. Le capacità e le competenze imprenditoriali sono esplicitamente riconosciute come tema interdisciplinare e inserite nell’agenda nazionale dell’istruzione, “Cittadinanza partecipativa e imprenditorialità” nelle scuole primarie e secondarie. I risultati dell’apprendimento includono la capacità di agire con senso di intraprendenza e iniziativa, di raggiungere obiettivi, per poter valutare le proprie azioni e il loro impatto, oltre ad essere proattivi e in grado di creare i propri metodi operativi. Nelle scuole secondarie di secondo grado, l’educazione all’imprenditorialità fa parte della materia obbligatoria “Studi sociali” ed è costituita da anche all’interno di molti nuovi soggetti opzionali

Un altro caso degno di nota è il Messico (4º paese per imprenditoria tra gli americani, secondo ceoworld) che, grazie al programma ““My first enterprise: Entrepreneurship by playing”, ha creato un sottoprogramma educativo interamente progettato per promuovere l’imprenditorialità già alle elementari. Il sottoprogramma ha portato alla creazione di 1327 mini-companies dal 2009 al 2014, ed inoltre una valutazione qualitativa e quantitativa dello stesso ha dimostrato il ruolo fondamentale dei tutor (insegnanti) e dei consulenti nel miglioramento significativo delle conoscenze amministrative e delle capacità imprenditoriali dei partecipanti, insieme ad un rafforzamento dei valori aziendali. Questa associazione civile, chiamata Enterprise-Higher Education Foundation, ha introdotto il Programma per la promozione di un atteggiamento intraprendente a livello nazionale, che ha generato il sottoprogramma educativo “My First Company: Entrepreneurship by Playing”. Questo sottoprogramma si concentra sullo sviluppo di uno spirito imprenditoriale tra gli studenti delle scuole primarie di quinta e sesta elementare (di età compresa tra 11 e 12 anni) nei 27 stati messicani.

Funzionale sembra essere stata anche la scelta del Regno Unito nel settore dell’imprenditoria nelle scuole. Nel 2014 il governo di Sua Maestà pubblicò il report “Enterprise for all: The relevance of enterprise in education”, con il quale ha riconosciuto l’importanza dell’educazione imprenditoriale in UK e, rivolgendosi agli insegnanti e funzionari del settore, ha sottolineato come le linee guida imprenditoriali già nei primi anni dell’istruzione diano la possibilità agli studenti di classificare i corsi universitari in base ai futuri tassi di occupazione e potenziali guadagni. Attualmente, pur non avendo adottato una strategia unica nazione, ci sono molti esempi di progetti decentralizzati che producono risultati eccellenti. Un esempio è il Big Ideas Wales progetto dell’amministrazione del Gallles che, con un target di giovani tra i 5 e 25 anni, supporta ed aiuta la nascita di imprese sul territorio. In particolare con la competizione Enterprise Troopers, il Galles sviluppa le capacità imprenditoriali nei bambini (età compresa tra 5 e 11 anni) tramite lo sviluppo del sitema ACRO, attitudine-creatività-relazioni-organizzazione.

A onor del vero, la Commissione europea supporta già da diversi anni l’educazione dell’imprenditorialità e, nella sua Comunicazione del 2012 intitolata “Rethinking Education:Investing in skills for better socio-economic outcomes”, ha sottolineato la centralità ed il peso delle skills imprenditoriali, raccomandando gli Stati membri di promuoverle con metodologie di insegnamento e di apprendimento nuove e creative fin dalla scuola primaria, mentre dall’istruzione secondaria fino a quella superiore l’attenzione dovrebbe concentrarsi sull’opportunità di fare impresa come possibile sbocco professionale. Inoltre, la Commissione raccomanda che, dopo aver terminato l’istruzione obbligatoria, tutti i giovani dovrebbero usufruire di almeno una “esperienza imprenditoriale concreta”.

In verità l’Italia, con il decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62, denominato “Buona Scuola”, ha introdotto una certificazione delle competenze al termine della scuola primaria. In particolare tra le competenze chiave che l’allievo deve dimostrare risalta:

  • lo spirito di iniziativa, inteso come dimostrazione di originalità e capacità di realizzare progetti semplici assumendo le proprie responsabilità, chiedendo aiuto quando ne ha bisogno e fornendolo quando gli viene richiesto.

L’Italia potrebbe, seguendo e mettendo in pratica i chiari suggerimenti della Commissione europea, introdurre progetti di imprenditorialità nelle scuole di primo e secondo grado per diffondere lo spirito d’impresa. Sicuramente sarà un fattore necessario, anche se non sufficiente, per creare un chiaro e sostenibile ambiente attrattivo e competitivo per le startup delle prossime generazioni.

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Bibliografia:

  • Communication from the commission to the european parliament, the council, the european economic and social committee and the committee of the regions: Rethinking Education:Investing in skills for better socio-economic outcomes, 2012.
  • Teaching and Teacher Education, Volume 64, María de LourdesCárcamo-SolísaMaría del PilarArroyo-LópezbLorena del CarmenAlvarez-CastañóncElviaGarcía-Lópeza, 2017.
  • Entrepreneurship education in Finland, School Education Gatway, 2015
  • Action Plan Entrepreneurship in Education and Training – from compulsory school to higher education 2009–2014, Ministry of Education of Norway
  • Enterprise for all: The relevance of enterprise in education, Department for Business, Innovation & Skills and Prime Minister’s Office,2014.

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