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Informatica e umanità, un binomio inseparabile: la lezione di Hans Reiser per la scuola del futuro



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L’esperienza di Hans Reiser, tra genialità e controversie, offre preziose riflessioni sulla necessità di un’educazione digitale che integri competenze tecniche e sociali, formando professionisti capaci non solo di padroneggiare gli strumenti tecnici, ma anche di comprendere l’importanza delle relazioni umane nel campo dell’informatica

Pubblicato il 26 feb 2024

Giovanni Salmeri

Università degli Studi di Roma Tor Vergata



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Quale può o deve essere la scuola futura in un momento in cui l’aggettivo «futura» non solo «mette già paura» (come cantava Lucio Dalla), ma si colora anche delle attese e dei dubbi legati alle nuove tecnologie? La domanda è impegnativa e ha molte sfaccettature.

Il 18 gennaio scorso è stata pubblicata una lunga lettera che contiene proposte dettagliate in proposito, scritta da uno dei geni dell’informatica degli anni 90 e primi anni 2000: sembra un’occasione davvero propizia per iniziare un piccolo percorso in questo campo, partendo non da considerazioni politiche, filosofiche o pedagogiche, ma dagli orientamenti proposti da una voce straordinariamente competente. Linguaggi di programmazione? Pensiero computazionale? Cittadinanza digitale? Intelligenza artificiale?

Hans Reiser: un genio dell’informatica dall’esperienza controversa

In realtà le proposte che presenteremo sono a prima vista molto diverse da ciò che questo esordio lascia immaginare: chiediamo al lettore un poco di pazienza, solo alla fine sarà chiaro perché sono pertinenti. Il loro autore è Hans Reiser. Il suo nome è certamente ignoto ai più, ma è ben conosciuto da coloro che hanno seguito lo sviluppo del sistema operativo Linux.

Egli fu l’ideatore e il principale realizzatore di un file system per vari aspetti rivoluzionario e, su parametri essenziale, migliore di tutti quelli all’epoca esistenti. (Non entriamo nei dettagli: diciamo solo, per chi fosse digiuno, che il file system è il complesso e delicato modulo di un sistema operativo che si occupa di gestire dietro le quinte la registrazione e il reperimento dei file nei supporti di memoria, quella parte che per esempio permette ad un utente di aprire un file indicando semplicemente il nome che lo identifica, senza dover sapere in quali segmenti fisici del disco rigido esso sia effettivamente registrato.) Con scarsa fantasia e un pizzico di narcisismo, il nome di questo file system era ReiserFS: un utente al momento dell’istallazione di Linux poteva scegliere di utilizzarlo al posto dei concorrenti, e un’importante distribuzione Linux (SUSE) lo scelse per le sue qualità come file system standard. Il lavoro di Hans Reiser alla sua creatura si interruppe bruscamente nell’ottobre del 2006, quando fu arrestato con l’accusa di aver ucciso la moglie. Alla fine egli ammise la sua colpevolezza e fu condannato ad una lunga pena detentiva, che sta attualmente scontando.

Le lezioni di Reiser da dietro le sbarre

La lettera a cui accennavamo è stata scritta dal carcere, su 26 pagine manoscritte, in risposta alla breve missiva con cui gli veniva comunicato che i manutentori di Linux avevano deciso, dopo molti anni, di eliminare da esso il suo file system: all’epoca all’avanguardia, ormai (vista la rapidità dell’evoluzione nell’informatica) considerato obsoleto. Hans Reiser giudica sensata la decisione e prende l’occasione per raccontare la storia della sua creazione: la lettura è certamente molto interessante per coloro (pochissimi!) che, nella nicchia degli esperti di programmazione, occupano l’ancor più piccola nicchia degli esperti di sistemi operativi. Ma intrecciate con le vicende del suo sistema operativo vi sono anche considerazioni sulla sua vita, e indicazioni su ciò che la scuola dovrebbe insegnare.

L’ostilità tra essere umani e come superarla

Un passo piuttosto ampio si trova quando egli riflette sull’ostilità che può nascere tra gli esseri umani e il modo di superarla. Ma in che modo? Reiser dice che è possibile, basta fare tre cose:

  • far sentire le persone apprezzate, mostrare che si tiene a loro;
  • fare sentire le persone parte di un’impresa comune;
  • chiedere alle persone le loro idee e spingerle a lavorare ad esse.

«Ora – aggiunge – so che è possibile superare certi problemi se mi applico a trovare un modo emotivo o sociale per far sì che le persone si sentano bene.» E se il tentativo non riesce? Non c’è nulla da perdere: gli altri ti apprezzeranno di più se vedono che hai tentato, anche se non ci sei riuscito. «Queste sono le cose che ho imparato negli esercizi di intervento cognitivo-comportamentale, applicandoli alle circostanze in carcere, perché cerco per me un giorno una possibilità di redenzione.» Ma che cosa c’entra la scuola in tutto questo?

Uno dei miei sogni è convincere un giorno i legislatori dello Stato ad insegnare alla scuola elementare il curriculum che insegnano a noi carcerati, in modo che le persone come me possano impararlo meglio, senza dover andare in carcere per impararlo. Sto cercando di spingere qualcuno a convincere i legislatori a farlo – se qualcuno potesse aiutarmi me lo faccia sapere. L’utilità sarebbe maggiore che semplicemente quella di evitare il carcere: aiuterebbe in tutti i conflitti nelle relazioni, e chi è che non ne ha? Nella scuola media superiore bisognerebbe anche insegnare il corso che si tiene in carcere su come fare i genitori.

L’importanza della “empatia invitante”

Un’annotazione (cancellata nel testo ma trascritta dal destinatario) trasporta questa proposta su un piano leggermente diverso, che non è quello scolastico ma nondimeno aiuta a capire:

Se avessi una bacchetta magica per cambiare le procedure del divorzio in America, renderei obbligatorio che ad ogni persona che vuole ottenere il divorzio fosse chiesto all’inizio: «È possibile che il tuo coniuge stia molto soffrendo, e che questo possa spiegare il suo comportamento?» La chiamo «empatia invitante», e ora che la conosco la uso molto per risolvere i conflitti e mediare.

Il fatto che queste osservazioni stiano particolarmente a cuore a Reiser è evidente anche dal fatto che sul tema egli torna proprio nelle ultime righe della sua lunga lettera:

Vorrei aver imparato le cose che ho imparato in carcere su come risolvere i problemi e su come aver fiducia di poter risolvere i problemi, e farlo, prima che mi fossi sposato […]. Spero che arrivi il giorno in cui queste cose siano insegnate nella scuola elementare.

L’importanza delle relazioni umane nell’informatica

Mettiamo tra parentesi il profilo delle strategie psicologiche il cui insegnamento Reiser raccomanda, mettiamo anche tra parentesi la facile obiezione secondo cui una scuola che pretenda di forgiare esplicitamente ogni aspetto della persona umana degenera molto facilmente nell’ideologia: in fondo, almeno nella scuola italiana tante cose si sono semplicemente respirate per esempio tramite lo studio della letteratura e dei valori umani che in essa sono rispecchiati. Lasciamo dunque solo il tono fondamentale della sua perorazione: un genio dell’informatica degli anni 2000 raccomanda che la scuola, fin dai primi anni, sia un luogo in cui gli esseri umani imparino a stimarsi, ad accogliersi, a capirsi. Quello dell’umanità è il fondamentale investimento che la scuola deve fare.

Fin qui, queste considerazioni potrebbero essere classificate sotto la rubrica «l’informatica è importante, ma nella vita ci sono cose molto più importanti». Se il lettore portasse con sé quest’idea, in fondo non mi dispiacerebbe troppo, perché lo credo. Tuttavia non è questo ciò che principalmente la lettera di Hans Reiser insegna, e non è questo ciò che voglio sottolineare.

Il punto decisivo è che egli connette queste osservazioni alla storia della sua creazione informatica. Non solo l’interruzione forzata del suo lavoro, ma anche il fatto che ReiserFS non si sia sviluppato come avrebbe potuto dipende secondo lui interamente da problemi umani.

Le scuse alla comunità del kernel di Linux

All’inizio della lettera egli preannuncia anzitutto «una dettaglia richiesta di scuse per come io ho interagito con la comunità del kernel di Linux». Accenna per esempio al lungo processo tramite cui, dopo essere partito da un’idea brillante, funzionante sì ma inutilizzabile per la sua lentezza, un po’ alla volta, con tanti piccoli miglioramenti, riuscì a rendere il suo file system più veloce di tutti gli altri, in particolare del velocissimo ext2, e subito pubblicò i risultati vantandosi del fatto di aver scritto qualcosa più veloce del sistema all’epoca ritenuto migliore. Giusto, no? Niente affatto:

L’uomo che ora sono inizierebbe il suo articolo riconoscendo che ext2 era più veloce dei file system degli altri sistemi operativi, e ringraziandone gli autori per gli anni in cui avevamo usato il loro file system per scrivere il nostro. Non aver fatto questo è stato il mio primo grave errore sociale nella comunità Linux, e poteva essere benissimo evitato.

Perché questo «noi»? Perché oltre al suo lavoro c’era anche il decisivo lavoro di altri collaboratori. Ma qui Reiser nomina un secondo errore:

Se davvero la decisione è di rimuovere [ReiserFS] dal kernel [di Linux], ho solo una richiesta: che nell’ultima versione il file di documentazione sia modificato per aggiungere ai ringraziamenti Mikhail Gilula, Konstantin Shvachko e Anatoly Pinchuk, e cancellare tutto ciò che posso aver detto sul motivo per cui non li ringraziavo.

Più tardi nella lettera spiega perché queste persone si allontanarono dal progetto (per motivi ragionevoli: non riuscivano a guadagnare decentemente!), e riconosce che il primo di essi era il più brillante programmatore da lui mai incontrato. Insieme alla collaborazione lavorativa finì (altro rammarico) anche l’amicizia.

La programmazione del nuovo file system era basata su principi matematici e logici innovativi. Hans Reiser entra in qualche dettaglio (che senza dubbio farà la felicità degli specialisti), ma poi nota un terzo errore: gli effetti di rete erano astratti, e così io li capivo meglio dell’importanza di credere che io posso trasformare in amici e alleati le persone che all’inizio si sono mostrate ostili solo perché non le ho fatte sentire coinvolte.

Un momento chiave nello sviluppo di ReiserFS fu quando l’autore si rese conto che alcune scelte di progetto andavano cambiate e doveva essere fatta una versione nuova notevolmente differente, con un formato differente. Già: ma come la mettiamo con l’importante società che nel frattempo aveva scelto proprio quel file system? Doveva cambiare tutto? Reiser è convinto che quei cambiamenti dovevano essere fatti, ma ciò per cui ora chiedo scusa è per come fui estremamente rozzo e asociale nello spiegare questo a SUSE. […] Avrei dovuto dire: capisco ciò che dite, lo capisco molto bene […] Invece comunicai che non potevo portare avanti il mio sogno senza un cambio di formato. Sia SUSE sia io volevamo ciò che era meglio per Linux e per SUSE, dunque la ragione del mio fallimento fu che io non riuscii a connettermi socialmente, andando oltre la [loro] iniziale ostilità al cambio di formato per poter dire: trasformo il mio sogno nel nostro sogno.

La nuova versione del file system va comunque avanti, questa volta con la novità di permettere facilmente che nuove funzioni fossero aggiunte senza la necessità di modificare tutto il resto: agli occhi di Hans Reiser, una piccola rivoluzione che avrebbe permesso a molte persone di contribuire. Tutto bene? Neppure in questo caso, purtroppo. Spingere gli altri a collaborare richiede ben di più che un’architettura tecnica che lo permetta. È esattamente a questo punto che Hans Reiser fa le considerazioni che abbiamo citato all’inizio: le persone devono anzitutto sentirsi apprezzate, coinvolte, valorizzate nelle loro idee.

L’ostilità verso le critiche al codice

E che cosa accade quando qualcuno critica il codice che si sta scrivendo? Hans Reiser racconta un caso istruttivo: un esperto informatico (Alexander Viro) annunciò un po’ malignamente di aver trovato una race condition nel codice del file system. Le race conditions sono le circostanze in cui un errore deriva dal fatto che alcuni processi che vengono svolti parallelamente non terminano talvolta nella successione prevista. Già la descrizione fa immaginare che si tratta di errori molto difficili non solo da prevedere, ma anche da individuare e correggere. Sono poche le persone che si muovono a proprio agio in questo campo molto specializzato. Neppure Reiser, malgrado la sua competenza e genialità, ne sapeva troppo, e le ricerche su Google non lo aiutarono troppo. Altro errore, purtroppo:

Ciò che avrei dovuto fare era chiedere a Viro invece che a Google, invitarlo a venire a Mosca [dove Reiser lavorava], stare nella mia camera degli ospiti, sperimentare la più divertente vita notturna del mondo (quella di Mosca), offrire alla nostra squadra un seminario su come si controlla il codice per le race conditions, e supervisionarci mentre ciascuno di noi prendeva una parte di codice e lo controllava secondo le sue istruzioni. […] Se avesse accettato l’invito, tutti noi avremmo potuto far nascere amicizie che sarebbero forse state utili per il resto della nostra vita.

La lezione di Martin Luther King

Hans Reiser cita a proposito, in conclusione, le parole di Martin Luther King conosciute in carcere: «Solo l’amore può combattere l’odio». Magari averlo imparato prima!

Ma è sicuro che tutto questo ha rapporto con l’informatica? Un file system, o il kernel di un sistema operativo, ha a che fare davvero con tali questione umane? Hans Reiser è convinto non solo che ci sia un rapporto, ma che questo sia il significato primo:

Il kernel di Linux non è una questione di test di velocità: è questione di una comunità di persone che è felice di lavorare insieme in uno «spirito di Natale» da trasmettere agli utenti per tutto l’anno. Ora che sono diverso da com’ero lo vedo meglio.

I problemi dell’informatica, esattamente come l’informatica stessa, sono una faccenda umana. E proprio perché il kernel di Linux è questione di una comunità di persone, gli errori che Reiser ha raccontato sono quelli che abbiamo visto: non esser grati a chi ha creato i presupposti per il proprio lavoro, non esser grati a coloro che vi hanno partecipato, non far sentire coinvolte le persone, non rinunciare ai propri personali progetti per farli diventare progetti comuni, non stimolare la partecipazione degli altri con le loro nuove idee, non farsi insegnare qualcosa di importante da coloro che criticano. Si potrebbe replicare che considerazioni simili possono essere fatte per la maggior parte dei mestieri, e in generale per moltissimi ambiti della vita: il che ovviamente è vero. È però anche vero che è difficile trovare un campo come l’informatica contemporanea (e in particolare il software libero) in cui ciò appaia con tale chiarezza: un campo, intendiamo dire, in cui è praticamente impossibile produrre la benché minima cosa senza basarsi palesemente sul lavoro di qualcun altro, e poi senza che ciò, per essere di qualche utilità, entri in un contesto di collaborazione, in un progetto comune più ampio, in una rete potenzialmente inesauribile di contributi, critiche, apporti nuovi.

La necessità di un cambio di format nell’educazione digitale

Almeno in questa forma generica, Hans Reiser ha perfettamente ragione: gli atteggiamenti umani corrispondenti devono essere curati fin dalla scuola elementare. Una scuola che non li cura non potrà minimamente mai essere una scuola in cui l’informatica è di casa, malgrado qualsiasi mirabolante progetto di modernizzazione. E inversamente (qualcuno potrebbe preferire questa formulazione) una scuola in cui l’informatica almeno in parte è di casa può aiutare un poco nell’impresa, tanto importante e tanto difficile, di essere più umani.

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