La scuola “colpita” dalla pandemia ha visto due paradigmi della formazione, uno in presenza e l’altro a distanza, confrontarsi ed interagire l’uno con l’altro.
Si può provare a fare un primo bilancio di quest’anomalo anno scolastico. Sembra già chiaro che, nel nuovo contesto che emerge, l’educatore diventa una figura chiave al centro di una stella vale a dire di un sistema fisico o virtuale di interazioni tra individui e di interazioni tra individui e immagini, conoscenze, percezioni, esperienze del mondo.
Vediamo quali sono le prospettive e le criticità per la “comunità” scuola, partendo dal quell’ormai “lontano” marzo 2020, quando la pandemia di Covid-19 chiude le porte delle scuole italiane e apre quelle della “didattica a distanza”.
La scuola dalla formazione in presenza a quella online
A seguito del DPCM dell’8 marzo sull’emergenza Coronavirus, i Ministeri della Scuola e dell’Università e Ricerca avviano e promuovono la formazione online in tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Grazie alle indicazioni dei Ministeri, ad esperienze già consolidate, alla disponibilità di piattaforme open source e ad accordi di solidarietà digitale, da un lato, le scuole organizzano webinar per fornire a tutti i docenti strumenti e competenze informatiche, dall’altro lato, esse cercano di far fronte ai problemi riguardanti le dotazioni informatiche degli studenti, la possibilità che i ragazzi riescano a mettersi in contatto con la scuola e con gli insegnanti. La scuola si trova così obbligata a passare dal paradigma della formazione in presenza al paradigma della formazione online sperimentando differenze importanti nei sistemi di interazione tra docenti e discenti; nelle forme, nei tempi e nei modi della comunicazione; nei linguaggi usati, nelle domande poste e nelle risposte attese.
Le scuole si organizzano in fretta e in diversi modi affinché si ristabiliscano i rapporti tra insegnanti e ragazzi. Informazioni, saluti e suggerimenti vengono scritti sul registro elettronico; molte lezioni vengono date dai professori in video e attraverso le piattaforme; molti gruppi si organizzano su Skype.
L’obiettivo fondamentale è non perdere il contatto tra istituzioni scolastiche e famiglie. “E’ in atto una grande esperienza di angoscia collettiva, spiega Roberto Maragliano (2020), chi è adulto ha più strumenti per gestire questa angoscia rispetto a chi è giovane. Importante non è quello che la scuola fa e con quali piattaforme lo fa. Importante è che sia vicina ai ragazzi perché, di questo, noi e loro abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di un sapere umano in questo momento di crisi dell’umanità. La scuola e il docente, paradossalmente, in questo momento possono consentire ai ragazzi di distrarsi, di partecipare, di legare la tensione a elementi di conoscenze, di condivisione delle conoscenze e esperienze. Il ragazzo in questo momento può sentirsi vicino ai professori ed ai suoi compagni”.
Le sfida della scuola in tempo di covid-19
La prima sfida che la scuola deve affrontare riguarda il fatto che dovrebbe raggiungere tutti e questo rappresenta un primo problema se si pensa che, come mostrano le rilevazioni ISTAT (2020), un terzo degli studenti non possiede un computer e questa percentuale raggiunge il 41% al Sud d’Italia. La didattica a distanza pone dunque in primo luogo, osserva Mario Piras (2020), un grande problema di divario digitale, cioè di forte differenza di dotazioni informatiche e di estensione della rete internet a seconda delle classi sociali e delle zone del paese. In realtà “… il divario digitale è radicato in un divario sociale anteriore alla scuola; la scuola non può eliminarlo; in condizioni normali ne riduce solo alcuni effetti … a distanza, ne limita meno gli effetti”. All’interno di questa prospettiva, scuole situate in aree del Paese già fortemente svantaggiate lamentano le difficoltà di raggiungere i ragazzi, la paura che si aprano dei vuoti nel rapporto tra istituzioni e famiglie, la preoccupazione che i gruppi criminali entrino nelle vite dei giovani.
In questo rinnovato modello di scuola, la valutazione non può essere il voto. Anzi, chiarisce Piras, forse questa emergenza fa capire che si può fare bene la scuola anche senza voti. Bisogna mettere in atto una valutazione formativa finalizzata a rilevare i punti di forza e di debolezza di ogni studente. Neanche è possibile fare compiti in classe o interrogazioni, ma prove alternative come presentazioni o seminari proposti da singoli studenti. La scuola, osserva Maragliano, deve dare le competenze relative al saper leggere, saper scrivere e far di conto ma anche le competenze relative al saper vedere, saper ascoltare ed al saper operare vale a dire saper entrare in un contesto, apportarvi interventi e modifiche. Le competenze importanti che la scuola deve fornire soprattutto in questo momento sono, per dirlo con le parole di Edgar Morin, le competenze per la vita. “Il problema del dare i voti, osserva Maragliano (2020), non è un problema che ci possiamo permettere… perché abbiamo problemi più gravi. Soprattutto per ciò che riguarda le scuole primarie e secondarie di primo grado, non è importante misurare quanto abbiano imparato i ragazzi. La scuola deve essere una comunità e deve saper costruire un tessuto culturale che tenga insieme questa comunità”.
Scuola e pandemia, i due paradigmi della formazione
La formazione a distanza deve tradursi in attività che gli studenti possano fare con una certa autonomia, anche se guidati dai docenti. Il nodo della questione, osserva Piras, riguarda la possibilità di raggiungere un difficile equilibrio. “…bisogna esserci, avere un contatto costante, ma il collegamento digitale non deve essere troppo presente, pena un sovraccarico di lavoro, problemi per le famiglie con più figli, con genitori che hanno bisogno di usare pc e telefoni per lavoro, o con genitori che sono fuori per lavoro” (Piras, 2020). Le videolezioni e le attività in collegamento diretto non debbono essere onnipresenti. Il contatto con i ragazzi può essere garantito anche grazie a video registrati, messaggi scritti, messaggi audio, ecc. Non è possibile fare solo on line ciò che prima si faceva in presenza. I docenti debbono avere anche il tempo di organizzare le lezioni, programmarle, preparare i materiali adeguati, leggere e correggere i lavori fatti a casa, valutarne i punti di forza e debolezza, “vedersi” con gli studenti per “parlarne”.
Il primo paradigma, osservava il Direttore dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR Domenico Parisi, nel 2007, è vecchio di millenni visto che risale all’antica Grecia. Il nuovo paradigma è legato all’uso delle tecnologie digitali: computer, internet, cellulari, palmari, playstation, TV digitale, ecc. “Parliamo di paradigmi perché si tratta di modi molto diversi di concepire e realizzare la formazione e l’apprendimento e che investono ogni livello e tipo di formazione, dalla scuola, all’università, dalla formazione professionale a quella aziendale e manageriale, dalla formazione degli adulti a quella rivolta a tutti i cittadini per metterli in grado di partecipare attivamente e con conoscenza di causa alla vita della società (Parisi, 2007, p. 249)”.
Le caratteristiche essenziali del vecchio paradigma della formazione, chiarisce Domenico Parisi, sono legate al fatto che esso assegna una funzione determinante al docente; tende a isolare i discenti tra di loro facendoli interagire solo con i docenti; ha forti vincoli di spazio e di tempo e forti vincoli organizzativi; utilizza essenzialmente il linguaggio verbale, parlato o scritto, come canale di comunicazione e come strumento di apprendimento; le figure professionali che coinvolge sono fondamentalmente i docenti e gli autori di libri; le competenze professionali che richiede sono esclusivamente la conoscenza della materia e l’attitudine all’insegnamento; le tecnologie utilizzate libri, lavagne, carte geografiche, mappe, ecc.
Il nuovo paradigma della formazione ha delle caratteristiche molto diverse nella misura in cui assegna, in primo luogo, un ruolo meno importante ai docenti nell’insieme dei fattori che determinano i risultati della formazione; tende a creare delle comunità di discenti che imparano interagendo tra loro; annulla i vincoli di spazio e di tempo rendendo possibile apprendere qualunque cosa, in qualunque momento, in qualunque luogo; allenta o fa scomparire i vincoli organizzativi; affianca e in buona parte sostituisce il linguaggio verbale con immagini, visualizzazioni, animazioni, simulazioni, mondi virtuali, giochi; le figure professionali che coinvolge e le competenze che il nuovo paradigma richiede, oltre a quelle degli esperti dei contenuti, sono quelle di grafici, creativi, esperti di comunicazione, psicologi della comunicazione e dell’apprendimento, informatici.
Un’importante differenza tra i due paradigmi della formazione riguarda dunque il ruolo del docente e l’interazione tra docenti e discenti. Il vecchio paradigma presuppone che il docente sia una persona che conosce una specifica materia e che l’apprendimento si realizzi proprio attraverso la trasmissione di questa conoscenza a un certo numero di discenti. Il docente comunica con i discenti, li dirige e li controlla. L’interazione si realizza solitamente in uno spazio fisico dedicato come lo è l’aula scolastica. Il nuovo paradigma è basato invece soprattutto sull’auto-apprendimento, cioè sullo svolgimento di attività da parte dei discenti. Nel compiere queste attività, i discenti hanno un ruolo sostanzialmente attivo ed interagiscono con un ambiente di apprendimento che può essere costituito anche da immagini, materiali visivi, mondi virtuali legati soprattutto alle tecnologie digitali ed all’interazione con altri discenti (Parisi 2007, p. 252).
Un’ulteriore differenza tra vecchio e nuovo paradigma riguarda dunque il ruolo delle interazioni tra i discenti nei processi di apprendimento. Queste interazioni sono quasi del tutto assenti, almeno formalmente, nel vecchio paradigma di formazione visto che in classe si deve fare silenzio e i discenti non debbono parlare tra loro. Nel nuovo paradigma invece le interazioni tra discenti tendono ad avere un ruolo centrale, anche perché possono essere realizzate non faccia a faccia in maniera sincrona ma in tempi e luoghi diversi grazie ad internet.
Tuttavia, nella prospettiva di Domenico Parisi (2007, p. 255) la differenza con maggiori conseguenze e implicazioni di carattere cognitivo e culturale, tra vecchio e nuovo paradigma della formazione, è dovuta al fatto che il vecchio paradigma utilizza il linguaggio verbale come quasi esclusivo canale e strumento di comunicazione e di apprendimento. Una delle più importanti novità delle nuove tecnologie è che esse moltiplicano le possibilità comunicative, di pensiero e di apprendimento delle modalità non verbali: non si comunica e non si apprende più soltanto parlando e ascoltando, scrivendo e leggendo, ma si comunica e si apprende vedendo e facendo. Le visualizzazioni, le animazioni, le simulazioni, i mondi virtuali, i computer games, sono modalità non verbali di comunicare, pensare e imparare.
Importanza e limiti del linguaggio verbale
Il linguaggio verbale ha indubbiamente importanti specificità e vantaggi dal punto di vista comunicativo, cognitivo e dell’apprendimento. Esso consente di raggiungere livelli di astrazione nella cognizione, di comunicare velocemente e con chiunque. Ma il linguaggio ha anche molti limiti. Può indurre apprendimenti fatti solo di parole, senza vera comprensione. Richiede livelli di capacità linguistica che non tutti posseggono. Tende a essere poco motivante e contrasta sempre di più con l’espandersi proprio da parte dei giovani delle modalità non verbali di comunicazione e di interazione.
Se Domenico Parisi ha sottolineato, tra i primi, la portata innovativa della manualità e della visualizzazione nell’apprendimento in rete, Roberto Maragliano (2008, p. 21), Professore presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre, ha mostrato soprattutto l’importanza del suono, che non coincide con la sola musica, e delle immagini in movimento quali fattori di facilitazione dell’apprendimento in rete in particolare per i giovani. “L’apprendimento multimediale (radio tv, telefono, vcr, walkam, computer, ecc.) – facilita l’apprendimento nella misura in cui opera per immersione, mentre l’apprendimento monomediale (paradigmatico, centrato sul libro) opera invece per astrazione. La grande rivoluzione del digitale, nella prospettiva di Maragliano (2020), è proprio la multimedialità e la multicodalita cioè la moltiplicazione dei linguaggi.
La formazione non può più essere solo un’esperienza di trasmissione d’informazioni e di conoscenze dal docente al discente, ma deve sempre di più caratterizzarsi come processo di mutuo e reciproco scambio, una forma attiva di regolazione del rapporto tra insegnamento e apprendimento. Un’efficace formazione comprende al tempo stesso l’idea di istruzione, addestramento, esperienza e sviluppo della persona.
Il ruolo e l’importanza dell’esperienza nella conoscenza
“Alla luce del recente e prorompente sviluppo tecnologico, un fil rouge che da Piaget, Vygotskij e Dewey arriva sino ai giorni nostri sembra suggerire, scrivono Carlo Giovannella e Angela Spinelli (2009), che il sacro Graal dell’educatore possa identificarsi con la definizione di un framework pedagogico-tecnologico operativo in grado di sostenere modalità di apprendimento che vanno assumendo un carattere temporale, spaziale e culturale sempre più ubiquo e che si svolgono in contesti sempre più liquidi e coevolutivi in cui l’individuo deve necessariamente apprendere… facendo ricorso ad abilità metacognitive ed a processi di design inspired learning … E viene da chiedersi: è l’apprendimento che si è dissolto nella vita rinunciando alla simulazione in ambiente protetto o è la vita che si è scoperta essere continuo e inevitabile apprendimento?… Ci troviamo alle soglie di una nuova era che potremmo definire era organica, in cui realtà fisica e immateriale costituiranno un continuum interconnesso all’interno del quale ciascuno dovrà imparare a muoversi”.
Pur ponendo l’accento su aspetti diversi Dewey, Piaget e Vygotskij al pari di Freinet e Montessori sottolineano il ruolo e l’importanza dell’esperienza nella conoscenza. Piaget, in particolare, traccia una linea di sviluppo dell’intelligenza e della conoscenza che trae origine dalla capacità biologica e cognitiva degli organismi, di adattarsi in maniera attiva alle condizioni del loro ambiente, per poi prolungarsi nei saperi e nelle scienze che consentono agli individui ed alle società di interagire con i loro domini di riferimento dell’esperienza e della storia. Questa linea di sviluppo, definita epistemologia genetica, non ha né inizio né fine nella misura in cui designa il processo continuo di costruzione delle conoscenze nell’interazione con l’ambiente, a partire dall’esperienza e con l’obiettivo di conseguire un rapporto di “equilibrazione” e di adattamento sempre superiore di un individuo al proprio universo di riferimento. Nella misura in cui si ammette che la conoscenza è una costruzione continua, essa appare strettamente legata all’agire dell’individuo sulla realtà. In questa prospettiva matura anche l’esigenza di riorganizzare le attività ed i luoghi della formazione. La conoscenza e la competenza tendono a configurarsi come situated knowledge. L’apprendere diventa il concetto cruciale a partire dal quale non solo si rivaluta la dimensione soggettiva, ma anche la rilevanza dell’interazione, dello scambio, del dialogo, dell’apprendere insieme.
L’innovazione, nella prospettiva del filosofo Luciano Floridi (2020a), va intesa oggi come design, vale a dire come progetto. “Platone, egli scrive, aveva ragione a definire colui che conosce come la persona che sa interrogare e rispondere. Aveva torto a identificare colui che conosce con chi utilizza e non con chi costruisce l’informazione”. Occorre sviluppare e perfezionare l’approccio costruzionista per rispondere ai vecchi ed ai nuovi problemi filosofici e per tentare di migliorare il mondo in cui viviamo. “Il mondo in cui viviamo sembra avere un grande bisogno di tutto l’aiuto che possiamo fornirgli” ed a tale riguardo lo stesso Floridi (2020b) suggerisce la combinazione di due progetti riconducibili in termini metaforici a due colori: il verde e il blu. Il colore verde indica non solo l’importanza di proteggere l’ambiente naturale ma di salvaguardare anche l’ambiente costruito dall’uomo, l’ambiente urbano, l’ambiente inteso a 360 gradi; il colore blu, più precisamente il blu elettrico, indica invece le nuove tecnologie, internet, l’intelligenza artificiale, tutti gli strumenti legati all’innovazione ed alla digitalizzazione che possono rappresentare ed offrire validi strumenti per lo sviluppo sostenibile.
“Non sempre, osserva Terrinoni (2020), ci ricordiamo che la parola ‘tecnologia’ è legata alla técne, ovvero all’arte come ‘perizia del saper fare’ e che il termine scienza originariamente raccontava della conoscenza in generale”. Agli inizi del seicento Giovanni Florio, traduttore in inglese di Montaigne e Boccaccio, ed amico di Giordano Bruno, ebbe a dire che dalla traduzione nasceva ogni scienza. Florio con il termine traduzione intendeva non solo il passaggio da una lingua ad un’altra, ma la comunicazione, la trasformazione, la condivisione. Giordano Bruno era un umanista a tutto tondo, al contempo letterato, poeta, drammaturgo, scienziato astronomo e mago. Come tutti gli umanisti, vedeva nella scienza un insieme indistinto di saperi tra i quali non esistevano frontiere e che avevano senso solo nell’essere comunicati. Gli umanisti non credevano alle distanze tra i saperi, né a quelle tra le persone… “L’umanesimo… non sottolineava l’esistenza di confini, perché la mente, come forse anche internet, e di certo alla stregua dell’universo intravisto nella sua infinitudine da alcuni rinascimentali, di confini proprio non può averne (Terrinoni, 2020)”.
“Nei nostri giorni difficili, ai docenti di ogni ordine e grado è domandato di comunicare, di mettere in comune, e dunque di tradurre e di tradursi, facendo ricorso alla tecnologia visto che insegnanti e ragazzi comunicano proprio grazie alla mediazione di uno schermo… E quando torneremo al fondamentale contatto diretto, tangibile, visibile, con i nostri studenti, questa consapevolezza dovremo tenerla bene a mente, scienziati e umanisti tutti (Terrinoni, 2020).
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Bibliografia
Floridi L., 2020a, Pensare l’infosfera, Cortina Raffaello, Milano.
Floridi L., 2020b, “La filosofia per capire il presente e disegnare il futuro”. Intervista rilasciata a Periscritto, 20 marzo.
Giovannella C. e Spinelli A., 2009, Grand Challenge per il TEL: Design Inspired Learning, testo consultabile al sito http://life.mifav.uniroma2.it/index.php
ISTAT, 2020, “Spazi in casa e disponibilità di computer per bambini e ragazzi”, 6 aprile, testo disponibile al sito www.istat.it/it/files//2020/04/Spazi-casa-disponibilita-computer-ragazzi.pdf
Maragliano R., 2020, “La scuola della didattica a distanza”, Intervista rilasciata a Scuola digitale, 23 marzo.
Maragliano R., 2008, “Di cosa parla questo manuale. E come ne parla”, in Abruzzese A. e Maragliano R. (a cura di), Educare e comunicare, Mondadori, Milano.
Parisi D., 2007, “Il vecchio e il nuovo paradigma della formazione”, in C. Montedoro e D. Pepe (a cura di), La riflessività nella formazione, Isfol, Roma.
Piras M., 2020, “Didattica a distanza, vademecum per docenti e studenti”, Il Sole 24 Ore, 31 Marzo.
Terrinoni E., 2020, “La cultura umanistica che buca lo schermo”, Il Manifesto, 01 aprile.