pedagogia e digitale

Istruire umanisti al tempo dell’IA: solo così la tecnologia sarà al servizio dell’uomo



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L’IA influenza profondamente il panorama politico, economico e sociale. La gestione di questa tecnologia richiede una riflessione critica sul progresso democratico e sull’istruzione. È cruciale formare umanisti capaci di utilizzare l’IA per obiettivi condivisi, evitando una deriva tecnocratica e garantendo una società inclusiva e sostenibile

Pubblicato il 25 lug 2024

Massimiliano De Conca

insegnante e segretario generale FLC CGIL Lombardia



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L’introduzione dell’intelligenza artificiale nelle aule non è più un’ipotesi futuristica, ma una realtà concreta che richiede una riflessione profonda sul ruolo degli insegnanti e sulle metodologie didattiche. La gestione critica delle risorse digitali diventa quindi essenziale per garantire un approccio pedagogico che valorizzi sia la tecnologia sia l’umanesimo nell’educazione.

In questo contesto, come vedremo, la formazione degli insegnanti assume un ruolo centrale, preparandoli a integrare efficacemente l’IA nelle loro strategie didattiche e valutative, delineando così le prospettive future di un sistema educativo in continua evoluzione.

L’impatto dell’IA sugli scenari politici, economici e sociali

L’avvento e l’impatto dell’Intelligenza Artificiale sugli scenari politici, economici e sociali della nostra società presente e futura pongono diversi interrogativi sulla sua effettiva gestione e sul potenziale che può essere dispiegato, ovvero sui rapporti che tuttora insistono fra potere e progresso (sono indicativi a questo proposito almeno due scritti, uno recente di Daron Acemoglu e Simon Johnson, Potere e progresso. La nostra lotta millenaria per la tecnologia e la prosperità [ilSaggiatore, Milano, 2023] e uno fondante di Günter Anders, L’uomo è antiquato [Bollati Boringhieri, Torino, 2022, ma del 1956]).

Inutile fingere attorno all’idea che ogni società mira a migliorarsi nel futuro attraverso il progresso in tutti i campi: economico, sociale, politico. Quindi ogni progresso, per essere tale, dovrebbe portare in sé il germe di un miglioramento collettivo: il progresso deve essere democratico, non di classe. Questo implica che non tutti i cambiamenti in sé siano dei progressi: siamo, infatti, passati dalle forme di governo autoritario (tirannia e monarchia) a quelle partecipate (democrazia); stiamo provando a passare da una società pienamente patriarcale, ad una inclusiva dove i diritti sono parimenti esigibili; siamo passati all’economia globale e così via.

Tutti i cambiamenti sono, invece, legati indissolubilmente alle minacce del progresso, minacce spesso sensate e tangibili (si veda la minaccia nucleare), sulle quali si consuma il dissidio etico della ricerca e della predizione del progresso stesso come autodistruzione della specie umana.

La società degli algoritmi predittivi

Oggi siamo ad un tornante irreversibile: come gestire l’Intelligenza Artificiale, come cioè garantire la sopravvivenza di una società democratica, di un pensiero umano democratico, di fronte all’avvento di sistemi di pensiero capaci di imparare, di auto-apprendere, di auto-addestrarsi, di fornire, cioè, delle prestazioni migliori di quelle che possono garantire gli uomini stessi, anche in termini di imprevedibilità e creatività (ne sono un esempio Alphazero e tutti i sistemi moderni di software scacchistici, che non pescano fra le varianti di milioni di partite, ma ne creano nuove).

Il tema di una società determinata dalla presenza anche asfissiante della robotica risale agli albori della letteratura fantascientifica, soprattutto russa (si pensi ad Isaac Asimov), con notevoli risvolti sociali nelle indagini futuriste di stampo anglosassone (da Il nuovo mondo di Adolf Huxley a 1984 di George Orwell), con la predizione cioè di una società che capace di controllare se non determinare il pensiero stesso.

È chiaro che qui il problema si duplica: non è più soltanto legato alla possibilità di sostituzione dell’uomo sul posto di lavoro (robotizzazione) anche per lavori di concetto, ma anche alla necessità di impedire il sopravvento del non-umano sull’umano, di renderlo funzionale al progresso dell’umano.

E il problema non è tanto campato in aria se a cimentarsi su di esso sono figure pubbliche di risonanza come lo scacchista Garry Kasparov (si veda Deep Thinking, Fandango, Roma 2019), il primo umano ad aver sfidato e vinto contro un’intelligenza artificiale, e il politico Henry Kissinger (L’era dell’Intelligenza artificiale. Il futuro dell’identità umana, con Eric Schmidt e Daniel Huttenlocher, Mondadori, Milano, 2023), o semplicemente scrittori à la page con interessi scientifici (vedasi il brillante libro di Benjamín Labatut, Maniac, Adelphi, Milano, 2023, storia dell’avvento della società dell’algoritmo da von Neuman in poi).

Il ruolo dell’istruzione e della Scuola

La gestione della transizione digitale e di una possibile società digitalizzata passa attraverso l’istruzione, cioè attraverso il ruolo che saremo in grado di dare alla Scuola ed agli insegnanti.

Gli errori da non fare sono quelli di limitare il problema all’impiego a scuola dell’IA come strumento didattico e alla possibilità di sostituire gli insegnanti con robot, algoritmi, software.

L’importanza dell’approccio critico nell’utilizzo delle risorse digitali

Partiamo dal primo punto: la possibilità di applicare oggi ChatGPT ad una lezione è uno strumento di notevole supporto per gli studenti, a patto che ci sia sempre dietro un’impostazione critica (dirò poi umanistica) su quanto si legge, si studia, si copia, si usa. E qui il problema si lega al secondo: con l’avvento di Wikipedia e soprattutto l’abuso di internet e delle risorse in rete non pochi sono stati i goffi tentativi di affermare un sapere pronto da prendere, un sapere alla portata di tutti, disintermediabile (la transizione digitale soffre ed acuisce la tendenza della nostra società che sempre più non crede nell’importanza dei corpi intermedi, dai sindacati agli insegnanti, arrivando a quella Repubblica di Imbecilli di cui fu facile profeta Umberto Eco: “Prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.

Il ruolo degli insegnanti per una pedagogia digitale efficace

Esiste una grande massa di dati, di infodata, che sono a disposizione di tutti: ma il ruolo dell’insegnate non è semplicemente quello di filtrarli (per questo c’è il motore di ricerca), semmai di far attecchire un metodo critico perché quei dati siano messi a sistema ed abbiano un senso. Per questo parevano e sono tuttora insensate le parole dell’ex ministro Profumo, quando infilava nel NADEF 2013 (pagina 68), in un capitolo dal titolo significativo (V.10 Scuola e capitale umano !!!) l’idea che l’insegnante doveva essere “mentore”: “In particolare, occorre promuovere ed accompagnare la trasformazione del ‘ruolo’ dell’insegnante da depositario dei contenuti (che ormai hanno collocazione diffusa, ma soprattutto nel web) a mentore, sia in aula che nel corso di programmi che prevedono l’alternanza scuola/lavoro”. Poco dopo, sulla stessa scia, la ex Ministra Carrozza parla di “facilitatori”: “Servono insegnanti adeguatamente formati a catturare le teste veloci dei preadolescenti, diventando facilitatori dell’apprendimento.”

Gli insegnanti non sono filtri, non sono mentori, né facilitatori, ma non sono neanche banalmente ed arcaicamente da concepire come i depositari delle conoscenze: gli insegnanti costruiscono il percorso di apprendimento e quindi di crescita degli studenti. In questo percorso c’è anche l’impiego e la gestione dell’Intelligenza Artificiale, come occasione, possibilità, tesoro da far lavorare al posto degli studenti, non in sostituzione degli studenti.

Valutazione e pedagogia: come valutare l’uso dell’IA in ambito scolastico

Se quanto sopra esposto è vero, appare quanto sia marginale il falso problema della valutazione degli alunni che utilizzano l’Intelligenza Artificiale, problema che diventa uno scoglio per chi concepisce la valutazione limitandola al prodotto finale di un percorso (un’interrogazione, un elaborato, finanche un “capolavoro”, per dirla come il Ministro Giuseppe Valditara). La valutazione, infatti, è un atto pedagogico formativo che si deve focalizzare sul percorso, quindi sul metodo che il docente insegna e costruisce con l’alunno. Cioè non si valuta un prodotto che potrebbe essere un frutto non mediato di un qualunque algoritmo, ma si dà valore al percorso che ha svolto l’alunno guidato, sostenuto, accompagnato, ispirato e corretto dall’insegnante anche, se non soprattutto, nell’uso dell’Intelligenza Artificiale, da concepire come una matita, un libro, una calcolatrice.

Se non la si pensa così, allora la valutazione in sé non ha senso, è svilita a mera prestazione e quindi non è di nessuna utilità, neppure nella gestione di un algoritmo: dietro un algoritmo, infatti, c’è sempre almeno in partenza una persona che fornisce gli strumenti di funzionamento della macchina, ne segna i confini, ne definisce le finalità.

Una società digitale esiste se si istruiscono umanisti

In questo senso diventa cruciale il rapporto fra insegnante e IA: la scuola sarà sempre più ipertecnologica, ma il suo obiettivo non può essere quello di sfornare tecnici e tecnologici capaci di programmare le macchine, ma istruire umanisti capaci di ricercare obiettivi condivisi dall’intera umanità (Laurent Alexandre).

Appare di stringente attualità il problema bioetico posto dal progresso digitale che si presenta come progresso della condizione umana attraverso l’applicazione di algoritmi predittivi capaci di auto-addestrarsi (significativa l’analisi di Helga Nowotny, Le macchine di Dio. Algoritmi predittivi e l’illusione del controllo, Luiss, Roma, 2022), ma sconfina verso scenari più cupi in cui non è impensabile l’idea che si abdichi per una società tecnocratica transumanista (questa definizione è cavalcata da Laurent Alexandre, La guerra delle intelligenze. Intelligenza artificiale contro intelligenza umana, EDT 2018 [ed. or. Lattès 2017]).

Conclusioni

Sarà paradossale, ma oggi abbiamo bisogno di una rivoluzione, o una resistenza, se si preferisce, umanistica all’avanzata del progresso tecnologico, un’impostazione politica e sociale che vuole gestire il progresso per non esserne vittima.

Per questo il ruolo degli insegnanti e quello della scuola sono fondamentali nell’èra della pedagogia digitale.

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