L'approfondimento

ITS Academy, come cambia la formazione 4.0: lo scenario

Con gli ITS Academy sorge un nuovo pilastro per la formazione 4.0 del nostro Paese, necessario per creare una nuova armonia tra il mondo delle imprese e quello dell’istruzione e far incontrare la domanda del mercato e l’offerta di competenze: vediamo gli obiettivi del nuovo corso

Pubblicato il 31 Ago 2022

Nicola Testa

Presidente U.NA.P.P.A. Unione Nazionale Professionisti Pratiche Amministrative

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Se oggi parliamo di formazione 4.0 e di didattica innovativa, allora, la prima cosa importante da fare è semplificare e rendere più chiari i percorsi di studio, facendo in modo che agli occhi degli utenti (genitori e studenti) siano facilmente confrontabili, in termini di contenuti e sbocchi professionali. E soprattutto non moltiplichiamo a dismisura l’offerta scolastica quando è del tutto inutile farlo, perché non serve. Questo è il primo, importante, nuovo passo avanti che mi aspetterei dalla Legge 544, che ha trovato il sostegno di tutte le forze politiche.

Si rafforzano gli ITS, che diventano Academy. Nasce un nuovo pilastro di formazione professionalizzante di cui il Paese aveva bisogno. Si crea una nuova simbiosi tra scuola e impresa che stringono una nuova alleanza per costruire le competenze che servono al mondo del lavoro. Questi alcuni dei contenuti più significativi di questa legge, che dovrebbe finalmente allineare la scuola italiana alla realtà di un mondo in continua evoluzione.

La riforma ITS è legge, ecco gli ITS Academy: perché serviranno al Paese

Lavoro e scuola, il contesto

La scuola oggi non prepara in nessun modo ad affrontare il futuro lavorativo, salvo pochissime eccezioni, ma stiamo parlando di vere e proprie eccellenze. La mancanza di personale che soffriamo in questo periodo è, in parte, frutto anche di una scuola che non ha saputo orientare prima, formare durante e indirizzare sul mercato del lavoro dopo i nostri ragazzi. Per non parlare della distanza siderale tra teoria e pratica, fra bagaglio concettuale e analitico messo a disposizione degli studenti nel periodo della loro formazione e concreto sviluppo della capacità di applicare efficacemente tale bagaglio dopo, nella pratica, quando ci si mette alla prova nel mondo del lavoro. Del resto, su questo terreno il mondo della scuola resta profondamente influenzato dalle caratteristiche della nostra burocrazia. Mondi in cui i “diritti” sopravanzano sempre i “doveri” e in cui conoscere una norma è più importante che saper fare qualcosa. Basti pensare che, nella mia professione, se vogliamo assumere un apprendista, il corso obbligatorio è quello sulla sicurezza, non un bel corso su applicazioni informatiche avanzate che possano a vario titolo risultare utili al lavoro. E il corso sulla sicurezza, pur necessario, finisce con l’avere il sopravvento nella formazione per il lavoro, a scapito di percorsi formativi altrettanto, quando non addirittura più utili. E che si sia un’impresa edile o un ufficio amministrativo non fa la differenza.

ITS, i dati

Gli ITS hanno già dimostrato la loro efficacia in passato e spero che grazie a questa nuova riforma possano risultare ancora più performanti. Il monitoraggio nazionale degli ITS (Fonte INDIRE) indica una performance di collocamento dell’80% degli studenti che seguono questo percorso e il più delle volte nel settore scelto. Su 6874 iscritti, si sono diplomati 5.280 di questi 4800 sono stati subito occupati.

Ma allora perché ci abbiamo messo così tanto a legiferare su questo tema? E pensare che avevamo già un percorso simile a quello attuale a metà del secolo scorso. Forse perché le resistenze della scuola sono state molte? In realtà, già oggi, questi istituti hanno dovuto cedere parte di quella sovranità che in passato esercitavano in maniera assolutamente esclusiva: pensiamo ai formatori, professionisti e imprenditori, che vengono dal mondo del lavoro che si trasformano in “docenti”. Quale effetto può avere questo ingresso su una classe in cui i docenti che spiegano economia aziendale non hanno mai visto una azienda dal vicino? Senza aver mai visto come si costruisce un bilancio, che non è mai fatto di soli numeri. Ebbene, la nuova legge stabilisce che la quota di tali ingressi dovrà essere del 50%, divisa fra professori ordinari e docenti provenienti dal mondo produttivo, che dovranno gestire almeno il 60% dell’orario complessivo del programma. Inoltre, buona parte dei programmi saranno realizzati direttamente in azienda, attraverso un sistema di tirocinio. Un nuovo modello che personalmente ritengo potrà risultare utile al sistema produttivo così come al Paese nel suo complesso.

Certo dovranno essere percorsi progettati e realizzati in simbiosi con il sistema produttivo, e non calati dall’alto come finora è spesso avvenuto. Ciò porterà sicuramente vantaggi alle aziende, che potranno finalmente veder formare i propri futuri collaboratori con un potenziamento del profilo effettivo di hard e soft skills utili per lavorare nelle imprese, facendo così compiutamente esprimere tutte quelle doti che si sviluppano solo toccando con mano il lavoro. Autonomia, flessibilità, adattamento alle situazioni, capacità nell’uso degli strumenti, empatia con il sistema organizzativo in cui si lavora, efficacia nell’uso del tempo ecc. Doti che non sempre a scuola puoi sviluppare e che un percorso educativo misto può invece permettere di costruire strada facendo.

Tra l’altro, si tratta di un sistema che ha già prodotto significativi risultati, visto il dato che INDIRE fornisce sul corpo docente: il 72% del monte ore di formazione è già oggi erogato da esperti del mondo del lavoro. Anche qui allora perché ci abbiamo messo così tanto per arrivare a sancire questo stato di cose con una legge? Di quali altre prove avevamo bisogno oltre a questa manifesta evidenza? In ogni caso, forse, oggi ci siamo.

Gli obiettivi

Tra gli obiettivi penso che uno tra i più importanti potrà essere quello di indirizzare la formazione, in tutto il ciclo di studi, verso ambiti utili al sistema produttivo, in modo tale da costruire un nuovo sistema di formazione capace di risultare professionalizzante, a partire da nuovi percorsi didattici più efficaci e utili dal punto di vista del mondo produttivo e del lavoro.

Ciò non necessariamente significa mettere a repentagli o frustrare le legittime aspirazioni degli studenti a seguire le proprie specifiche inclinazioni. Ma significa costruire percorso educativi e formativi che siano in grado di fargli individuare con chiarezza le proprie attitudini, per poi indicare loro una strada da perseguire in modo consapevole e utile, oltre che alla fine soddisfacente. Proprio ciò che oggi molto spesso non avviene, quando viceversa si verifica in altri paesi europei, come la Germania e l’Olanda, giusto per fare due esempi.

È inutile laureare migliaia di avvocati, quando viceversa sappiamo che servono ingegneri, così come altre figure tecniche. Ma per risolvere questo problema occorre anzitutto che i giovani abbiano modo di orientarsi rispetto alle proprie future scelte scolastiche in maniera consapevole e informata, per poter riuscire a combinare in autonomia e con soddisfazione le proprie legittime aspirazioni con aspettative inerenti gli sbocchi professionali dovutamente informate. Come dovrebbe fare un vero ed efficace servizio di orientamento alla formazione.

Il fascino delle piccole realtà

Spesso, quando mi trovo ad assumere qualche nuovo collaboratore, lo sforzo più grande che mi trovo a fare è far cambiare le aspettative di chi mi trovo davanti, rispetto a cosa significhi andare a lavorare in una piccola organizzazione, e perciò devo sollecitare il mio interlocutore a fare uno sforzo di fantasia, per dire che anche il “piccolo e bello”. Necessario che la formazione contribuisca un po’ di più alla costruzione di una nuova immagine di quello che un tempo era definito il “sogno italiano”. Del resto, l’Italia è il Paese delle micro, piccole e medie imprese. E allora ha anche senso che formiamo le future generazioni affinché capiscano che anche se piccoli si può lavorare in contesti qualificati, competitivi e talvolta anche di eccellenza. Facciamo capire qual è il panorama del nostro sistema produttivo, che è poi quello in cui si costruirà la propria carriera lavorativa e dove si vivrà per larga parte della propria vita. Questo credo voglia dire scelta consapevole, avere chiaro il sistema economico e sociale in cui si lavorerà. Intendersi calati nella vita reale, non immaginarsi protagonisti di un lungometraggio americano che non sempre finisce bene.

La formazione degli insegnanti

Questo nuovo percorso deve essere costruito sulla base di alcuni ingredienti fondamentali, che non riguardano solo la formazione degli studenti, ma anche quella degli insegnanti. Non possiamo pensare che qualcuno si candidi a fare l’insegnante se non è preparato, aggiornato e competente. E purtroppo di situazioni che evidenziano la presenza di docenti non all’altezza del loro ruolo ne vediamo tantissime nelle scuole dei nostri ragazzi. È sufficiente vedere quanto male siano spesso utilizzate le risorse collegate all’innovazione strumentale, che in molti casi finiscono con l’essere usati in modo scorretto e inefficiente, quando non usate. Non dobbiamo peraltro dimenticare che su questa “missione” il PNRR ha stanziato 1,5 mld di euro, che sono da aggiungere agli stanziamenti statali già previsti.

Una cifra importante, che dovrà alimentare strategiche aree di intervento quali transizione ecologica, industria chimica e farmaceutica, artigianato artistico, mobilità, cultura e turismo e altri settori ancora, senza però dimenticare anche gli ambiti più tradizionali, che da sempre caratterizzano la nostra economia nazionale. Se sapremo spenderli nel miglior modo possibile ne trarremo benefici per i prossimi decenni e finalmente potremo risollevare il nostro paese dalle difficoltà in cui ancora oggi si trova.

Il sistema di valutazione

Il sistema di formazione mantiene il sistema delle qualifiche EQF (European Qualification Framework), che determinerà i vari livelli e la durata dei vari percorsi. Un sistema di valutazione che ci permetterà un confronto alla pari con altri modelli europei. Su questo punto, è assai importante segnalare che esiste già un l’Atlante delle Professioni, finalizzato a censire le diverse aree di attività e professioni. Si tratta di un’attività curata dall’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche), che tuttavia non sta proprio brillando per tempistiche di realizzazione. Ciononostante è importante che il percorso dei nuovi ITS Academy si raccordi anche con questo fondamentale lavoro di censimento e codifica delle professioni e se parliamo di quelle intellettuali da ricordare che oggi il sistema è da una parte Albi Ordini e Collegi, dall’altra Legge 4/2013 “professioni non regolamentate”. Del resto, nel quadro delle linee di investimento contemplate dal PNRR, sono moltissimi i profili professionali coinvolti, a riprova di come il sistema produttivo non possa considerarsi esaustivamente rappresentato dal mondo delle aziende, poiché è sempre più un mondo caratterizzato da una pervasiva e articolata presenza di figure professionali. Ciò che peraltro va di pari passo con una società globale in continua trasformazione, in cui le forme del lavoro cambiano repentinamente dando origine a figure sempre diverse.

ITS, i benefici per le imprese

E vi è infine un vantaggio anche per l’impresa, essendo previsto un credito di imposta che può andare dal 30 al 60%, per i finanziatori degli ITS. Un ulteriore incentivo che potrebbe svolgere il ruolo di acceleratore. Inizia un nuovo rapporto, speriamo il più possibile virtuoso, di collaborazione tra impresa e scuola, come ho già detto. In questa fase, perciò, se da una parte dobbiamo indurre le scuole a fare sempre meglio, dall’altra dobbiamo convincere le imprese che la formazione è un investimento e non un costo. Per fare questo bisogna lavorare sulla cultura prima e sugli incentivi poi.

Oggi però non è così. Pertanto, come nell’ambito della scuola dobbiamo realizzare un sistema di valutazione che non sia autoreferenziale ma venga viceversa concordato con l’impresa, dobbiamo anche ideare un sistema che vorrei definire “rating della formazione aziendale”, ovvero uno strumento di valutazione serio e affidabile per le imprese che incida, ad esempio, sull’assegnazione di grant, finanziamenti ecc. Un meccanismo che abbia anche lo scopo di indurre una dinamica competitiva nel mondo dell’impresa, incentivando a investire in formazione.

Conclusione

In una società sempre più complessa e in continuo cambiamento come quella in cui ci troviamo a vivere, credo che ormai si debba pensare alla formazione non più come a qualcosa che resti circoscritto all’aula, ma che ci accompagni in ogni concreto momento della vita lavorativa, incarnandosi attraverso la stessa pratica professionale. Solo così potremo affrontare le sfide del futuro.

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