la provocazione

La bellezza dell’Italia: valorizzarla con i fondi Ue per uscire dalla crisi

“La bellezza salverà il mondo”, come dice Dostoevskij o “La bellezza non salverà proprio nulla, se noi non salveremo la bellezza” come afferma Settis? Si potrebbe pensare per recuperare la bellezza “originaria” del nostro Paese, di usare digitale e fondi Ue per un “viaggio della macchina del tempo”? Vediamo perché

Pubblicato il 28 Ott 2020

Ottavio Ziino

Presidenza del Consiglio dei ministri

tour virtuali trasformazione digitale

Agli esami di Stato di istruzione secondaria superiore, Sessione ordinaria 2019, prova di Italiano, una delle proposte della Tipologia B è consistita nell’analisi e produzione di un testo argomentativo, sulla base di una traccia estratta da: Tomaso Montanari, Istruzioni per l’uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che verrà, minimum fax, Roma 2014, pp. 46-48.

La traccia dell’esame così concludeva: “[…] Nel patrimonio culturale è infatti visibile la concatenazione di tutte le generazioni: non solo il legame con un passato glorioso e legittimante, ma anche con un futuro lontano, «finché non si spenga la luna»[1]. Sostare nel Pantheon, a Roma, non vuol dire solo occupare lo stesso spazio fisico che un giorno fu occupato, poniamo, da Adriano, Carlo Magno o Velázquez, o respirare a pochi metri dalle spoglie di Raffaello. Vuol dire anche immaginare i sentimenti, i pensieri, le speranze dei miei figli, e dei figli dei miei figli, e di un’umanità che non conosceremo, ma i cui passi calpesteranno le stesse pietre, e i cui occhi saranno riempiti dalle stesse forme e dagli stessi colori. Ma significa anche diventare consapevoli del fatto che tutto ciò succederà solo in quanto le nostre scelte lo permetteranno.

La bellezza presente in Italia

È per questo che ciò che oggi chiamiamo patrimonio culturale è uno dei più potenti serbatoi di futuro, ma anche uno dei più terribili banchi di prova, che l’umanità abbia mai saputo creare. Va molto di moda, oggi, citare l’ispirata (e vagamente deresponsabilizzante) sentenza di Dostoevskij per cui «la bellezza salverà il mondo»: ma, come ammonisce Salvatore Settis, «la bellezza non salverà proprio nulla, se noi non salveremo la bellezza»”.

Ai candidati, veniva richiesto di esprimersi anche in merito a: “Alla luce delle tue conoscenze e delle tue esperienze dirette, ritieni che «la bellezza salverà il mondo» o, al contrario, pensi che «la bellezza non salverà proprio nulla, se noi non salveremo la bellezza»?”

Quale che sia il punto di vista del lettore di questo paper sul quesito appena riportato, appare utile considerare alcuni elementi fattuali e di attualità che vieppiù danno evidenza della lungimiranza del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca quando propone ai candidati gli argomenti rispetto ai quali sono soggetti a valutazione.

Non volendo entrare nel merito dei periodici confronti tra nazioni sul patrimonio culturale e naturale, è un fatto che 55 dei 1.121 siti Unesco inclusi nella lista dei patrimoni dell’umanità siano ubicati in Italia (prima nazione al mondo, assieme alla Cina), ossia il 4,9% del totale. La superficie dell’Italia è pari allo 0,2% circa delle terre emerse, pertanto il nostro Paese è caratterizzato da una densità di patrimonio culturale e naturale senza eguali nel confronto con le altre nazioni.

La bellezza dell’Italia: risorsa economica e fonte di esternalità positive

Sulla base di recenti dati ufficiali, l’ISTAT rappresenta, con riguardo all’Italia, che «Da elaborazioni preliminari basate unicamente su dati di offerta, emerge che il peso del valore aggiunto prodotto dalle attività connesse al turismo sul totale dell’economia è rimasto stabile nel 2017 e nel 2018 (6,0%) ed è in leggera crescita nel 2019 (6,1%)»[2] e, ancora, «Nel 2019, secondo la Rilevazione sulle forze di lavoro, gli occupati del settore turistico inteso in senso ampio – cioè considerando interamente settori che solo in parte sono connessi al turismo, come nel caso della ristorazione – sono 1 milione 647 mila, e rappresentano il 7,1% del totale degli occupati. Negli ultimi anni, grazie a un aumento di 285 mila unità rispetto al 2013, l’incidenza risulta in crescita (era il 6,1%).»[3].

Quanto riportato evidenzia, da un lato, l’importanza del turismo quale fonte di ricchezza e occupazione e, dall’altro, le ulteriori potenzialità dell’eccezionale e enormemente diffuso patrimonio culturale e naturale italiano (secondo stime, nel 2019 l’Italia è stata il quinto Paese più visitato al mondo).

Al patrimonio culturale e naturale e alla bellezza che da esso sprigiona si riconosce la capacità di apportare benefici economici ed esternalità positive.

Infatti, i beni che costituiscono il patrimonio culturale e naturale sono driver economici rilevanti: i bar in Piazza della Rotonda, nota anche come Piazza del Pantheon, offrono, tramite caffè e cornetti, la straordinarietà di una pausa ammirando meraviglie; i barcaioli di Cefalù consentono, tramite una gita in barca, di rilassarsi sotto una rocca di struggente bellezza etc.

Le esternalità positive del patrimonio culturale e naturale si concretano in benefici anche per chi non lo consuma, ma riceve vantaggi, tramite la bellezza che lo caratterizza, dall’innalzamento del livello culturale, dagli stimoli che arreca alla collettività, dai valori che da esso promanano, dall’innalzamento della coscienza dell’importanza della convivenza civile etc.

La pandemia di COVID 19

La pandemia di COVID 19 ha rallentato enormemente il settore del turismo mondiale e, quindi, anche quello italiano, i cui danni sono stati mitigati da interventi governativi, nonché ha frenato la capacità del nostro ineguagliabile patrimonio culturale e naturale di arrecare esternalità positive, peraltro sanabile con difficoltà tramite interventi di politica economica.

È auspicio di tutti noi uscire al più presto dalla crisi sanitaria e dalle difficoltà economiche e occupazionali. La fine della pandemia, tra le tante utilità, consentirà al nostro patrimonio culturale e naturale di ritornare a concorrere allo sviluppo del settore turistico, eccellenza del nostro Paese, e di sprigionare, tramite la propria straordinaria diffusione e bellezza, esternalità positive, auspicabilmente con maggior vigore rispetto al passato.

Le risorse comunitarie per uscire dalla crisi e alcuni ambiti di intervento

Sulla base delle “Linee guida per la definizione del piano nazionale di ripresa e resilienza #nextgenerationitalia” del 15 settembre 2020, le risorse disponibili per l’Italia ammontano all’incirca a 200 miliardi di euro.

Le Linee guida, tra gli ambiti di intervento, individuano anche quelli della valorizzazione della bellezza del nostro patrimonio culturale e naturale e della promozione del turismo, infatti «Si dovrà inoltre investire nella “bellezza” dell’Italia quel capillare intreccio di storia, arte, cultura e paesaggio, che costituisce il tessuto connettivo del Paese. A tal fine è necessario rafforzare la tutela dell’immenso patrimonio artistico, culturale e naturale e, nello stesso tempo, promuoverne la fruizione, consolidandone le potenzialità e la capacità di attrazione di flussi turistici.» (pag. 7) e, inoltre, «Una attenzione particolare va riservata alla promozione dell’industria culturale e del turismo, vero asset strategico dell’Italia.» (pag. 12).

Una provocazione

Di seguito è esposta una provocazione sul concetto e sull’uso della bellezza, senza la pretesa di entrare nel campo della “Estetica” che è la “disciplina riguardante il bello (naturale e in particolare artistico), la produzione e i prodotti dell’arte, il giudizio di gusto su di essi.” (voce “estetica” in Treccani, vocabolario online).

La provocazione prende avvio dalla considerazione che la bellezza sembra perdere d’importanza rispetto all’oggetto in sé e acquistarne sempre più fuori dai suoi confini fisici, per una declinazione e fruizione privatistica della bellezza.

Si auspica che un esempio possa chiarire quanto esposto.

Poniamo il caso di un edificio, privato o pubblico, non gradevole e/o desincronizzato rispetto al contesto nel quale è ubicato, caratterizzato da pregio estetico e culturale e da armonia di forme urbane, se non fosse per l’anzidetto edificio.

Un approccio “estetico” e, anche, vagliabile dal punto di vista economico, potrebbe suggerire la demolizione dell’edificio in questione, perché si ripristinerebbero bellezza collettiva, che permetterebbe una maggiore attrattività turistica ed economica del contesto urbano, nonché ulteriori esternalità positive.

L’ambiente urbano, privo del suo elemento di disagio, acquisirebbe un maggior valore estetico, turistico, economico, sociale, etc., che potrebbe sopravanzare i costi di un eventuale esproprio dell’edificio (qualora fosse privato), anche a prezzi superiori a quelli tradizionali di esproprio. Peraltro, potrebbe prevedersi che i proprietari degli altri edifici ubicati nel contesto in questione partecipino agli oneri dovuti all’esproprio dell’edificio “disarmonico”, anche perché l’esproprio consentirebbe l’incremento di valore delle loro proprietà immobiliari, una volta recuperata la originaria bellezza del luogo.

Il ragionamento proposto non si ritiene che abbia di sovente animato dibattiti, né si è concretato in interventi significativi e, anche in occasione di calamità naturali, la filosofia a base della ricostruzione si è fondata, talvolta, sul principio del tutto come prima, vale a dire la riproposizione in fotocopia anche di edifici disarmonici rispetto al contesto urbano e/o non gradevoli. In questi casi (calamità naturali), peraltro, l’utilizzo per altre finalità, con valenza ad esempio collettiva, dell’area in cui è ubicato l’edificio dissonante oramai danneggiato e la costruzione di un differente edificio in un altro sito, oppure la ricostruzione dell’edificio, nel medesimo luogo ma con una differente conformazione, non comporterebbe sensibili incrementi di costo (o, addirittura, nessuno).

Un edificio non gradevole e/o desincronizzato rispetto al luogo nel quale è ubicato, sebbene diminuisca la bellezza del contesto urbano, tuttavia, potrebbe avere un valore considerevole se rapportato a quello degli altri apprezzabili edifici appartenenti a quel contesto, perché soltanto dentro le mura di quell’edificio si apprezza la bellezza del contesto urbano nella sua originalità.

L’imbarazzo dell’edificio è, per certi versi e in termini provocatori, motivo del suo valore, perché la bellezza del contesto è accessibile soltanto dal di dentro dell’edificio. La bellezza non è collettivizzata in termini economici e di capacità di effondere esternalità positive, ma è declinata privatisticamente dentro le mura dell’edificio disarmonico, che dalle sue finestre ruba bellezza restituendo il suo opposto.

La bellezza urbana, da bene collettivo, è accaparrata dentro mura private che ne riducono il potenziale godimento, ed è privatizzata, privando la comunità di valore estetico, sociale, economico e di esternalità positive.

In termini meno impegnativi finanziariamente, anche l’arredo urbano e le infrastrutture di comunicazione commerciale (insegne, targhe, cartellonistica etc.) che talvolta inquinano la bellezza dei contesti urbani per la loro desincronizzazione, invasività, mancanza di omogeneità etc., potrebbero essere oggetto di interventi miranti alla loro coerenza con il contesto urbano nel quale sono collocati, oltre che al loro contenimento con riguardo alle infrastrutture commerciali.

Similari ragionamenti sono proponibili anche nel caso di manufatti e interventi che inquinano il nostro patrimonio naturale.

Progettazione partecipata, ICT e immaginario collettivo condiviso

Qualora la provocazione prima esposta presenti elementi di possibile empatia, potrebbe vagliarsi l’ipotesi di interventi urbanistici finalizzati a ripristinare la originaria bellezza del nostro patrimonio culturale e naturale. Questi interventi necessitano di un approccio basato sulla progettazione partecipata, per la pluridimensionalità degli effetti conseguenti alle scelte effettuate e i connessi molteplici interessi da bilanciare.

In ambito sociale, «La progettazione partecipata […] è una prospettiva metodologica che prevede la collaborazione dei vari attori di una comunità (cittadini o gruppi sociali destinatari di un’iniziativa, amministratori e tecnici) che, attraverso spazi e momenti di elaborazione, sono coinvolti nell’ideazione o nella realizzazione comune di un progetto con ricadute positive sui partecipanti e il loro gruppo di appartenenza.»[4]

In urbanistica, la progettazione partecipata «È il coinvolgimento dei destinatari dei progetti nel processo di produzione dell’attività progettuale» (Alessandro Balducci) e differisce dalla partecipazione pubblica, che è un processo spontaneo di istanze di settori della società che spesso si sviluppa al di fuori ed indipendentemente dal mondo istituzionale. La progettazione partecipata è invece direttamente dipendente e connessa con il mondo istituzionale.[5]

Grazie alla progettazione partecipata, sono proposte in modo trasparente anche più idee progettuali, affinché la comunità interessata si esprima e proponga miglioramenti basati sulle delle proprie esigenze, talvolta latenti, che l’urbanista potrebbe non cogliere appieno o che potrebbe avere sopravvalutato. Questo approccio è democratico, perché i destinatari delle scelte degli interventi fanno parte attivamente della trasformazione dell’ambiente nel quale vivono: ciò fortifica il capitale sociale di una comunità nella tensione verso un immaginario collettivo condiviso.

In quest’ambito, le opportunità offerte dai nuovi strumenti di rappresentazione digitale che permettono una riproduzione dinamica ed interattiva dei contesti urbani, consultabile via internet, permettono ai singoli cittadini di contribuire in maniera puntuale alla proposta progettuale (o a scegliere, preliminarmente, quella da sviluppare) e di comprendere il gradimento dei propri contributi e gli aspetti che necessitano di affinamento.

La rappresentazione digitale della proposta progettuale realizza – grazie agli attributi di flessibilità, espandibilità, trasparenza etc. che consentono la possibilità di inserire commenti, ipotesi alternative, punti di debolezza, memorie storiche dei luoghi, semplici ricordi etc. – miglioramenti dell’intervento urbanistico e la sua preventiva condivisione. Tutto ciò permette la convergenza verso un immaginario collettivo condiviso da tradurre in interventi che possano essere monitorati sempre tramite tecnologie digitali.

Conclusioni

Quale che sia il punto di vista del lettore di questo paper in merito a «la bellezza salverà il mondo» (Fëdor Dostoevskij) o, al contrario, «la bellezza non salverà proprio nulla, se noi non salveremo la bellezza» (Salvatore Settis), potrebbe anche riflettersi sull’ipotesi che occorra, riprendendo il punto di vista del Professor Settis, ripristinare l’originaria bellezza del nostro stupefacente patrimonio culturale e naturale, sia tramite interventi “tradizionali”, ossia di messa in sicurezza, restauro etc., sia forse anche grazie a interventi volti a recuperare il contesto, a volte da noi “inquinato”, nel quale la “bellezza” è collocata, affinché sprigioni appieno le proprie capacità economica ed esternalità positive.

In questa prospettiva, le nuove modalità di rappresentazione digitale dei contesti urbani e delle proposte progettuali, che consentono anche una migliore progettazione partecipata, permettono la convergenza verso un immaginario collettivo condiviso, necessario per la migliore realizzazione degli interventi urbanistici.

Nei termini in cui le risorse disponibili per l’Italia del Next Generation EU fossero destinabili a quest’ultimo scopo, potremmo immaginare che parte del nostro patrimonio culturale e naturale affronti un “viaggio della macchina del tempo” per recuperare, in ogni aspetto, la propria “originaria” bellezza, tramite anche la progettazione partecipata che si avvale delle nuove tecnologie digitali e di comunicazione.

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* Quanto riportato è espressione di libera manifestazione del pensiero. Le opinioni espresse non riflettono posizioni, punti di vista etc. dell’Amministrazione pubblica presso la quale lo scrivente presta servizio, né gli argomenti trattati hanno specifica attinenza con i compiti svolti. L’articolo non impegna minimamente le Istituzioni e gli Autori citati.

  1. Salmi 71, 7
  2. Memoria scritta dell’Istituto nazionale di statistica a “Esame del disegno di legge A.S. 1746 Conversione in legge del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9” 5a Commissione programmazione economica e bilancio, Senato della Repubblica, Roma, 10 marzo 2020, pag 7.Nella citata Memoria, l’Istituto chiarisce che «Lo strumento, riconosciuto e raccomandato a livello internazionale per la rappresentazione del settore turistico è il Conto Satellite del Turismo (CST), realizzato dall’Istat rielaborando congiuntamente i dati di fonte contabilità nazionale, i dati provenienti dalle rilevazioni Istat sulla domanda turistica e sull’attività delle strutture ricettive, nonché dall’indagine campionaria mensile condotta dalla Banca d’Italia sul turismo internazionale. Il CST permette di valutare la dimensione economica complessiva dell’industria turistica e il suo peso sul complesso dell’economia, integrando in un quadro coerente informazioni sulla domanda e sull’offerta turistica.». (pag. 7)
  3. Memoria scritta dell’Istituto nazionale di statistica a ”Esame del progetto di legge C. 1743: Istituzione del Ministero del Turismo e altre disposizioni per la promozione del turismo” X Commissione “Attività produttive” della Camera dei Deputati, Roma, 8 giugno 2020, pagg. 8 e 9.
  4. Elvio Raffaello Martini, Alessio Torti, Fare lavoro di comunità, Riferimenti teorici e strumenti operativi, Carocci, 2003.
  5. Domenico Di Siena http://urbanohumano.org/blog/2017/12/03/urbanistica-digitale/

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