I dati di novembre 2022 del sistema informativo Excelsior evidenziano una dimensione di oltre il 50% di difficoltà di reperimento, da parte delle imprese, di profili con competenze specialistiche ICT, rispetto a una domanda mensile (tra specialisti e tecnici ICT) di circa 10 mila posizioni. Una carenza in Italia ormai già nota, come i danni che provoca nel mercato del lavoro e nel mondo delle imprese.
Competenze digitali: primi passi avanti dell’Italia, ma la vera svolta è all’orizzonte
Per intervenire su questo fronte il Dipartimento per la trasformazione digitale, nell’ambito del programma Repubblica Digitale, ha avviato il progetto “Scuola Diffusa sulle Competenze Specialistiche ICT”, in modo da costruire un progetto di formazione su ampia scala anche per ‘mettere a sistema’ le iniziative di formazione delle imprese dell’ambito, fornendo, tra l’altro, un ‘punto di accesso unico’ ai percorsi di sviluppo delle competenze specialistiche ICT più richieste dal mercato.
Ma andiamo per ordine e torniamo ai dati.
La dimensione del problema
L’ufficio studi Anitec-Assinform ha riscontrato, come si rileva nel positioning paper presentato poche settimane fa, 89.000 web vacancy ICT complessive, di cui tra l’altro circa 57.000 rappresentano opportunità di lavoro accessibili anche per professionisti ICT non laureati. In particolare, nel paper si evidenzia che “a questa rilevante offerta di lavoro non corrisponde una altrettanto coerente domanda, né di professionisti con esperienza né di giovani in ingresso nel mercato lavorativo”.
Questa situazione si riscontra, con gli indicatori del Piano operativo della Strategia per le competenze digitali legati al DESI, in un ritardo sia in termini di laureati in discipline ICT (1,4%, circa un terzo della media UE), sia di specialisti ICT sul totale degli occupati, mettendo a serio rischio la crescita del settore ICT e la capacità di governo dello sviluppo digitale nel mondo delle organizzazioni.
Problemi specifici sono relativi anche ai divari territoriali e di genere: nel 2020[1], circa il 18,9% delle laureate ha conseguito il titolo in percorsi STEM, contro il 39,2% di laureati di genere maschile.
Uno dei motivi principali del ritardo italiano è la scarsa rilevanza attribuita per lungo tempo al tema delle competenze digitali (non solo quelle specialistiche ICT) insieme alla mancanza di sinergie tra le diverse iniziative in campo. La Strategia Nazionale per le competenze digitali, il lancio della Coalizione Nazionale e la prima versione del Piano operativo risalgono, infatti, solo al 2020. Come viene evidenziato nel rapporto DESI 2022, però, l’Italia sta riducendo il divario rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea.
Facendo riferimento al Piano operativo della Strategia, in particolare, ci collochiamo nell’ambito dell’asse di intervento 3 – Competenze specialistiche ICT, dove la situazione è tra le più critiche (rispetto alle esigenze delle imprese e alla situazione degli altri Paesi UE di riferimento) e in cui i progressi italiani sono meno rilevabili su tutti gli indicatori principali (ad esempio, la quota di PMI con specialisti ICT è del 12% a fronte del 18% della media UE). Le azioni presenti nel Piano, volte ad incentivare l’accesso alle discipline e alle professioni STEM con particolare attenzione ai corsi di laurea ICT e all’impiego di risorse ICT nel settore pubblico e privato, sono da rafforzare in modo significativo, come evidenziato anche dal rapporto di monitoraggio 2022.
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Il Piano, risultato del primo ciclo di miglioramento, recepisce i riscontri dei rapporti di monitoraggio e le novità del periodo 2020-2022, iniziando a colmare le carenze di azioni in alcuni fondamentali assi di intervento, come quello relativo alle competenze specialistiche ICT, e rafforzare la partecipazione e il raccordo dei diversi soggetti pubblici, privati e del terzo settore in una logica di coordinamento complessivo e di sforzo integrato, che è la chiave per essere al contempo efficaci e veloci.
La consapevolezza della gravità di questa carenza, che zavorra non solo l’Italia ma l’intera Europa, non è da valutare solo in termini di breve periodo come mismatch domanda-offerta di lavoro, ma in modo più ampio come rischio di non poter perseguire un obiettivo di sovranità digitale europea.
È questo anche il motivo per cui uno degli obiettivi 2030 del Decennio Digitale è il raggiungimento di 20 milioni di specialisti ICT nei paesi UE. Un obiettivo a cui l’Italia è chiamata a contribuire in modo significativo anche per mantenere un’ambizione di Paese di avanguardia nel digitale e nelle tecnologie emergenti in generale.
Il contesto della formazione sull’ICT
Secondo il “positioning paper” di Anitec-Assinform, delle 57.000 web vacancy ICT accessibili anche per professionisti ICT non laureati o con formazione informale, circa 32.000 sono sul job di ‘Developer’, mentre le altre sono associate a altri 15 profili: mobile application developer, digital media specialist, systems analyst, cloud specialist, enterprise architect, test specialist, data specialist, information security specialist, database administrator, DevOps expert, network specialist, data scientist, web data scientist, information security manager, Big Data specialist.
Dal punto di vista dell’offerta di percorsi di riqualificazione per professionisti ICT, diverse evidenze confermano lacune rilevanti nella capacità di formare un numero ampio di persone in modo continuativo. In particolare, le analisi di Anitec-Assinform mostrano l’esistenza di due tipi di formazione alle competenze ICT:
- la formazione svolta nei sistemi di formazione aziendale, più o meno supportati da enti formativi,
- la formazione nel sistema formale, svolta anche negli ITS specializzati nell’ambito ICT.
Per la formazione in ambito aziendale, le analisi dell’Ufficio Studi di Anitec-Assinform rilevano due tipi di percorsi principali: una su specifiche tecnologie e l’altra sui ruoli ICT. Mentre la prima è spesso legata a certificazioni di prodotto o di piattaforma, e può raggiungere significativi numeri di formati (anche diverse decine di migliaia), la seconda consta di iniziative molto diversificate, portate avanti da grandi imprese ICT e organizzazioni di formazione con elevata competenza sul tema.
L’analisi evidenzia in particolare che “I corsi proposti da questi soggetti hanno durate variabili, ma principalmente comprese tra un minimo di 3 mesi e un massimo di 9 mesi. Si tratta di corsi che non rientrano in un sistema di istruzione formale, ma che in alcuni casi preparano per le certificazioni e talvolta rilasciano direttamente certificazioni di competenze. A oggi, non sono disponibili dati aggregati sul numero di persone formate da questi attori”.
Secondo i dati dell’Osservatorio delle Competenze Digitali, nel 2018 il sistema di istruzione formale (Istituti Tecnici, Istituti Tecnologici Superiori-ITS e facoltà universitarie informatiche) ha formato: 30,000 diplomati ICT che non hanno continuato gli studi dopo il diploma 600 diplomati ITS e 8.700 laureati informatici. I numeri sono in significativo aumento relativo, e nel 2021 (dati Indire) i diplomati ITS sono stati 795, grazie anche all’ampliamento della rete delle Fondazioni ITS dell’area ICT.
In una dimensione di valori assoluti, però, anche qui rimaniamo ben lontani dall’effettiva esigenza, e un tasso di laureati ICT in leggera crescita ma ancora poco più di un terzo della media UE.
Dal problema all’azione: le ragioni della Scuola Diffusa sulle competenze specialistiche ICT
Nel corso dei workshop della prima Assemblea di Repubblica Digitale, che si è svolta nel novembre del 2021, sono state condivise analisi e proposte in merito alla carenza di competenze specialistiche ICT in Italia.
In particolare, abbiamo identificato due aree di intervento, con importanti integrazioni e sinergie da valorizzare:
- un’area con possibili risultati di medio-lungo periodo, che prevede un potenziamento strutturale sul percorso di formazione formale, dal primo ciclo di istruzione fino alle secondarie superiori e poi agli ITS e alle Università e alla Ricerca, con un’opportunità di collaborazione pubblico-privato in parte ancora da esplorare e valorizzare;
- un’area con possibili risultati di breve-medio periodo, che si focalizza soprattutto (ma non solo) sui giovani prossimi all’ingresso nel mondo del lavoro o già in cerca di occupazione o specializzazione (anche non laureati), che può basarsi sulle iniziative già attive da parte anche delle aziende, con l’opportunità di un ruolo pubblico di valorizzazione e messa a sistema.
Mentre per la prima area sono previsti interventi nel Piano operativo della Strategia per le competenze digitali, in gran parte finanziati dal PNRR, che seguiranno altri percorsi di approfondimento e potenziamento, per la seconda gli interventi di sistema sono ancora quasi del tutto assenti.
Questa è una delle aree primarie di intervento individuate nelle linee guida del Fondo per la Repubblica Digitale, come aree “per le quali il settore pubblico ha già investito risorse, ma per le quali non vi sono ancora progetti strutturati per utilizzarle. In questa categoria rientrano interventi finalizzati ad accrescere le competenze digitali degli inattivi e disoccupati ed il reskilling degli occupati in lavori “a rischio” (per esempio, profili occupazionali con un’elevata proporzione di tasks automatizzabili). Le azioni del Fondo avranno infatti come obiettivo la promozione e la scalabilità di progetti presentati da organizzazioni no profit soprattutto verso i beneficiari prima individuati, oltre a ragazzi e donne (laddove sussistano progetti strutturati ma non ancora risorse sufficienti).
In questo contesto, e mirando soprattutto alle iniziative promosse dalle aziende, il percorso di riflessione nell’ambito di Repubblica Digitale si è arricchito di molti contributi e condivisioni di esperienze utili per una definizione di un disegno e di un possibile percorso di attuazione e costruzione di quella che è stata identificata come una Scuola Diffusa sulle Competenze Specialistiche ICT.
Prime linee di definizione della Scuola diffusa
Riassumendo, la definizione della Scuola Diffusa sulle competenze specialistiche ICT, l’iniziativa sulla formazione non formale in grado di dare un contributo a breve-medio termine al mismatch, può essere delineata facendo leva su alcune opportunità:
- la consapevolezza diffusa del problema, sia a livello nazionale che europeo, e in particolar modo da parte delle imprese e la presenza di collaborazioni tra mondo dell’istruzione, dell’università, del privato;
- la presenza di iniziative di formazione di buona qualità e in alcuni casi anche di dimensioni significative, soprattutto dal mondo privato;
- l’accettazione diffusa di erogare e fruire corsi di formazione in modalità ibrida (sia fisica che digitale);
- la presenza di quadri di riferimento e norme, per le competenze ICT, che consentano l’identificazione di profili riconosciuti/riconoscibili;
- l’esigenza di strutturare un quadro di sviluppo delle competenze per la trasformazione digitale delle PMI, dove è ancora necessaria un’attività preliminare di sensibilizzazione.
È importante poter cogliere queste opportunità avendo al contempo piena consapevolezza delle principali criticità fin qui rilevate, come l’attuale disponibilità di formazione specialistica concentrata principalmente nelle grandi città e nel centro-nord, la bassa condivisione di una identificazione chiara delle professionalità tecniche più ricercate dal mercato e di una definizione univoca dei profili con competenze specialistiche – base e avanzate; la scarsa omogeneità nei corsi di formazione e di conseguenza nei profili, così come nei formatori certificati; l’assenza di un sistema uniforme di raccolta dati e di monitoraggio dell’efficacia della formazione non formale.
In questo contesto, dobbiamo rapidamente costruire la Scuola Diffusa sulle Competenze Specialistiche ICT come azione di sistema e con la massima valorizzazione delle iniziative già in campo da parte dei privati, con quattro obiettivi principali:
- fornire un punto di raccordo e accesso unico alle risorse per la formazione specialistica e scalare le iniziative virtuose affinché possano essere usufruite dal più vasto numero di utenti possibile come offerta organica. Questo per consentire al beneficiario del servizio di individuare immediatamente l’opportunità formativa più adatta alle proprie esigenze, ovunque sul territorio nazionale e in qualsiasi momento;
- facilitare il rapporto con il mondo della Scuola e dell’Università – definendo percorsi di raccordo (es. protocolli o convenzioni) rispetto innanzitutto a scuole superiori, ITS Academy, formazione professionale, anche operando sui docenti. Questo per favorire un percorso formativo di stretta collaborazione tra Scuola, Università e aziende;
- affiancare alla formazione un percorso di orientamento, coaching e/o mentorship ed esperienze di gruppo in modo da orientare l’utente e fornire una formazione efficace, sfruttando tutte le potenzialità dei percorsi formativi;
- affinare, arricchire e raccordare l’offerta complessiva, agendo sulla coerenza del modello e investendo nelle aree di competenza attualmente meno coperte; raccogliere dati e misurare l’efficacia della formazione, in modo da consentire di accedere ad un catalogo formativo sempre più completo e in linea con le esigenze del mercato del lavoro, presenti e future, superando le frammentazioni attuali.
In termini di processo di costruzione, la Scuola Diffusa dovrebbe prima di tutto focalizzarsi nel favorire la qualità, la fruibilità e l’interoperabilità dei percorsi, sulla base di un riconoscimento condiviso dei profili da formare.
Prossimi passi
Siamo al momento del consolidamento e della concretizzazione di un percorso iniziato con l’Assemblea di Repubblica Digitale del 2021.
Nelle prossime settimane sarà avviata formalmente la fase di coprogettazione con l’avvio di un gruppo di lavoro multi-stakeholder, puntando a un avvio rapido delle prime azioni di rafforzamento legate, appunto, alla qualità e all’omogeneità di indirizzo, e alla necessità, sempre presente, della misurabilità come base essenziale per il miglioramento.
Per una Coalizione nazionale sempre più laboratorio naturale di innovazione e coprogettazione.
Note
- Rapporto Almalaurea 2022 ↑