La realtà virtuale è uno strumento innovativo che grazie alla sua natura multisensoriale e coinvolgente, può soddisfare i principi dell’apprendimento attivo. Le esperienze virtuali immersive favoriscono, infatti, il senso di presenza e di embodiment, entrambi fattori chiave in grado di promuovere l’apprendimento.
L’uso in ambito educativo dei cosiddetti dispositivi immersivi – ce ne sono di diversi tipi e per diversi livelli di coinvolgimento – è ancora agli inizi e ci sono, ovviamente, pro e contro, favorevoli e contrari. Facciamo il punto, partendo da un dato di fatto: immerso in una società digitale, come lo siamo tutti, lo studente non può più essere considerato un ricevitore passivo, che acquisisce conoscenza semplicemente osservando o ascoltando qualcosa di interesse.
Eppure, quando si parla di educazione, generalmente continuiamo a immaginare i ragazzi seduti ai loro banchi, intenti nella lettura di qualche libro di testo, o ad ascoltare l’insegnante che parla della Rivoluzione francese o della legge di Newton o di altri argomenti delle più svariate materie. L’idea generale è quella di uno studente che riceve informazioni da soggetti terzi – siano essi gli insegnanti, i libri o i documentari che vengono visionati in classe. Le ultime ricerche mostrano però una realtà ben diversa.
Apprendimento attivo
Secondo le teorie costruttiviste, l’apprendimento è un processo attivo in cui la persona costruisce la sua conoscenza estraendo significati dalle interazioni con il mondo circostante. Fin da bambini infatti “impariamo facendo”: osserviamo gli oggetti, li manipoliamo e li sperimentiamo con tutti i nostri sensi – tatto, olfatto, visione, udito e gusto. Attraverso le azioni che compiamo su di essi ne interiorizziamo alcune proprietà e ne comprendiamo la natura e l’utilizzo. Si pensi ad un bambino che vede una palla per la prima volta. Le prime cose che ne registrerà sono la forma e il colore. Se poi la prendesse in mano, ne registrerebbe il peso, la fattura e la geometria. Infine se la lanciasse in aria, capirebbe che la palla può volare, rotolare ed essere utilizzata in diversi modi.
Sin dalle prime fasi del ciclo di vita, dunque, il bambino apprende grazie al processo di interazione ed estrazione dei significati con gli oggetti che lo circondano, creandosi dei modelli mentali per comprendere la realtà. Questo stesso processo tuttavia non è solo limitato all’infanzia, ma perdura lungo tutto il corso della vita. Infatti, quando incontriamo qualcosa di nuovo, semplicemente aggiorniamo i modelli mentali che ci siamo costruiti rispetto al mondo e a come funziona, aggiungendo informazioni a un modello pre-esistente o creandone uno nuovo. L’apprendimento è quindi un processo dinamico in cui la persona è protagonista e partecipante attivo del processo di apprendimento.
La realtà virtuale nei contesti educativi
Il senso di presenza è definito come una sensazione soggettiva di “esserci”, ovvero di essere, per l’appunto, presenti nel mondo virtuale. Questa sensazione è accompagnata dalla perdita del senso del tempo e dello spazio da parte dell’utente, che è dunque sufficientemente distaccato dal mondo reale da essere completamente catturato da quello virtuale. A sua volta ciò tenderebbe a favorire un’esperienza emotivamente positiva di coinvolgimento, promuovendo l’insorgenza e il mantenimento di elevati livelli di attenzione e concentrazione.
Il senso di embodiment è invece relativo alla possibilità di agire all’interno dell’ambiente virtuale. Secondo le Embodied Cognition Theories i nostri sistemi cognitivi, tra cui la memoria e l’apprendimento, sono radicati nel nostro sistema sensomotorio e quindi nelle nostre azioni. Da ciò ne consegue che l’apprendimento in contesti scolastici, che tendenzialmente prevede l’acquisizione di conoscenze concettuali astratte, potrebbe beneficiare del coinvolgimento motorio nel processo stesso.
Dispositivi immersivi: quali sono e come vengono usati
Oggigiorno, esistono numerosi dispositivi di realtà virtuale in grado di fornire diversi livelli di immersione definiti, a loro volta, dal livello di coinvolgimento dell’utente nell’esperienza immersiva. In particolare, sono riconoscibili tre livelli di immersività.
- Un primo livello è composto dai dispositivi desktop – o Desktop Virtual Reality (DVR), in cui l’utente interagisce con un mondo tridimensionale generato sullo schermo di un computer. In questo caso l’utente non è totalmente immerso nel mondo virtuale e l’interazione avviene attraverso periferiche quali il mouse, la tastiera o un joystick. Nonostante l’utente esperisca una sorta di immersione visiva e uditiva, gli input sensoriali provenienti dal mondo reale che lo circondano sono troppo forti, impedendogli così di calarsi completamente nell’esperienza virtuale. Esempi di sistemi virtuali desktop sono i videogiochi e le simulazioni video. Questi sistemi sono impiegati nel campo dell’educazione come programmi in grado di stimolare l’interesse e l’attenzione degli studenti verso la materia studiata.
- Un secondo livello è invece definito da quei dispositivi in grado di aumentare il livello di immersività grazie all’intensificazione degli stimoli sensoriali provenienti dal mondo virtuale o all’accrescimento dell’esperienza di embodiment nell’interazione virtuale. I Fulldome sono un ottimo esempio di ambiente virtuale arricchito. Questi dispositivi sono infatti dei display con un largo campo visivo che circonda l’utente, garantendone una completa immersione percettiva e un maggiore trasporto emotivo. Gli Embodied Mixed Reality Learning Environments (EMRELE), sono invece degli ambienti che coinvolgono diverse modalità sensoriali tra cui, di particolare importanza, i sensi cinestetici: questo tipo di sistema permette infatti all’utente di interagire direttamente con il proprio corpo con gli oggetti nell’ambiente virtuale. Sistemi quali i Fulldome e gli EMRELE sono dispositivi utilizzati principalmente in contesti museali o di apprendimento collaborativo, in cui più studenti partecipano insieme all’esperienza virtuale, senza essere quindi completamente isolati dal mondo reale e immersi in quello virtuale.
- Vi sono infine alcuni dispositivi, definiti Immersive Virtual Reality (IVR), in grado di generare ambienti che circondano percettivamente l’utente e che vengono esperiti come reali. A differenza degli altri dispositivi, questi sistemi hanno alcune caratteristiche in grado di assorbire totalmente l’utente nell’esperienza virtuale:
- La navigazione in prima persona. Numerose ricerche hanno infatti sottolineato i benefici della navigazione egocentrica, rispetto a quella in terza persona, in termini di presenza e immersione dell’utente nel mondo virtuale;
- La dinamicità della scena. A differenza dei sistemi in cui la scena è fissa su uno schermo, negli ambienti virtuali immersivi la scena si aggiorna in modo congruente al movimento della testa dell’utente, rendendo l’ambiente ancora più realistico;
- La visione stereoscopica. I sistemi di realtà virtuale immersiva creano l’illusione di profondità, creando così un’ immagine piatta in grado però di dare un senso di prospettiva.
Due esempi di dispositivi immersivi sono:
- gli Head-Mounted Displays (HMD): dei visori che vengono indossati dall’utente, che lo isolano percettivamente dal mondo reale circostante e in cui vengono generate delle immagini con le caratteristiche sopra elencate
- i Cave Automatic Virtual Environments (CAVE): delle stanze in cui sui muri, sul soffitto e talvolta sul pavimento vengono proiettate delle immagini tridimensionali con cui il soggetto può interagire.
Lo sviluppo di questi dispositivi è soltanto agli inizi. Se il loro impiego finora è stato principalmente legato a scopi commerciali o di intrattenimento, per la spettacolarizzare di alcuni contenuti, iniziano oggi ad esser utilizzati anche in altri campi, tra cui quello dell’e-Health e quello educativo.
Realtà virtuale immersiva ed educazione: pro e contro
Le prime ricerche effettuate per valutare l’efficacia della realtà virtuale immersiva per l’apprendimento offrono una buona prospettiva per l’impiego di queste tecnologie in contesti educativi. Numerosi studi hanno infatti analizzato gli effetti della realtà virtuale immersiva sia in termini di risultati scolastici, sia in termini di motivazione, rispetto ad altri metodi di insegnamento di tipo tradizionale (diapositive, libri di testo, ecc.). I risultati di questi studi hanno evidenziato i benefici dell’uso di ambienti virtuali immersivi per lo studio di diverse materie, dalla biologia, all’anatomia, alla chimica, e ancora alla fisica, alla botanica e alla geografia.
È importante sottolineare che la maggior parte di questi studi hanno utilizzato Head-Mounted Displays, piuttosto che sistemi CAVE. Ciò è principalmente dovuto all’elevato costo e alla scarsa usabilità dei sistemi CAVE che comportano una serie di problematicità tecniche che ne rendono impraticabile l’utilizzo in contesti scolastici.
Nonostante gli enormi vantaggi che la realtà virtuale immersiva ha mostrato di avere in ambito educativo in termini di apprendimento e motivazione, è tuttavia necessario considerare alcuni aspetti che potrebbero invece ostacolarne la diffusione.
Da un lato alcuni studi hanno dimostrato che un eccessivo numero di input sensoriali dovuti all’immersione nel mondo virtuale, porterebbe ad un sovraccarico cognitivo, inficiando così gli effetti sull’apprendimento che risulta diminuito rispetto ai tradizionali metodi di insegnamento.
Dall’altro è anche importante considerare le conseguenze dell’uso della realtà virtuale in termini di salute. In alcuni studi sono stati infatti rilevati numerosi problemi legati a ciò che viene definito “cybersickness”, ovvero sintomi di cinetosi dovuti all’immersione. Infatti diversi partecipanti hanno talvolta riportato di provare sensazioni di mal di testa, nausea, disorientamento e problemi alla vista.
Realtà virtuale come strumento educativo: siamo pronti
Un ultimo fattore di fondamentale importanza da tenere presente quando parliamo della possibilità dell’introduzione della realtà virtuale nei contesti scolastici, è la resistenza all’utilizzo delle tecnologie in ambito educativo da parte degli insegnanti, dei genitori e degli studenti stessi. Gli studenti tuttavia, tra tutti, sembrano essere i più propensi all’utilizzo delle tecnologie in classe. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che le nuove generazioni crescono in un mondo in cui le tecnologie sono un mezzo di comunicazione e di informazione utilizzato nella maggior parte delle attività quotidiane e per questo vengono definiti “nativi digitali”. I ragazzi oggi comunicano attraverso Whatsapp, fanno ricerche su Internet, creano presentazioni su PowerPoint, ecc. Per loro le tecnologie non sono soltanto facili da usare, ma sono anche percepite come estremamente utili per raggiungere numerosi dei loro obiettivi scolastici. Dall’altra parte invece insegnanti e genitori sembrano essere in generale più restii, seppure alcune recenti ricerche abbiano rilevato un iniziale cambiamento nel loro atteggiamento in favore delle tecnologie stesse.