Se provate a cercare online la parola “antidisciplinarità”, molto probabilmente il motore di ricerca, come al solito un po’ invadente, cercherà di forzarvi la mano suggerendovi in alternativa la parola “interdisciplinarità”. Ma non avete sbagliato a digitare, non sono termini sinonimi. Se insistete trovate qualcosa di interessante, qualcosa che è già stato detto molti anni fa, ma a cui non abbiamo mai prestato davvero attenzione, forse perché allora non ci era possibile fare una esperienza diretta. Ad esempio, oltre 50 anni fa in “Congetture e confutazioni”, Karl Popper affermava che non siamo studiosi di certe materie, ma di certi problemi. Le discipline non esistono in generale, sosteneva, ma soltanto problemi e l’esigenza di risolverli. E arrivava perfino ad affermare che le discipline non fanno bene neanche agli studenti, perché sono fuorvianti. Tutto questo mi è venuto in mente mentre leggevo il libro della scienziata, bioingegnere robotico, Maria Chiara Carrozza “I robot e noi” (Il Mulino, 2017), perché ho trovato la parola “antidisciplinarità”, che nel testo è usata più volte, in modo molto chiaro, diretto ed esplicito, anzi, direi esperienziale. E trovo che questa parola metta in luce molto bene di cosa ha bisogno oggi la scuola. E come la robotica possa aiutare a realizzarlo.
Istruzione, robotica e antidisciplinarità
Scrive la Carrozza: “Credo che oggi la riforma più importante del mondo dell’istruzione riguardi proprio l’antidisciplinarità. Occorre, infatti, ispirare più libertà nell’insegnamento e consentire maggiore audacia nello sconfinare dei propri domini soprattutto nella ricerca e nell’organizzazione del sapere”. Ma come fare? Cosa significa esattamente? Suggerisco di leggere le pagine che descrivono come viene affrontato il compito di pick and lift per costruire una mano artificiale. Un racconto affascinante che mostra un percorso continuo di lavoro comune a cui si aggiungono di volta in volta nuove persone con competenze diverse per contribuire alla soluzione di un problema. Non si tratta solo di creare collegamenti, come nell’interdisciplinarità, ma di lavorare insieme a un progetto collaborativo.
La robotica è antidisciplinare. E se entra nelle scuole riesce a cambiarle, un passo alla volta, da dentro: i docenti si confrontano di più tra loro, comunicano e condividono, studenti di indirizzi diversi lavorano insieme, i tempi delle lezioni si dilatano, gli studenti tornano in laboratorio anche fuori-orario, scuole distanti collaborano a progetti comuni… La robotica ha un potere straordinario, può davvero cambiare la scuola. E non solo. Chi è stato alla RomeCup può raccontarlo. I nostri studenti sono stati più volte campioni del mondo nei mondiali di robotica che si tengono ogni anno in una diversa città del mondo (la prossima edizione della RoboCup a Montreal è la 22ª), dimostrando che c’è una scuola italiana che funziona, anche nell’eccellenza. Quella, però, che non lascia indietro nessuno. Anzi. Uno dei risultati più soddisfacenti della 12ª edizione (16-18 aprile 2018, Università Campus Bio-Medico e Campidoglio) è stato vedere studenti delle superiori, inseriti in percorsi di alternanza scuola-lavoro, collaborare con universitari e ricercatori nella realizzazione di tecnologie robotiche applicate all’agricoltura, all’assistenza e alla riabilitazione. Gli studenti hanno lavorato su problemi concreti, come la realizzazione di una casa domotica per un anziano che vive da solo o lo sviluppo di interfacce innovative per il controllo di carrozzine motorizzate.
Robotica educativa e inclusiva
Con la robotica educativa non solo si ottengono ottimi risultati ma si riescono a coinvolgere nel lavoro comune anche gli studenti con bisogni speciali. Lo abbiamo sperimentato con un progetto pilota realizzato con una scuola romana e nei laboratori quotidiani con le scuole presso il Robotic Center della Palestra dell’Innovazione. Abbiamo allestito il laboratorio con kit robotici adatti a tutte le età, a partire dalla scuola primaria, e abbiamo realizzato i primi manuali per le scuole. I robot facilitano la didattica costruzionista che stimola a inventare, programmare e costruire apparecchi meccatronici (integrazione dell’elettronica con la meccanica) in processi ad alto potenziale multidisciplinare. La robotica educativa può essere usata sia per l’apprendimento scientifico e tecnologico (matematica, fisica, biologia, ingegneria, computing ecc.), sia per discipline come l’arte, la musica e materie umanistiche come la filosofia e, in particolare, l’etica. Permette agli studenti di sviluppare le competenze per la vita (creatività, problem solving, lavoro di squadra ecc.) che giocano un ruolo cruciale per l’educazione del 21° secolo. Permette di ottenere risultati rilevanti con gli studenti che presentano bisogni educativi speciali (BES) o con una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni (DSA, ADHD ecc.). In collaborazione con i ricercatori del Dipartimento di ingegneria informatica automatica e gestionale “Antonio Ruberti” della Sapienza Università di Roma, realizziamo anche laboratori di orientamento universitario verso le discipline scientifiche dedicati agli studenti liceali. I giovani rimangono affascinati dalla programmazione del robot umanoide Nao.
Il potere della scuola di cambiare e migliorare il Paese
Rileggendo un articolo del linguista e professore emerito Tullio De Mauro sulla scuola ho trovato una bella metafora sulla metropolitana nell’ora di punta (“Buona la scuola se eccelle chi insegna“, Internazionale, 19 luglio 2016): “[…] i viaggiatori salgono e scendono, ma di norma non fanno cambiare la linea, i binari, le stazioni, subiscono il funzionamento o le disfunzioni della metro, non incidono in modo determinante su di esse (a meno che non si divertano a tirare il segnale d’allarme come il buon soldato Sc’vèik). Diversamente dai viaggiatori in metropolitana, le persone che stanno nella scuola con tutte le loro diversità fanno la scuola”. E possono cambiarla. Tullio De Mauro ha sempre creduto profondamente nella scuola, nel suo potere di cambiare, nonostante la complessità dei sistemi di istruzione. E ha sempre creduto anche nel potere della scuola di cambiare e migliorare il paese.
Oggi la scuola deve fare i conti anche con l’accelerazione esponenziale dell’evoluzione tecnologica. Deve aiutare i giovani a interpretare la trasformazione digitale per costruire ponti, nuove possibilità per estendere la nostra intelligenza e2 intensificare la nostra empatia, la capacità di dialogo e di vicinanza.
Con la robotica aiutiamo i giovani a essere più “indisciplinati”, cioè più preparati, consapevoli e appassionati.