Formazione personalizzata, più inclusiva, in grado di garantire l’accesso universale a tutti gli studenti. Sono solo alcune fra le caratteristiche dell’istruzione del futuro abilitata dall’Intelligenza artificiale. Una chance per rilanciare la scuola digitale, che anche l’Italia deve saper cogliere. O saranno le nuove generazioni a pagare le conseguenze del nostro ritardo.
La prima volta dell’Intelligenza artificiale
La parola intelligenza è un termine utilizzato e conosciuto da tutti ma che non ha una definizione precisa. La parola deriva dal latino intelligere che significa comprendere. La parola è a sua volta composta dal prefisso inter (“tra”) e da legere (“scegliere, cogliere”): da un punto di vista etimologico, quindi, l’intelligenza è la capacità di selezionare i dati disponibili, riconoscere quelli rilevanti, e collegarli tra loro. Potremmo definire l’intelligenza come la capacità di realizzare fini complessi.
Le basi dell’intelligenza artificiale erano state poste sin dal 1940 da Alan Turing che nel 1942-43 violò i codici di Enigma, la macchina usata dai tedeschi per inviare messaggi segreti cifrati. In realtà, la ricerca sull’intelligenza artificiale è decollata davvero dopo la conferenza del Dartmouth College, negli Stati Uniti, durante l’estate del 1956.
In soli 80 anni la capacità computazionale delle macchine, disponibile sul nostro pianeta, è stata moltiplicata per quasi 100 milioni di miliardi ed è anche grazie a questa, insieme a una disponibilità di dati senza precedenti, che siamo passati da software tradizionali con algoritmi programmati manualmente all’era del deep learning (un sistema di apprendimento e di classificazione basato su reti di neuroni artificiali digitali che consentono a un computer di acquisire soltanto alcune delle capacità del cervello umano) con i primi programmi che surclassano l’uomo, ad esempio nel riconoscimento automatico di oggetti.
Intelligenza artificiale: a che punto siamo
Oggi l’intelligenza artificiale è ovunque, i suoi progressi sono folgoranti. La nostra società, è evidente, non saprebbe più farne a meno; anzi ne diventa ogni istante più dipendente: parliamo e leggiamo di intelligenza artificiale per l’esplorazione spaziale, per la finanza, la produzione, l’agricoltura, i trasporti, l’energia, la sanità, le comunicazioni.
Occorreranno ancora diversi anni prima che gli assistenti virtuali che ormai ogni giorno utilizziamo, ad esempio dialogando con il nostro telefonino, diventino davvero efficienti: oggi queste intelligenze artificiali sono – mi venga passata la semplificazione – solo degli script programmati da informatici, costruiti a partire da scenari prestabiliti dei programmatori.
È con il deep learning che l’intelligenza artificiale si può dire che sia veramente nata ed è grazie a tecnologie come queste che ormai i computer vengono educati più che programmati: oggi la pubblicità mirata rispetto ai nostri gusti e interessi che troviamo su internet e sui social network, le applicazioni che utilizziamo sul nostro cellulare per prenotare un taxi o per ordinare una cena, le auto a guida autonoma, si basano tutte sulla combinazione tra:
- potenza computazionale,
- dati che possono avere a disposizione
- reti neurali del deep learning.
Nell’arco di due secoli, il mondo ha conosciuto tre grandi rivoluzioni tecnologiche ed economiche:
- la prima con le prime fabbriche, la macchina a vapore e la rete ferroviaria;
- la seconda con la nascita dell’aviazione, dell’automobile, dell’elettricità e della telefonia;
- la terza, iniziata intorno agli anni duemila, con l’avvento delle NBIC: nanotecnologie, biotecnologie, informatica e scienze cognitive
L’ingresso nella scuola dei sistemi di AI
Oggi siamo dentro la quarta rivoluzione e l’immensa potenza dell’informatica mette alla nostra portata tecnologie che fino a 50 anni fa avremmo faticato anche soltanto a immaginare. Oggi, se un problema dell’intelligenza artificiale esiste, è un problema di educazione: non si può più parlare di IA senza parlare di scuola, l’istituzione appositamente dedicata allo sviluppo e alla diffusione della conoscenza.
L’educazione è sempre stata una sfida e oggi lo è ancora più che mai. Adesso è impensabile pensare di spegnere internet o di bloccare le reti telefoniche. Allo stesso modo, se si volesse considerare l’intelligenza artificiale come una moda temporanea e, quindi, passeggera, si cadrebbe in un grave errore, perché, già oggi, tornare indietro non è più possibile: la nostra civiltà è già basata sull’intelligenza artificiale e, con il tempo che passa, ne è sempre più dipendente.
È indubbio che il ventesimo secolo sia stato un’epoca che ha avuto una straordinaria accelerazione del ritmo e dell’importanza delle innovazioni. Così come è altrettanto vero che la scuola rappresenti un’eccezione in quanto i suoi metodi, la sua struttura e la sua organizzazione sono rimasti sostanzialmente immutati da più di un secolo fin da quando Hannah Arendt (Hannover, 14 ottobre 1906 – New York, 4 dicembre 1975), nel suo saggio “La crisi dell’istruzione”, spiegava che ogni generazione di bambini era come un’invasione di barbari che gli adulti avevano il compito di civilizzare.
La scuola e la seconda “età delle macchine”
Quella in cui ci troviamo immersi non è una rivoluzione industriale come un’altra. La potenza attuale e quella futura delle tecnologie informatiche promettono e permettono all’uomo di avere poteri quasi illimitati e, se il mondo dell’istruzione si interroga su quali possano essere la formazione e la destinazione dei bambini che si affacciano, o dei ragazzi che già si trovano, sui loro percorsi di studi, non può non tenere conto della direzione che ha preso il mondo.
Anche secondo diversi economisti stiamo entrando in una “seconda età delle macchine”. Se la prima aveva permesso all’uomo di superare i suoi limiti fisici (trasporto e comunicazioni in primis), oggi iniziamo ad entrare in una età in cui le macchine ci permetteranno di oltrepassare i nostri limiti cognitivi.
E se esiste la paura di poter perdere la nostra importanza e il nostro ruolo nella società, può essere rassicurante constatare che oggi non esiste alcuna correlazione tra i livelli di disoccupazione e la robotizzazione delle nostre imprese: in Giappone e in Germania, due dei paesi più automatizzati del mondo, esiste anche la piena occupazione.
Uno degli aspetti spesso sottovalutato dell’intelligenza artificiale è che questa non può modificare il suo grado di attenzione, ovverossia non può distrarsi mentre, ad esempio, si trova a guidare un’autovettura. Ogni anno gli incidenti stradali causano nel mondo circa 1.300.000 morti di cui, una percentuale rilevante, sono dovuti a errori di distrazione.
L’Intelligenza artificiale intorno a noi
L’IA potrà sostituire autisti dei taxi e dei camion, oppure potrà affiancare medici nelle discipline più specializzate poiché, per esempio, potrà analizzare una lastra medica più velocemente e in maniera più precisa di noi umani, anche dopo averne analizzate già molte decine.
Nel luglio 2017 il Rockefeller Institute di New York ha mostrato che l’intelligenza artificiale è 1000 volte più veloce di un genetista di alto livello nell’analisi di uno stesso problema, riguardante ad esempio il più aggressivo dei tumori al cervello.
Se mentre in passato la scuola era importante per lo sviluppo della società, oggi è diventata assolutamente decisiva e il contenuto delle discipline e delle materie necessarie per comprendere il mondo attuale deve essere ripensato: le tecnologie NBIC diventano conoscenze imprescindibili per il nostro tempo. Con le nuove tecnologie, il campo delle possibilità si è ampliato come non era mai successo in tutta la storia dell’umanità.
È proprio l’intelligenza artificiale che potrebbe permetterci di affrontare sfide come:
- creare esperienze di apprendimento personalizzate e su misura
- migliorare l’accessibilità alla formazione, per tutti gli studenti, di qualsiasi classe e provenienza
- tutoring e supporto anche fuori dalle classi e dalle scuole
- aumentare la sicurezza delle informazioni
- ridurre la carenza di investimenti
Molto probabilmente, può essere interessante anche interrogarsi sulla necessità di sviluppare e arricchire nuove competenze, dal momento che leggere, scrivere e memorizzare sono tutte attività che i computer svolgono e svolgeranno sempre meglio di noi. L’intelligenza emotiva e il pensiero creativo, invece, sono certamente tratti distintivi di noi persone.
Innovazione e trasmissione del sapere
La scuola ha la responsabilità di trasmettere la maggior parte dei saperi fondamentali di cui ciascuno ha bisogno per occupare il suo posto nella società: non solo competenze di base (appunto, il leggere e lo scrivere), ma anche tutte le conoscenze utili come la letteratura, la matematica, la storia. L’obiettivo ultimo del sistema scolastico non può essere il sapere in sé ma la capacità di poterlo utilizzare, come scriveva Michel de Montaigne, filosofo francese: “è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”. E non certamente, come racconta François Rabelais nel suo libro Gargantua, quando descrive l’assurda educazione ricevuta dal protagonista: una testa abile sia a imparare interi libri a memoria, che a recitarli al contrario. Con un’evidente utilità reale pari a zero.
La scuola è da sempre, orientativamente dal 3.000 A.C., la soluzione al bisogno di trasmettere, a un grande numero di persone, una conoscenza posseduta da pochi. Ancora oggi utilizziamo la forma della classe (una forma nata nel Medioevo): un gruppo di alunni in una stanza con un insegnante, per poter tramandare il sapere.
Un’aula di cento anni fa è molto simile a quella odierna mentre, se prendessimo una sala operatoria del 1900 e una attuale, sarebbe facile notare che non hanno pressoché nulla in comune: sono certamente diverse le conoscenze mediche, le regole e le leggi che ne governano l’organizzazione, le tecnologie presenti al loro interno.
Certamente non è cambiato il problema della trasmissione del sapere rispetto a un secolo fa, né rispetto a un millennio fa. Ma molto probabilmente può essere utile interrogarsi se il modo e i contenuti utilizzati per trasmetterlo possano o debbano essere resi più attuali. Probabilmente c’è un’impossibilità, da parte dell’aula, di poter tener conto delle diversità personali di carattere e attitudine, di attenzione, di velocità di apprendimento, maturità e interesse.
Scuola digitale, nuovi strumenti per l’insegnante
Forse, fino a oggi, non c’è mai stata una vera alternativa a come è concepita un’aula scolastica e questo modello classico inizia a essere sorpassato. Forse possiamo pensare a una “struttura fisica” differente. Al giorno d’oggi gli insegnanti non possono più essere considerati i soli detentori del sapere, da quando il trasferimento delle nozioni dalla cattedra è stato messo in discussione dalla quantità di risorse oggi disponibili (a una bambina di 6 anni è bastato chiedere, a un assistente vocale, chi avesse inventato il ghiacciolo per imparare che l’invenzione risale al 1905 e si deve a una scoperta casuale da parte di un undicenne di Oakland che lasciò sul davanzale della finestra un bicchiere di acqua e soda con dentro il bastoncino che aveva usato per mescolarle).
Oggi, certamente, gli sviluppi tecnologici sono in grado di fornire agli insegnanti strumenti per poter risultare più efficaci di quanto lo potessero essere anche solo pochi anni fa.
L’intelligenza artificiale viene già utilizzata con successo principalmente in alcuni strumenti che aiutano a sviluppare competenze e sistemi di test. Mentre le soluzioni continuano a maturare, l’idea è che l’IA possa aiutare a colmare lacune di apprendimento e insegnamento per consentire a scuole, insegnanti e studenti di poter fare di più.
Gli strumenti di intelligenza artificiale possono aiutare e, nella realtà, già aiutano a rendere le aule più accessibili, soprattutto per chi parla una lingua differente o per chi ha disabilità visive o uditive.
Presentation Translator, per fare un esempio, è un plug-in gratuito per PowerPoint in grado di generare sottotitoli in tempo reale (in una lingua a scelta) riportando ciò che sta dicendo chi sta presentando.
La creazione di “contenuti intelligenti”, da guide digitalizzate dei libri di testo a strumenti digitali personalizzabili di apprendimento, viene già utilizzata a tutti i livelli, dalle scuole elementari a contesti professionali e aziendali.
Società come Cram101, per esempio, utilizzano l’intelligenza artificiale per strutturare in maniera automatica, a partire da un contenuto come un libro di testo, delle guide “intelligenti” comprendenti riassunti di capitoli, test di valutazione sugli argomenti con domande a singola alternativa (vero/falso) o a scelta multipla, schede di contenuti.
Sono diverse le applicazioni, anche gratuite, per l’apprendimento di lingue straniere o il miglioramento della scrittura che, anche sfruttando meccanismi di gamification, rendono l’esperienza formativa più divertente, rilasciando un punteggio più o meno alto a seconda della bontà degli esercizi svolti.
Il software “Mika” di Carnegie Learning, ad esempio, utilizza funzionalità cognitive e le tecnologie di AI per fornire un tutoraggio personalizzato e feedback in tempo reale agli studenti dalle scuole secondarie, alle matricole universitarie per sanare lacune formative che, altrimenti, dovrebbero seguire corsi di riparazione o di recupero.
Credo che nessun professore possa permettersi di ignorare lo sviluppo dei MOOC (Massive Online Open Course), corsi video online, molto spesso resi disponibili in maniera gratuita: Coursera, una società nata nel 2012 – che nel 2017 ha raccolto 64 milioni di dollari per integrare l’IA nella sua offerta formativa – propone centinaia di corsi provenienti dalle migliori istituzioni (MIT, Stanford, HEC, …).
Il successo che stanno ottenendo è, di fatto, lo stesso successo delle piattaforme di streaming video che utilizziamo a nostro piacimento per vedere film e le nostre serie preferite: i più grandi professori possono essere ascoltati (o riascoltati tutte le volte che vogliamo) nel momento in cui preferiamo, dove vogliamo, anche simultaneamente da decine di migliaia di utilizzatori sparsi per il mondo.
Formazione continua grazie al digitale
Gli algoritmi che selezionano per noi i libri che potenzialmente potrebbero interessarci, o la musica che ci viene suggerita dalla nostra app sul telefonino, non sono nient’altro che un’anticipazione di questa capacità in cui tutto ci verrà proposto seguendo i nostri gusti e le nostre inclinazioni per ottimizzare la nostra soddisfazione.
Le piattaforme dei MOOC, che stanno conoscendo uno sviluppo e un’adozione senza precedenti, vanno nella direzione della formazione continua, vita-natural-durante, di cui tutti riconoscono la necessità (già oggi occorre reinventarsi in continuazione e velocemente) e fanno parte, di fatto, dello sviluppo dell’apprendimento adattivo (adaptive learning), un promettente inizio di personalizzazione dell’istruzione basata sulle nuove tecnologie.
È proprio l’intelligenza artificiale che è in grado di fare la differenza, grazie ad algoritmi capaci di analizzare in maniera minuziosa il comportamento degli alunni di fronte alle lezioni e, come risultato, di adattare le proposte formative per ogni singolo individuo. Strumenti capaci di adattare gli esercizi e i test di verifica alle difficoltà di ogni singolo alunno e di controllarne i tempi e i livelli di apprendimento (anche piattaforme come LinkedIn oggi permettono di eseguire test su competenze che si sostiene di possedere nel proprio CV quasi per poterne accertare la veridicità e, quindi, aumentarne il peso di fronte a potenziali nuovi datori di lavoro).
Sono proprio strumenti adattivi e automatici che potranno essere in grado di liberare tempo agli insegnanti affinché possano dedicarsi ad attività a maggior valore: formarsi continuamente, preparare materiale per lezioni più ricche e più adeguate alle necessità dei propri studenti…
Intelligenza artificiale e tempi di apprendimento
In questo modo l’insegnamento potrà (dovrà?) sviluppare metodi e percorsi appositamente pensati per ciascun alunno: un’evoluzione che sarà paragonabile a quella conosciuta nell’ultimo secolo della produzione di beni e servizi. L’intelligenza artificiale assisterà il docente, anche sapendo incoraggiare l’alunno, saprà prestare attenzione a problemi specifici e saprà gestire il ritmo di apprendimento. Senza stancarsi o “arrendersi”.
Lo sviluppo di piattaforme e agenti conversazionali (bot, chatbot) permetterà la creazione di scenari in cui la formazione sarà costantemente supportata da interazioni simili a quelle che sperimentiamo tra esseri umani, aumentando collaborazione e produttività. Si tratta della stessa evoluzione di cui abbiamo beneficiato con i call center quando sono passati da essere gestiti da persone, utilizzabili in orario d’ufficio, a quando sono diventati utilizzabili 24 ore al giorno, simultaneamente da tutti i possibili fruitori.
L’insegnante e l’assistente (virtuale)
Gli insegnanti dovranno imparare a rapportarsi a questi assistenti virtuali, in grado di creare percorsi di studio personalizzati, per poter permettere a ciascuno di imparare al proprio ritmo e secondo le proprie caratteristiche.
L’esperienza del Professor David Kellermann (https://news.microsoft.com/features/high-tech-for-higher-ed-an-australian-engineering-professor-revamps-student-learning-with-teams/), in Australia, oppure i casi dell’Universidad de Murcia in Spagna, o della Staffordshire University in UK, o del Georgia Tech in USA, raccontano di un approccio unico e personalizzato per gli alunni, di computer in grado di fornire guide e aiuti personalizzati. Raccontano di sistemi che permettono di rimettere poi a disposizione delle stesse università i dati raccolti durante le conversazioni così da poter analizzare inclinazioni e desideri degli alunni per riuscire a creare programmi e servizi innovativi con l’obiettivo di migliorare e arricchire l’esperienza educativa e formativa degli studenti.
In Giappone e Corea sono già diversi i casi in cui robot umanoidi lavorano con gli studenti per lo studio delle lingue straniere permettendo di monitorare errori di pronuncia e utilizzo di parole o verbi errati.
In poco tempo potremmo fare in modo che i bambini possano imparare nozioni di base online tramite i migliori tutorial del mondo, anche a casa, la sera mentre, in classe, verranno fatti quelli che un tempo erano compiti a casa, con professori che vestiranno sempre più un ruolo da coach incaricato di seguire gli allievi.
Intelligenza artificiale, vantaggi per gli studenti
L’istruzione superiore potrà essere condotta a distanza, con “istruttori superstar” che insegneranno, tramite le loro lezioni, a milioni di persone in tutto il mondo (così come viene fatto già oggi quando scegliamo un cinema o un teatro per seguire il nostro attore o la nostra attrice preferita; acquistiamo l’ultimo libro dello scrittore che vogliamo continuare a leggere; andiamo a vedere i TED Talks di Simon Sinek). Gli insegnanti diventeranno come coordinatori, in grado di accertarsi se l’alunno stia seguendo e svolgendo in maniera adeguata il programma prescritto.
Algoritmi e tecnologie possono e potranno essere utili nel proporre e guidare le lezioni, nell’indirizzare decisioni, ma non potranno eseguire tutte le attività legate alla formazione.
A margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in una conferenza internazionale dedicata al futuro dell’intelligenza artificiale nell’educazione, l’UNESCO (l’Organizzazione dell’ONU per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) ha sottolineato come queste tecnologie possano aiutare nel raggiungere l’obiettivo di ridurre le barriere di accesso alla conoscenza e possano migliorare e facilitare l’apprendimento.
Intelligenza artificiale per la scuola del futuro
Tecnologie come Skype Translator, in grado di sfruttare un traduttore vocale di 10 lingue e un traduttore testuale di 60, sono un ottimo esempio di come si possa abbattere una barriera come quella linguistica. L’esperienza della Dhour Shweir Public Secondary School in Libano ne è un esempio concreto e significativo.
Credo sia fondamentale aumentare la considerazione per la scuola e i suoi obiettivi educativi. Ma la nostra società, per il bene del suo futuro, non può non credere a questo tsunami tecnologico: deve prepararsi in maniera adeguata. Questi temi potrebbero essere una delle conversazioni più importanti del nostro tempo e il rischio di non approfittare dei benefici della conoscenza dell’intelligenza artificiale sarebbe imperdonabile e troppo grande per le future generazioni, soprattutto per le classi meno fortunate.
Tecnologia contro il gap educativo
Questo è anche il motivo per cui l’accesso a queste tecnologie deve il più possibile essere reso democratico altrimenti il digitale rischia di creare un fossato che non sarà troppo diverso da quello che cinque secoli fa separava un letterato parigino da un contadino che viveva in una campagna remota.
Affermare fin da subito che viviamo in un mondo in rapido cambiamento, in cui la tecnologia è una delle influenze più dirompenti sulla nostra società, sarebbe stato un esercizio ovvio e scontato. L’istruzione non è (e non potrebbe essere) immune alle crescenti influenze della tecnologia: l’IA sta per potenziare e arricchire, attraverso applicazioni sempre più intelligenti, sia i professori che gli studenti.
Se, forse, la più grande sfida per gli insegnanti sarà quella di non aver timore della tecnologia, nei prossimi anni sarà fondamentale che la scuola non solo utilizzi l’intelligenza artificiale e quanto può essere utile al migliorare l’educazione e il percorso formativo dei giovani; ma educhi anche le nuove generazioni a conoscerne il funzionamento di base e a come si potrà lavorare e convivere con essa.
L’intelligenza biologica non morirà con quella artificiale, ma anzi sarà proprio quest’ultima a fornirci lo stimolo per esaltare sfumature della nostra capacità delle quali oggi, potenzialmente, non abbiamo ancora idea.