Mentre ci si interroga su quanto dureranno gli effetti del Covid – una domanda che pesa come un macigno sul nostro futuro, ma al momento non abbiamo certezze, dobbiamo aspettare con pazienza la risposta degli esperti – c’è un’altra questione che vorrei porre. Non so se sia davvero nuova, però non ne trovo traccia nel dibattito pubblico: quali sono gli effetti della “long infodemia“? Quali conseguenze avrà sul lungo periodo la “circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”? [Treccani, neologismi 2020].
La disinformazione sta vincendo, ecco perché tutti i rimedi falliscono
Contrastare fake news e pseudo scienza: come fare?
Al momento, per contrastare la diffusione delle notizie false e della pseudo scienza si stanno cercando soprattutto soluzioni sul breve periodo. E tanto stiamo facendo anche noi in collaborazione con Pagella Politica e Facta. Ma sappiamo tutti, per esperienza più o meno diretta, che contrastare una diceria o una maldicenza è un’impresa impossibile, perché ciò che è falso, se è travestito da verosimile, è come l’erba cattiva, attecchisce ovunque. Come fare allora? In genere non mi piace sollevare problemi senza suggerire soluzioni. Ma in questo caso la questione è molto complessa, delicata e con contorni ancora poco definiti. Per affrontarla però abbiamo un asso nella manica, a portata di mano: la scuola.
Da quando è scoppiata la pandemia ho spesso ragionato di scuola, ma come tutti mi sono concentrata sul problema del distanziamento fisico e della didattica a distanza. Ora da qualche tempo mi rendo conto che la scuola è una delle questioni più insidiose, non solo per la complessità stessa dei sistemi di istruzione, ma soprattutto per una serie di trappole cognitive che ci tolgono lucidità di pensiero. Faccio un esempio molto concreto. Con la necessità di costruire lezioni online la media education è tornata un tema centrale: vogliamo aiutare giovani a sviluppare il senso critico necessario a comprendere correttamente i contenuti veicolati dai mezzi d’informazione, dai social network ai mass media. In questa visione la scuola rimane una sorta di “contenitore” che si può riempire a piacimento, inserendo nuovi temi e strumenti. In realtà la scuola stessa è un “medium”, non solo è la più grande infrastruttura sociale del paese, ma è anche la più potente emittente di servizio pubblico.
Fake news, se la scuola rinuncia a insegnarci il pensiero critico
La scuola contro l’infodemia
Si è appena conclusa la trasmissione “Amici” di Maria De Filippi, registrando un nuovo successo di ascolti: oltre 6 milioni di telespettatori con un share che non è mai sceso oltre il 26 per cento. Ci sembrano numeri straordinari. Ma non è nulla rispetto alla scuola. Abbiamo oltre 8 milioni di studenti e un milione di docenti. Ogni giorno la scuola comunica con gli alunni, con le famiglie, con la comunità educante… non scende mai sotto lo share del 50 per cento. Parla quotidianamente alla metà della popolazione italiana, 30 milioni di persone. Allora perché non la usiamo come emittente di comunicazione sana contro la infodemia? Quando pensiamo a investimenti sulla scuola, ragioniamo soprattutto di risorse, di fondi da destinare all’edilizia, ai docenti, al recupero ecc. Ma quante volte ci fermiamo a riflettere veramente sul ruolo della scuola, sulla sua funzione per lo sviluppo del paese?
Il ruolo della scuola per una corretta informazione
Ancora un esempio e un dato: abbiamo proposto un questionario esplorativo a 4.000 studenti delle superiori che hanno partecipato al progetto Fattore J promosso con Janssen Italia per conoscere il loro pensiero sulla scienza e il grado di fiducia riposto su medici, scienziati e ricercatori. Abbiamo inserito anche qualche domanda sulla pandemia e una in particolare riguardava lo stile di vita durante e dopo il lockdown. I giovani hanno risposto di avere modificato i propri comportamenti basandosi soprattutto sulle linee guida ufficiali, seguite dai suggerimenti dei familiari e dalle opinioni di esperti. Solo all’ultimo posto tra i criteri di riferimento i giovani hanno indicato i consigli dei docenti, appena prima delle opinioni condivise sui social, proprio in fondo alla classifica. Il dato non deve stupirci, perché a scuola in genere non si parla di salute.
La comunità scolastica non è attrezzata al riconoscimento precoce del disagio e della fragilità e le competenze per la vita non sono adeguatamente integrate negli obiettivi di apprendimento, manca perfino un’alfabetizzazione emotiva. La scuola fa ancora fatica a metabolizzare come la salute sia uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità. Eppure durante il lockdown la scuola avrebbe potuto svolgere un ruolo strategico nel diffondere notizie sane e comportamenti corretti, proprio mentre entrava nelle case con la didattica a distanza. Avrebbe potuto portare nelle famiglie quell’informazione semplice e rassicurante che è mancata nei talk show televisivi. Eppure nessuno ha pensato alla scuola come emittente, come un vero e proprio medium.
Fattore J: l’alfabetizzazione emotiva sulla salute
Con Fattore J, esperienza pilota per l’alfabetizzazione emotiva sulla salute, e con altri progetti in corso come Ambizione Italia per la scuola, OpenSpace o Social Hosting Hub, stiamo cercando di dare vita insieme alle scuole a un’originale network di hub formativi diffusi sul territorio nazionale, che coinvolgiamo nei diversi progetti come “emittenti” o “ripetitori” di conoscenza.
Pensiamo che alcune sfide cruciali del nostro tempo, come la trasformazione digitale, si possono affrontare in modo inclusivo e sostenibile solo coinvolgendo la scuola con un ruolo potenziato di emittente pubblica. Contro l’infodemia servono gli anticorpi della conoscenza che solo la scuola può produrre.