Ci sono diverse riflessioni post-pandemiche che sottolineano come il livello degli apprendimenti si sia fortemente abbassato a causa della didattica a distanza (poi diventata didattica digitale integrata): lo sottolinea l’Invalsi, che nel frattempo si è premurato di elaborare anche il concetto di dispersione implicita, lo sottolinea la Fondazione Giovanni Agnelli, lo dice la fondazione Cariplo.
Per avere un’idea basta fare una rapida ricerca in rete e provare a navigare fra i tantissimi contributi.
Tuttavia, i dati non sono sempre così ovvi, come li si vuol fare apparire.
Su due aspetti di contesto però occorre soffermarsi prima di entrare nel merito del problema educativo:
- il distanziamento sociale ha accresciuto le insicurezze relazionali degli studenti;
- la distribuzione delle possibilità per la realizzazione della didattica a distanza (dunque la presenza di device [smartphone, pc, tablet …] e la copertura delle reti) è ancora oggi un fattore di forte differenziazione sociale.
Anche in questo caso non mancano articoli in merito, vorrei però uscire dal mantra comune e provare una riflessione più aderente ai dati che abbiamo e che provengono direttamente dalla Scuola, ovvero dal rapporto Ocse-Pisa 2022 sui dati degli apprendimenti.
La lettura delle indagini internazionali ci dice che la crisi degli apprendimenti in generale non è un fenomeno da legare forzatamente alla pandemia e alla gestione del digitale, ma è un fenomeno in corso da diversi anni.
L’importanza dei dati Ocse-Pisa per capire la situazione
Le rilevazioni Ocse-Pisa del 2022 ci danno un risultato chiaro: non è solo l’Italia a perdere 15-16 punti di media, ma è l’intero blocco dei paesi europei, con alcuni addentellati non europei, a fornire prestazioni più basse rispetto al 2018:
Vediamo un esempio classico di commento dei dati:
L’Asia in generale, con Singapore in testa con 575 punti, si distingue ancora una volta per i risultati ottenuti dai suoi studenti. Seguono Macao (552), Taiwan (547), Hong Kong (540), Giappone (536) e Corea del Sud (527).
Al settimo e ottavo posto subentra l’Europa con l’Estonia (510) e la Svizzera (508), seguite dal Canada (497) e al decimo posto i Paesi Bassi (493). La Finlandia, che nelle passate edizioni di Pisa si è guadagnata il ruolo di modello educativo del Vecchio Continente, ha subito un duro crollo. Anche Germania, Francia, Italia, Spagna e Polonia hanno visto un peggioramento dei loro risultati. (FONTE: EURONEWS)
Proviamo ad andare oltre la generalizzazione: in realtà l’Italia ha ottenuto risultati più alti della media Ocse in tutte e tre le sezioni (matematica, lettura, scienze)
Ma soprattutto è fra le nazioni che presenta
(a) un miglioramento progressivo dal 2015 a oggi nelle rilevazioni di matematica, relativo alle prestazioni più basse;
(b) un minore tasso di dispersione rispetto alle disparità di genere e di condizioni economiche, sintomo che si attua una buona inclusione
Non è un caso che, come già detto in tempi passati (si veda un mio contributo su Articolo33 7-8 del 2020, E l’Italia tornò su) l’Italia resta il Paese con buoni risultati dove si fa più integrazione e il benessere scolastico è percepito meglio.
Certo, poi ci sono molti punti da migliorare, ma l’analisi dettagliata non è il punto di questa riflessione e la lascio all’Invalsi, per ora.
Le conseguenze della semplificazione del sistema scolastico
- Tre riflessioni:
- la prima sulla Finlandia, che non può essere un modello come tanti si sforzano di propugnare, visto che i risultati continuano a testimoniare l’inefficacia (in termini Ocse, beninteso) del sistema. Lo dimostra anche la Francia, che sta sperimentando un sistema, come ad Helsinki, di scelta delle materie, che porta molti a escludere la matematica, e che sta pagando duramente in questa visione politica. La prospettiva è quella di un Paese con un forte analfabetismo matematico.
- la seconda sulla Germania, che registra un calo fortissimo, anche di 21 punti. Attenzione perché la Germania è nazione alla quale si ispirano molti legislatori italiani bipartisan, per la realizzazione del doppio-canale, selettivo ed orientativo. Vi ricorda qualcosa? A me le ultime micro-riforme, piccole ma altamente tossiche, volute dal ministro Giuseppe Valditara (docente orientatore e “filiera” tecnico-professionale).
- la terza sul senso complessivo da dare alla Scuola: come possiamo stupirci che i risultati in discipline come matematica e comprensione del testo, o anche scienze, siano insoddisfacenti se non si fa altro che spingere verso una semplificazione del sistema? Se si continua a spingere sull’autonomia differenziata come strumento di definanziamento statale del pubblico per un sistema a geografia variabile ed a diritti variabili?
Dimostrato che l’analisi di Ocse si sbaglia dove attribuisce il “crollo delle prestazioni” ai due anni di pandemia, lo dimostra il primo grafico, che testimonia un calo progressivo delle ultime tre rilevazioni, è bene investigare in modo più “laico”, senza la furia della tirannia dei numeri.
La visione della scuola: formazione o avviamento al lavoro?
Se è falso quindi pensare che sia un problema di didattica a distanza, bisogna pensare che forse c’è un problema molto più profondo che riguarda la visione della scuola, che oggi si vuole competitiva, formativa ma solo per l’avviamento subordinato al mondo del lavoro.
La “filiera” tecnico-professionale prevede un taglio di ore sulle materie generalistiche, per puntare a rafforzare, su indicazione delle Regioni, materie di indirizzo specialistico. Quindi, con questo piano lungimirante, si pensa di poter migliorare i dati delle rilevazioni internazionali? Si pensa di fornire agli studenti gli strumenti idonei per una lettura critica e propositiva della società?
Ansia e dipendenza digitale: i nuovi problemi degli studenti
Aggiungo invece che un dato Ocse deve farci riflettere: gli studenti mostrano sempre più ansia nel misurarsi con la conoscenza e dipendenza dalle strumentazioni digitali, che limitano le relazioni umane e trasformano la conoscenza in nozione:
Ocse ci mostra un modello scolastico che produce sistematicamente impoverimento culturale e sociale, rafforzando un modello sociale che diversifica e cristallizza privilegi, la scuola che orienta alla schiavitù culturale.
Se proprio vogliamo dare valore ai dati Ocse-Pisa, non come impulso pedagogico, ma come indicatore sociale, allora è necessario leggerli con attenzione e preoccupazione: la politica oggi propugna un abbandono progressivo della conoscenza verso le nozioni, punta sul rafforzamento dell’individualismo competitivo e non della collettività cooperante, divide, seleziona, esclude.
Questa è la nostra idea di scuola?