Sembra ormai assodato che a settembre si tornerà a scuola in presenza e la didattica assistita dalle tecnologie on-line verrà rinchiusa negli armadi per dare avvio a numerosi “élevage de poussière” neuronali. Avrà la possibilità di fare capolino, marginalmente, nelle scuole secondarie di secondo grado, mentre in alcuni corsi universitari verrà offerta come un’alternativa temporanea.
Al momento, nonostante il gran lavoro fatto in questi mesi da molti docenti, la larga maggioranza degli addetti ai lavori si sta concentrando su come attuare il distanziamento sociale nei luoghi fisici, in pochissimi si curano di stimolare una riflessione sul ruolo che potrebbe avere la didattica on-line nel migliorare i processi educativi e nella loro riprogettazione.
L’unica certezza è che in tema di didattica a distanza tanto ancora si potrebbe fare, ma poco si può realizzare se non si ha il supporto di un quadro normativo chiaro e incentivante e se non si chiarisce il modello economico in cui si “devono” muovere i contesti educativi.
Questo è anche uno dei temi emersi con più forza dal dibattito aperto su “Transformations of learning ecosystems induced by COVID-19: reflections and future perspectives” organizzato da ASLERD e a cui hanno partecipato esperti provenienti da tutta Europa, operanti nella scuola, nell’università, nella ricerca.
Il dibattito sulle trasformazioni della didattica nella pandemia
Mentre molti docenti di tutti gli ordini e gradi nutrono grande soddisfazione per la decisione di accantonare la didattica a distanza e non vogliono sentire parlare di corsi di formazione/aggiornamento (che invece sarebbero utilissimi per consolidare le esperienze fatte e per colmare il gap progettuale, metodologico e tecnologico che in molti hanno evidenziato durante questo periodo di forzata riattivazione sinaptica ed esplorazione di zone digitali più o meno prossimali) è stato molto interessante, nel corso del dibattito, constatare come tutti, indipendentemente dalla nazionalità e dal ruolo, abbiano sentito fortissima la necessità di raccontarsi come protagonisti di un’esperienza che ovviamente resterà indelebile per tutti coloro che l’hanno vissuta per poi, solo in un secondo momento, passare dalla narrazione all’analisi e, quindi, alla proposta.
Superato l’impatto iniziale, è emerso come il maggiore punto di forza sia da identificarsi nella voglia di impegnarsi, di essere solidali che ha caratterizzato gli individui: Monica Divitini ha sottolineato come questo concetto possa essere riassunto da un termine norvegese, “dugnad“, che indica quasi un bisogno impellente di fare qualcosa per gli altri, sentirsi parte di una comunità e fornire risposte ai bisogni che essa esprime.
Tra i punti di debolezza, sorprendentemente riscontrati in tutta Europa, la difficoltà di connessione alla rete (seppure con intensità diverse) e il potenziale digital divide che ne può derivare. Tra i pericoli, l’idea diffusa che le tecnologie possano tornare utili solo in caso di emergenza, come pure il sentirsi appagato nel poter restare protetto all’interno della propria “comfort zone” tecnologica.
La pigrizia tecnologica, infatti, è il peggior nemico della capacità di rimettere in discussione l’esistente. Durante il periodo del Covid in molti hanno cominciato a riflettere su ciò che fosse davvero rilevante per la propria vita, perché ciò non si potrebbe fare anche con i processi educativi: cosa dei processi e dei relativi setting che i secoli scorsi ci hanno consegnato è davvero essenziale e “immodificabile”? A cosa non si può rinunciare per il benessere di tutti gli attori che danno vita a tali processi e, in particolare, per quello degli studenti che ne dovrebbero trarre il maggiore vantaggio? Come fare affinché il “dugnad” non lasci il campo agli egoismi di istituzioni, docenti, genitori?
A dire degli esperti, il futuro dovrebbe essere connotato dal “blended” o meglio da una “presenza discontinua“; sembra che possa colorarsi del grigio dell’incertezza al punto che sarebbe opportuno abbracciare quello che molti anni fa definii il design per l’imperfezione, il cui necessario corollario è l’acquisizione da parte di tutti di un adeguato livello di competenza nel metadesign.
Tale competenza va a braccetto con la capacità di autogestirsi (self-regulation) e con il rendere gli individui “atti a”, ovvero con il cosiddetto “empowerment”.
Cosa aspettarsi per le tecnologie didattiche
Inevitabilmente percorsi basati sulla capacità di autogestirsi non potranno che aprire le porte a una didattica per competenze che, prima o poi, dovrà affiancare, se non sostituire, quella basata sui contenuti, ancora oggi dominante in tutti i livelli del percorso di apprendimento di un individuo. È molto probabile che se questa transizione avrà mai luogo si apriranno anche le porte alle microcertificazioni (open badge e blockchain).
Cosa aspettarsi per le tecnologie didattiche? Come ha dimostrato questo periodo, massima semplicità, praticità, flessibilità, interoperabilità.
La lezione è stata molto dura per chi nel passato si è occupato di sviluppare e diffondere le cosiddette piattaforme didattiche e, altresì, per chi per lungo tempo ha finanziato progetti di sviluppo tecnologico (a livello europeo, nazionale e regionale) per poi chiudere i rubinetti senza comprendere che: le tecnologie evolvono rapidamente e non ci si può limitare alla sola realizzazione di studi e, quando va bene, prototipi di futuribili applicazioni.
Nell’emergenza si è ricorsi agli ambienti per il lavoro collaborativo (mascherati da ambienti didattici) e ai social. Per certi versi non era difficile prevederlo e in tempi non sospetti (ICWL 2016) mi accadde di preconizzare la “vittoria” di Google classroom, anche se all’epoca non erano stati ancora sviluppati né Meet né tanti altri moduli ora disponibili. La ricerca e l’accademia in Europa devono imparare a essere più vicine ai bisogni della gente e a collaborare. Non disponendo della concretezza e dei capitali di un mercato come quello americano è l’unico modo per generare impatto.
Ma forse è già tardi: è una storia che, ormai, si ripete da almeno quarant’anni.
Il concorso Aslerd
Non è tardi invece per far emergere e valorizzare l’impegno dei tanti docenti che nel periodo emergenziale sono andati oltre il garantire la continuità didattica e hanno cercato di immaginare una didattica altra, in grado di resistere anche in un prossimo futuro, magari integrandosi a quella in presenza.
Come associazione abbiamo sentito l’esigenza di ringraziare coloro che sono andati “oltre” – per quello che consideriamo un impegno sociale e culturale non necessariamente dovuto – e per questo abbiamo deciso di dedicare loro l’ International Teacher Design Contest: “Beyond the Emergency: proposals for future learning”, di cui riportiamo di seguito l’introduzione al bando.
I limitati mezzi di cui l’ASLERD dispone non ci hanno permesso di mettere a disposizione premi di maggiore entità, ma è pur sempre più di quanto viene riconosciuto in media agli animatori digitali, o alle funzioni strumentali, per l’enorme sforzo profuso.
“Il periodo di chiusura forzata della scuola ha costretto tutti a confrontarsi con la didattica on-line che, grazie alle TIC e nonostante i problemi emersi, ha assicurato la continuità didattica. Per molti si è trattato solo di una didattica emergenziale, per altri è stata, invece, l’occasione per riflettere e ripensare le modalità con cui condurre la didattica, anche nel prossimo futuro.
Questo concorso ha lo scopo di far emergere e premiare alcune tra le pratiche didatticamente più efficaci che sono state progettate, e possibilmente sperimentate, durante il lock-down e che si caratterizzano, tra l’altro, per un’elevata riproducibilità e, quindi, per il loro potenziale impatto.
Il bando non pone alcun vincolo sulla tipologia delle pratiche didattiche se non quello che siano realizzabili on-line o in configurazione mista (blended), né pone alcun vincolo sull’ordine e il grado scolastico. E’ anche consentita una partecipazione di gruppo, perché ritenuta in grado di stimolare l’interazione multidisciplinare.
Sono previsti tre premi: 1000 € per il vincitore e 500 € per i secondi e terzi classificati, oltre alla possibilità di presentare il proprio”.