In Italia la sfida della trasformazione digitale si gioca soprattutto su due fronti, Pmi e scuola. In genere chi si occupa di un settore sa poco di quello che succede nell’altro, salvo le “invasioni di campo” attuate dall’alternanza scuola-lavoro. Eppure la connessione è strettissima.
Il Rapporto sulla conoscenza dell’Istat
Lo rivela il primo “Rapporto sulla conoscenza” dell’Istat, nel capitolo “L’istruzione nel tessuto delle micro e piccole imprese con dipendenti”. Parliamo di oltre 4 milioni e mezzo di occupati. Si scopre che il livello medio di istruzione degli imprenditori è assai modesto, con una media di 11,4 anni di frequenza scolastica per ognuno. In altre parole non hanno mai conseguito il diploma. I dipendenti sono ancora meno scolarizzati, con una media di 10,8 anni di frequenza tra i banchi. È con questo bagaglio di conoscenze che gli imprenditori affrontano i grandi cambiamenti e la trasformazione digitale dell’intero paese. Non parliamo di competenze digitali più o meno sofisticate o di e-leadership, ma proprio di cultura di base, di capacità di capire cosa succede intorno a noi e di interpretare informazioni e notizie. Dal livello di istruzione di imprenditori e dipendenti dipendono sopravvivenza, performance e crescita delle imprese. E il rapporto fornisce numeri precisi, che mettono in correlazione anni di istruzione con performance innovative. Questi temi, che da sempre sono stati al centro dell’impegno civile del professore Tullio De Mauro, oggi grazie alla diversa capacità degli analisti di elaborare i grandi dati si arricchiscono di una nuova evidenza. Una sorta di “effetto fluo” che ci costringe a vedere quello che abbiamo sempre avuto davanti, senza però mai porvi l’attenzione necessaria.
Tutti i lavori sono sempre più digitali
Lo stesso effetto “evidenziatore” lo percepiamo leggendo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio delle competenze digitali, che ci racconta che nelle professioni, nuove e tradizionali, la componente digitale pesa sempre di più. “Non basta più guardare al gap di specialisti ICT, ora bisogna anche guardare alla capacità di rispondere alla crescente domanda di abilità (skill) digitali nelle professioni tradizionali”. E non solo. Il rapporto ci dice che “Più competenze digitali vuol dire anche più competenze soft”, che sono quelle traversali, come la capacità di adattarsi ai cambiamenti, il problem solving, il pensiero creativo ecc. Per arrivare all’evidenza di questa conclusione sono stati elaborati più di 450mila annunci di lavoro per monitorare 239 professioni. Non è più un’opinione, ormai è un dato, da evidenziare. Con un evidenziatore fluo.
Giovani e occupazione, cosa deve fare la scuola
Quando alcuni fa si è cominciato a parlare in modo più sistematico di “scollamento” tra scuola e mercato del lavoro, abbiamo chiesto al professore Tullio De Mauro perché la scuola non riuscisse ad aiutare i giovani a trovare un’occupazione. E De Mauro ha prontamente smontato la nostra domanda: “È questo che la scuola deve fare?”
Da quella bella conversazione, ancora inedita, con il nostro direttore scientifico Alfonso Molina, non ho smesso di ragionare sull’interrogativo posto a De Mauro e sulla sua risposta, pronta, senza esitazione, ma apparentemente paradossale. Le recenti indagini ci aiutano a capire il senso di quella risposta. La cosa più importante che la scuola deve garantire a tutti è l’istruzione. Se la scuola è di qualità e ed è inclusiva si arriva anche un livello alto di istruzione, perché solo questo ci garantisce la capacità di partecipare, di relazionarci, di capire e di interagire. E di acquisire in tempi brevi le competenze e le abilità che di volta in volta sono più strategiche, in qualsiasi contesto, non solo sul lavoro.
La grande sfida di oggi, nella quale possiamo dare un contributo anche come Fondazione Mondo Digitale, è quella di aiutare la scuola a preparare i giovani a orientarsi nel cambiamento, per interpretare e governare le trasformazioni e gestire la complessità crescente. Abbiamo creato ambienti didattici innovativi per integrare le conoscenze codificate, quelle che fornisce soprattutto la scuola, con le competenze, hard e soft, gli aspetti caratteriali e i valori fondamentali della convivenza.
Bambini, auto-imprenditorialità e trasformazione digitale
Mentre scrivo, a lezioni scolastiche ormai finite, alla Palestra dell’Innovazione sono in corso ben tre diversi campi estivi. In quello dedicato a bambine e bambini abbiamo inserito un mini percorso sperimentale di auto imprenditorialità. In una settimana i piccoli imprenditori imparano a lavorare in squadra, creano un’impresa, scelgono il nome, disegnano il logo, e realizzato il primo prodotto, un porta cellulare da tavolo personalizzato, stampato e tagliato con le macchine della fabbricazione digitale. A fine settimana portano con sé più prototipi da regalare a familiari e amici e un bagaglio, piccolo ma prezioso, di conoscenze da alimentare.
Come creare processi efficienti che integrino al meglio risorse umane, tecnologiche ed economiche? Nell’Immersive Summer Camp, progettato insieme a Tim, i ragazzi si confrontano con la trasformazione digitale. Ma prima di immergersi nei diversi ambienti (Fab Lab, IoT Lab e Immersive Lab) imparano a lavorare in squadra e a condividere conoscenze e competenze con due diverse metodologie “analogiche”, MTA Learning e Lego Serious Play.
Con l’aiuto della Fondazione Golinelli abbiamo lanciato la prima edizione della Biomaking Summer School. Un piccolo gruppo di pionieri tra 14 e 17 anni oltre a sperimentare tecniche innovative di genetica, usate nei laboratori di ricerca più avanzati, sta costruendo con le proprie mani uno degli strumenti che ha rivoluzionato la genetica, il termociclatore.
Giorno dopo giorno cerchiamo così di realizzare quello che Tullio De Mauro scriveva in un articolo su Internazionale: “La scuola rivoluzionaria è quella che insegna a risolvere problemi nuovi“.