Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, per quanto attiene ai temi legati alla Scuola, dovrebbe far perno sull’educazione digitale, non solo, quindi, sulla didattica online come mera questione “logistica” ma sulla scuola e sulla società digitale.
Per affrontare anni difficili e di forte competizione sul mercato del lavoro, c’è infatti bisogno di una scuola e di una società molto più capaci di formare i docenti e gli studenti su come si vive, su come ci si relaziona, su come si lavora, su come si studia in rete.
Si tratta di un grande investimento, che dovrebbe caratterizzare l’intero Recovery Plan con un nome più significativo: NextGenerationIt.
Il dibattito sulla didattica on line e la sua efficacia devono insomma essere parti di un tema più ampio, quello delineato, ad esempio, nel Quadro di riferimento per “L’educazione in un mondo connesso. Edizione 2020” per le scuole del Regno Unito, ad opera del Consiglio per la sicurezza di internet (UKCIS) e che pubblichiamo in traduzione italiana per assicurare l’ampia circolazione che merita.
La didattica a distanza, se non viene calata in un contesto di cultura digitale adeguato, finisce infatti per provocare il paradosso della chiusura e della irritazione che stiamo vedendo negli studenti delle medie superiori.
Come il Quadro, NextGenerationIt deve investire la formazione nelle scuole dai 4 anni ai 18: un impegno molto vasto, ma indilazionabile: dobbiamo riconoscere l’urgenza del problema dell’inadeguatezza della preparazione dei nostri insegnanti[1] e dei nostri studenti rispetto agli sviluppi del mondo digitale che li aspetta ed affrontarla con risorse e strumenti adeguati.
Il paradosso della classe virtuale: la testimonianza diretta
I giovani rientrano di diritto tra le principali categorie penalizzate dalla pandemia in corso: per effetto delle sospensioni delle attività scolastiche in presenza e del ricorso alla didattica online hanno perduto contatto tra di loro e con i docenti, e questo ha innescato una serie di conseguenze che agli adulti e ai decisori rischiano di sfuggire. Per questo ho trovato molto interessante la testimonianza di una studentessa delle superiori che, partecipando alla trasmissione Rai Radio3 del 15 gennaio, ha evidenziato come la didattica a distanza – al di là del dibattito sulla sua efficacia – abbia trasformato la qualità delle relazioni tra gli studenti. Ciò ha implicazioni rilevanti sia sulla vita scolastica, sia sulla vita extrascolastica, che di nuovo ruota intorno ai gruppi sociali che gravitano sulla scuola.
Per effetto del lockdown e del ricorso predominante all’interazione via social ed in particolare via whatsapp, il gruppo costituito dalla classe si è trasformato in modo radicale, e così risulta stravolto il tessuto emotivo-relazionale che connetteva l’intero gruppo.
I cambiamenti delle dinamiche interpersonali e di gruppo
Per capire che cosa succede, occorre osservare i cambiamenti delle dinamiche interpersonali e di quelle di gruppo della classe e tra le classi, quando esse si possono incontrare fuori orario scolastico e negli intervalli o nelle attività comuni di istituto. Quei momenti e quelle interazioni fisiche sono alla base delle dinamiche emotive e trasformano continuamente le relazioni interpersonali, creando momenti di confronto, di tensione, di incontro, di avvicinamento, di slancio e di frustrazione, la cui alternanza e la cui fluidità contribuiscono a mantenere in una qualche forma di equilibrio le dinamiche personali e di gruppo. Si pensi all’importanza del gesto, del tono di voce, dell’espressione degli occhi ai fini della comprensione di una frase o di una battuta. Questi ammiccamenti sono componente fondamentale del linguaggio giovanile, rispetto al quale gli emoticon appaiono un artificioso statico sostituto. L’equilibrio dinamico, che solo la comunicazione interpersonale può assicurare, è indispensabile anche al buon funzionamento della didattica, poiché investe la relazione con gli insegnanti in modo profondo, assegnando loro in modo esplicito o implicito un ruolo di compensazione e quindi spesso anche di risoluzione dei conflitti potenziali, delle invidie attraverso l’apertura su nuove interpretazioni e nuovi significati che possono contribuire in misura significativa ad inibire anche le aggressività più irriducibili.
La conflittualità digitale: il gruppo come “eco chamber”
La “riduzione” della classe ad arena digitale ha creato un livello di conflittualità e di aggressività che nessuno degli studenti si aspettava. Erano convinti che l’impatto dei provvedimenti restrittivi e le limitazioni delle interazioni fisiche creassero le condizioni per la crescita di una nuova solidarietà all’interno del gruppo, capace di attenuare e addirittura di risolvere vecchi conflitti e risentimenti. Invece è stato il contrario. L’aggressività reciproca è aumentata, così l’intolleranza e l’esasperazione dei toni e delle asserzioni è cresciuta invece di diminuire.
L’esempio evidenziato dalla studentessa romana nella trasmissione radiofonica, potrebbe sembrare una ulteriore conferma delle dinamiche che si creano nelle eco chamber, ampiamente analizzate e discusse a proposito dei rischi che i social network presentano, quando la selezione effettuata dagli algoritmi ti propone contenuti e relazioni “graditi”, in base a ciò che essi “sanno” di te dei tuoi gusti, delle persone che frequenti etc. Questa selezione alimenterà una “omofilia” del gruppo, ossia una chiusura verso l’esterno. Ciò aumenterà il rischio che il gruppo si trasformi in una eco chamber, ossia in un luogo dove si ripetono le parole d’ordine, gli slogan, le idee sempre più estreme, perché coltivate e ribadite in un ambiente senza contraddittorio, perché motivate dalla volontà di svolgere un ruolo di guida all’interno del gruppo.
Ma questa prima impressione di analogia tra eco chamber e la radicalizzazione delle tensioni nella classe virtuale della scuola, denunciato dalla nostra studentessa, è forse fuorviante.
È probabile, invece, che pur essendovi dinamiche di gruppo analoghe, le condizioni del contesto risultino diverse.
L’algoritmo del social network tende a creare gruppi omogenei, nei quali le posizioni già schierate verrebbero ulteriormente radicalizzate nei confronti dell’esterno, ossia di chi la pensa diversamente. Ne segue che, se da un lato il social network darebbe voce a chi non l’aveva, svolgendo una funzione di allargamento potenziale della democrazia, dall’altro lato esso renderebbe meno facile la comunicazione e il confronto tra idee diverse.
Il gruppo costituito da una “classe virtuale”, invece, non è risultato dell’azione selezionatrice e limitatrice di un algoritmo, anche se su di esso l’algoritmo comincerà ben presto ad agire, inviando segnali coerenti rispetto alle informazioni che man mano può raccogliere sui suoi membri e sulle loro interazioni. Il gruppo “classe virtuale” è costituito sulla base di un atto amministrativo, l’assegnazione alla classe di un determinato numero di iscritti a quell’istituto. I membri del gruppo “classe” hanno in comune solo una appartenenza burocratica, che svilupperà inevitabilmente relazioni molto articolate, complesse e dinamiche. Ma se la sua trasformazione in “classe virtuale” fa venir meno l’insieme di segnali sofisticati, linguistici, gestuali, relazionali che abbiamo chiamato ammiccamenti, il sistema di comunicazione di significati ed emozioni dei giovani (e non solo) viene degradato, si impoverisce ed inaridisce, tendendo ad assomigliare a quello delle gang, ossia riducendosi ad un confronto di forze, di spinte, di scontri.
Se proprio vogliamo trovare una somiglianza tra la camera dell’eco e la classe virtuale, dobbiamo concentrarci su questo effetto di impoverimento del linguaggio e in generale della comunicazione nell’interazione tra i soggetti, causato dalle restrizioni imposte dall’esterno. Nel caso delle eco chamber, l’impoverimento è determinato dalla selezione effettuata dall’algoritmo, nel caso della classe virtuale è determinato dalla perdita di quegli strumenti ricchi di significato e di rappresentazione emotiva che sono gli ammiccamenti (nel senso lato prima richiamato).
Dalla didattica online alla scuola digitale il quadro di riferimento UK
Nell’anno in cui è esplosa l’esigenza di veicolare le lezioni con la didattica online ed in cui l’attenzione è fortemente spostata sugli aspetti organizzativi e logistici della didattica, il quadro per “L’educazione in un mondo connesso. Edizione 2020” guarda al problema dell’educazione ad un mondo digitale con larghezza di vedute e ampiezza dei temi trattati.
Questa impostazione è la risposta giusta al paradosso della classe online che abbiamo discusso. Il problema della didattica online e della sua efficacia è una parte della questione e non la più importante.
Ma la didattica online, a cui la pandemia ci costringe, deve essere l’occasione, questa sì da non perdere, per spostare l’attenzione sull’educazione digitale.
Occorre avviare un’educazione digitale di largo respiro, che parta dai 4 e giunga fino ai 18 anni, come propone il documento dell’UKCIS: questa prospettiva, oltre a colmare un forte svantaggio nella preparazione delle nuove generazioni italiane rispetto ai fabbisogni del mercato del lavoro futuro, fornirà anche strumenti per sviluppare online relazioni interpersonali più ricche e consapevoli e più efficaci per affrontare un futuro difficile per i giovani di oggi. È la prima volta nella storia recente, che ci troviamo non a fare affidamento sul duro lavoro delle generazioni anziane per dare un futuro ai giovani, ma a comprimere i livelli di vita futuri dei giovani per garantire un presente meno duro alle generazioni più anziane.
Conclusioni
La pandemia ha investito la sanità, l’istruzione, l’economia del Paese ed ha accelerato il bisogno di riorganizzare la vita economica e sociale facendo leva sul digitale. Questa accelerazione non è un effetto passeggero. Chi ha più filo da tessere avrà più tela e avrà meno freddo nell’inverno della pandemia e in quello successivo, lo sta dimostrando l’Asia industrializzata, che ha utilizzato le nuove tecnologie per coadiuvare in modo efficace il contenimento sanitario della pandemia, riducendo così l’impatto negativo sull’economia e sull’educazione.
Il nostro Paese parte da una condizione di assoluto svantaggio; è ora di riconoscerlo: l’ultima indagine della Commissione europea sulle competenze digitali non ci lascia scampo.
La figura che segue è elaborata sulla base dei dati dall’ ultima pubblicazione del DESI (Digital Economy and Society Index 2020) della Commissione europea. L’Italia è terzultima per tasso di sottoscrizione di banda larga da parte delle famiglie, ultima in Europa per dotazione di capitale umano nel digitale e tra le ultime tre per conoscenze base nell’utilizzo del software.
Quindi già prima della pandemia dovevamo agire: non possiamo non farlo ora.
- Sul livello di preparazione dei docenti, anche qui più basso della media europea, si veda: Deloitte-Ipsos MORI for the European Commission, 2nd Survey of Schools: ICT in Education. Italy Country Report, 2020. ↑