Innovare la scuola è stata la parola d’ordine di molte iniziative, che hanno interessato il sistema di istruzione italiano negli ultimi quarant’anni, secondo un approccio che, almeno dagli anni Ottanta, identificava i processi di cambiamento con l’introduzione delle tecnologie. Nel 2015 è stato il PNSD a coniare il termine scuola digitale, una anticipazione se non una provocazione, che però annunciava il desiderio di una scuola, che fosse coraggiosamente aperta al cambiamento. Come molta ricerca educativa ci ha poi raccontato, un freno lo hanno dato gli insegnanti, talvolta troppo affezionati alle loro teorie implicite sull’insegnamento, ma anche capaci di grande collaborazione (e questo ce lo ha insegnato la didattica a distanza). Nell’ultima indagine Ocse Talis 2018 il 74% degli insegnanti italiani riferisce che il sostegno reciproco con i colleghi è cruciale nell’attuazione di nuove idee, ma questa percentuale è lievemente inferiore a quelle media dei paesi Ocse, che arriva al 78%.
DigComp 2.2: cosa cambia nel nuovo quadro delle competenze digitali per i cittadini
Questa scoliosi concettuale dell’innovazione è una postura, che ancora non ci ha del tutto abbandonato: se il PNSD aveva spinto per considerare seriamente il digitale come una delle leve del cambiamento sistemico, per guardare alla comunità scolastica come alla sua dimensione generativa, il PNRR e il Piano scuola 4.0 evocano trasformazione didattica e digitale, con il piccolo rischio che i due obiettivi siano percepiti come dimensioni separate.
Il confronto tra un’insegnante e un dirigente scolastico sull’innovazione della scuola
Ho deciso allora di confrontarmi con Ottavio Fattorini, Dirigente scolastico e oggi Dirigente tecnico, per condividere le rispettive posizioni di chi, con ruoli e in modi diversi, ha partecipato ai processi di innovazione negli ultimi anni.
Dal confronto che ne è nato, ci siamo convinti che la scuola debba sempre essere innovativa e che l’epistemologia pedagogica debba trovare nella scuola un presidio di contemporaneità, al servizio delle generazioni future. Occorre essere in anticipo su ciò che sarà necessario quando studentesse e studenti usciranno dal percorso istituzionale di istruzione e dovranno esprimersi come cittadine e cittadini del mondo, insomma immaginare una scuola proiettata verso i bisogni formativi e non cristallizzata sui programmi e le scadenze.
C’è molta ricerca sui fattori che hanno un impatto sulla diffusione e la durata dell’innovazione a scuola, sulle dinamiche di sviluppo e diffusione dei cambiamenti, ma evidentemente qualcosa ancora non parte come dovrebbe: passare dall’innovatore all’innovazione è un processo più complesso e composito, che afferisce alla cultura organizzativa, alla cultura del digitale, alla professionalità di dirigenti e di insegnanti.
Il DigCompOrg, il quadro europeo delle competenze digitali delle organizzazioni educative codificato dal Joint Research Centre-ITPS di Siviglia, legge l’innovazione a livello sistemico proprio a partire dalla Dirigenza e dalla gestione dell’organizzazione, che costituisce una delle sette dimensioni del processo. In una organizzazione educativa digitalmente competente vanno infatti tenuti in equilibrio ruoli e responsabilità.
Cosa significa portare innovazione a scuola oggi
Come prima questione ci siamo chiesti dunque che cosa volesse significare portare innovazione oggi, dopo l’incidente critico della pandemia, che con il binomio presenza/distanza ha sparigliato le carte della relazione educativa, degli spazi di apprendimento, del tempo da dedicare al momento educativo della lezione e della condivisione.
Ottavio Fattorini: il concetto di innovazione andrebbe interpretato prescindendo o meglio, inglobando, gli eventi pandemici. Se è vero che la pandemia ha portato un cambiamento radicale e traumatico, costringendo molti alla sperimentazione di modalità comunicative e didattiche nuove, è vero che queste esistevano prima come possibilità inutilizzate ed esistono ancora oggi, quando, giustamente rivitalizzati dalla scuola in presenza, si rischia di gettare “il bambino con l’acqua sporca”. Pertanto, prima, durante e dopo la pandemia fare innovazione significava sempre e comunque trovare le soluzioni più adatte e specifiche a ciascuna specifica situazione. La didattica digitale era e rimane una opzione che, se usata consapevolmente e sulla base dei bisogni, rappresenta una possibilità che più che “innovativa” possiamo chiamare “adattiva”, in grado cioè di leggere lo specifico e situato bisogno per poter rispondere scegliendo la strategia e lo strumento più adatto a seguito di una consapevole e intenzionale valutazione complessa delle tante opzioni disponibili.
Daniela Di Donato: l’innovazione avrebbe bisogno di solida instabilità: ogni docente dovrebbe coltivare il suo essere docente-ricercatore, assumendo un atteggiamento di apertura curiosa e competente verso le strategie didattiche e le architetture, che meglio rispondono alle esigenze delle persone che ha in classe, valutando di volta in volta che cosa sia più efficace.
Innovazione a scuola: come affrontare i problemi con soluzioni nuove
Quale deve essere il ruolo del docente nei processi innovativi
Ottavio Fattorini: il docente può farsi protagonista dei processi innovativi nel momento in cui tutti i giorni si domanda: “Che cosa posso fare per apportare la mia dose di miglioramento negli esiti degli apprendimenti, agendo sui processi di insegnamento apprendimento?”. In tal senso, ciò che più conta è l’attitudine e la disponibilità ad interpretare ciascuna situazione e ad intraprendere percorsi anche nuovi, che siano funzionali alle esigenze didattiche. Ancora una volta il parametro di riferimento non dovrebbe essere quello dell’innovatività tout court ma quello della “adattività”. Se la mia classe ha bisogno di strutturare efficaci processi relazionali perché tende a manifestare comportamenti di chiusura reciproca e di introversione, può essere utile proporre quale “innovazione” la “metodologia didattica” del teatro, pur introdotta dai Gesuiti del ‘600. È certamente innovativa una applicazione che consente di costruire un Wiki, cioè un testo a più mani, tramite il device di ciascuno studente e questo è certamente fondamentale, se ciascuno è chiuso nella propria casa, come durante il lockdown sanitario. Ma la stessa funzione e intenzionalità programmatica didattica, non la svolgeva forse quel pezzo di carta, che don Milani faceva girare tra i banchi di una scuola di montagna affinché gli studenti potessero costruire, passandosi tra loro il foglio, un testo a più mani che diventava prodotto di un lavoro collaborativo? Ciò che il docente dovrebbe guardare non è lo strumento tecnico (la tecnologia passa e diventa rapidamente obsoleta), ma il dispositivo didattico e le finalità, che esso persegue nell’essere usato.
Come progettare una innovazione ecologica e sostenibile
Entrambi riteniamo che, per progettare una innovazione ecologica e sostenibile, bisogna saper cogliere rapidamente le opportunità offerte dall’ambiente e guardarlo con occhio didattico.
Ottavio Fattorini: il motto che ha lanciato durante la pandemia sul sito delle scuole modello DADA (didattiche per Ambienti Di Apprendimento), è “il mio spazio didattico è il mondo, il mio tempo didattico è l’oggetto di studio”. Dunque, come si diverte a ripetere spesso con metafora contadina, bisogna sempre ricordare che “La didattica è come il maiale” (non si butta niente): ciascun oggetto, suppellettile, strumento, spazio o ambiente, può essere trasformato, passando sotto “gli occhi fatati del didatta”, in attività funzionale a perseguire scopi di apprendimento consapevoli e intenzionali, sapientemente prefissati. Dunque, se vediamo il mondo come un grande spazio in cui poter apprendere, si può iniziare a considerare l’aula come una eccezione pratica e comoda per apprendimenti organizzati, partendo però dal presupposto che ogni spazio può essere avocato alla didattica. In questo senso è stato introdotto il concetto di “contesto di apprendimento” (definizione depositata come marchio), facendo riferimento a qualsiasi ambiente, luogo o spazio che, con la sapiente intenzionalità del docente, può diventare strumento e luogo di apprendimento (più sostenibile di così). Inutile dunque rincorrere acquisti di strumentazioni tecnologiche, dispositivi o applicazioni, che rischiano di essere dettate solo dalla logica dell’acquisto, invece che da quella della finalità e della esigenza, a cui esse sono destinate a rispondere. Anche per l’innovazione didattica vale, e a maggior ragione, la logica di un consumo consapevole, in cui è necessario resistere all’acquisto fine a sé stesso, indotto da allettamenti occasionali o in alcuni casi per disponibilità di denaro finalizzato, per fondarlo invece sulla esigenza didattica antecedentemente percepita, pre-meditata e consapevolmente ricercata.
Il ruolo degli ambienti e delle tecnologie didattiche digitali nei processi di innovazione
Ottavio Fattorini: non sono le tecnologie e neanche di per sé gli ambienti, che rendono innovativo un processo di insegnamento e di apprendimento. In questo senso si può far riferimento al modello di analisi della didattica digitale denominato SAMR (Substitution Augmentation Modification Redefinition), che parte dalla mera sostituzione di strumenti tradizionali con quelli tecnologici, mantenendo inalterata la funzione, per arrivare al totale ripensamento didattico che richiede, proprio per essere pensato, di uno strumento digitale che dunque entra in scena per un bisogno concettuale a priori (Puentedura, 2014). Ciononostante, quando si arriva a pensare un’attività didattica solo perché esiste un certo strumento digitale è chiaro che si stanno praticando modalità e strategie innovative grazie a un particolare strumento, eppure non è solo questo che rende innovativa la didattica. È sempre il pensiero, il concetto che vuole perseguire il didatta, ciò che rende possibile attivare ingaggi didattici efficaci, funzionali e significativi e che dunque risultino innovativi anche prescindendo da strumentazione tecnologiche o da specifici ambienti. È la visione del pensiero pedagogico, che sottendono l’uso di questi strumenti che fa la differenza, non lo strumento in sé.
Daniela Di Donato: è questo imprinting pedagogico che forse abbiamo perduto nel tempo: tendiamo a trascinarci delle carcasse, senza accorgerci o ricordarci perché proponiamo ancora quel modello di lezione o quella strategia valutativa. Strano pensare che proprio quel contenuto, che molti sembrano presidiare come l’unico vero vessillo della scuola, sia il primo ad essersi davvero perso. Il paradosso è che chi prova a raggiungere nuove sfide e superare alcune frontiere dell’insegnamento praticato si percepisca parte di una didattica quasi abusiva, mentre è esattamente il contrario. È stato naturale chiederci allora quali siano oggi gli ostacoli all’innovazione.
Quali sono gli ostacoli all’innovazione nella scuola
Ottavio Fattorini: il principale ostacolo è la naturale tendenza propria dell’essere umano alla “abituazione mentale al noto”. Si tende naturalmente a persistere in uno stato noto, che desta meno ansie, anche quando non è pienamente funzionale o rispondente alla mutata realtà, piuttosto che intraprendere un percorso ignoto, potenzialmente più funzionale, che però suscita le ansie e lo sgomento legate all’incertezza. Dunque, il principale ostacolo è la paura implicita e naturale ad intraprendere percorsi ignoti, anche quando offrono la suggestione di essere potenzialmente più efficaci. Queste paure si possono legare anche a quelle, indotte da logiche volte agli adempimenti, di dover documentare le azioni ed eventualmente anche a rilevare i fallimenti. Questi dovrebbero essere accolti come parte fisiologica dei processi di cambiamento, piuttosto che indurre a indugiare su modalità didattiche consuete e abitudinarie. Queste sono del resto più facilmente accolte e comprese, dai colleghi come dalle studentesse e dagli studenti (e anche dalle famiglie) e dunque, anche quando si rilevano inefficaci, colludono con una naturale cautela, senso di protezione o naturale pigrizia, che induce o addirittura suggerisce di evitare percorsi nuovi o inesplorati. Temo che in sintesi un nemico di ogni innovazione possa essere considerato l’antico adagio, giustamente prudenziale: “chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quel che cerca ma non sa quel che trova”. Se può avere un senso nella vita pratica, non si può scordare che la scienza tutta procede per prove ed errori e dunque anche il miglioramento e le innovazioni didattiche non possono che passare da momenti di serena sperimentazione, così da poter valutare risultati differenziali rispetto ad altre modalità più o meno tradizionali.
Daniela Di Donato: per questo puntare su una autentica collaborazione tra colleghi (Di Donato & De Santis, 2021) potrebbe essere la chiave per superare le barriere personali e per abbassare quel filtro affettivo, che inibisce il cambiamento perché troppo rischioso. Si rischia anche di permanere in uno stato di perenne sperimentazione, senza mai arrivare a portare a sistema tutte quelle modalità e scelte che hanno ottenuto effetti di efficacia, in termini di motivazione, di raggiungimento degli obiettivi, di acquisizione di competenze, di sviluppo di abilità sociali ed emotive. D’altronde, ogni volta che viene proposta una nuova strategia o decidiamo di abbracciare un cambiamento è giusto capire con che cosa esattamente andiamo a sostituire la prassi precedente, altrimenti la sensazione di instabilità e la paura del fallimento prende il sopravvento (Duhigg, 2012).
Che cosa significa fare innovazione di sistema
Ottavio Fattorini: fare innovazione di sistema consiste nel trovare il modo in cui l’acqua calda, invece che essere scoperta ogni volta, possa essere conservata e usata al bisogno. Si tratta cioè di fare in modo che singole e specifiche soluzioni innovative, che possono considerarsi buone pratiche, isolate, episodiche, casualmente e individualmente e spontaneamente attivate, possano diventare propriamente innovazioni cioè buone prassi, ricercate in maniera consapevole, premeditate e conservate e messe in circolo in ciascuna organizzazione, in modo da poter diventare repertori a cui attingere per contaminazione e disseminazione, così da diffondersi e attecchire. Una liberalità di clima e cultura organizzativa, nell’accogliere e nello sviluppare specifiche innovazioni, crea il contesto, l’humus più favorevole affinché possano nel tempo diventare sistemiche. In questo senso il dirigente scolastico, pur a fronte di un sistema di leve strategiche lasche e indirette, ha la possibilità di influenzare il clima e i valori di una comunità scolastica. Egli, infatti, pur se attraverso azioni indirette (la formazione dei docenti, l’acquisto di strumentazioni innovative, l’allestimento degli ambienti di apprendimento, l’implementazione di specifiche progettualità, etc.), alla luce di una visione pedagogica unitaria della scuola, può creare un contesto favorevole a far attecchire l’innovazione didattica, pur sapendo che in ogni caso vale per lui come per tutti il principio “fai ciò che puoi, avvenga quel che deve”.
Daniela Di Donato: l’innovazione di sistema è un supporto organizzato, morale, emotivo e professionale all’azione educativa di ogni insegnante, che sviluppa le sue didattiche e le sue sperimentazioni in classe, sostenuto da una invisibile rete di collaborazione, che produce in lui un forte sentimento di autoefficacia e genera quel coraggio necessario, per superare fatiche e fallimenti. Il sistema innovazione è indispensabile per governare le sperimentazioni e progettarne il monitoraggio, per presidiare i cambiamenti dentro una cornice composta da ricerca educativa, neuroscientifica e pedagogica, come premessa teorica dei cambiamenti, per sorreggere i cali di tensione di insegnanti e studenti e indirizzarne gli entusiasmi, per far sì che nulla vada perduto e tutto abbia un senso e uno scopo.
L’innovazione non esiste, e come canta Niccolò Fabi, esistiamo noi e la nostra ribellione alla statistica.
Bibliografia
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Di Donato, D. (2021). Le competenze digitali dei docenti: quale scuola vogliamo dopo il Covid. In Agenda digitale.eu https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/le-competenze-digitali-dei-docenti-quale-scuola-vogliamo-dopo-il-covid/
Di Donato D. & De Santis (2021). Il cambiamento delle pratiche didattiche dei docenti italiani durante il lockdown. Percezioni dell’efficacia nell’uso delle tecnologie didattiche digitali e collaborazione con i colleghi. In RicercAzione (2).
Duhigg, C. (2012). Il potere delle abitudini. Tea.
Fattorini, O. (2019). Atti del Convegno “Now! – A scuola si può”. Il Modello DADA (Didattiche per Ambienti Di Apprendimento): l’innovazione dell’“eppur si muove”! Giunti scuola e CampuStore.
Fattorini O. (2020). “Digital dada”: come cambia la Scuola e il ruolo del docente con la didattica “abilitante”. In Agenda Digitale https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/digital-dada-come-cambia-la-scuola-e-il-ruolo-del-docente-con-la-didattica-abilitante/
Fattorini, O. (2019). Il Manifesto delle scuole Modello DADA. Atti del 2° Convegno nazionale delle scuole DADA “Dada iacta est” – Villa Cavalletti, Grottaferrata, Roma, sito scuoledada.it
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Puentedura, R. R. (2013). SAMR: Moving from enhancement to transformation [Web log post]. Retrieved from http://www.hippasus.com/rrpweblog/archives/000095.html