Uno spettro si aggira per la scuola: lo spettro della DAD. Tutti i giornali, tutte le televisioni, tutti i politici e la stragrande maggioranza degli intellettuali si sono coalizzati per deprecarla e per auspicare un ritorno alla scuola in presenza. Certificando il peggioramento del rendimento scolastico negli ultimi due anni, i test Invalsi danno fiato a questo coro.
È vero, la DAD è un modo di fare scuola che funziona male. Ma, detto questo, attenzione a trarre frettolose conclusioni come: “l’elearning non funziona; il fallimento della DAD dimostra che il digitale peggiora l’apprendimento; la nostra scuola (in presenza) tutto sommato va bene, basta qualche piccolo ritocco, è la formazione a distanza che non va; non c’erano alternative, o la DAD o niente”.
Non buttiamo la DAD con l’acqua sporca: cosa serve davvero per “salvare” la scuola
Cosa non ha funzionato con la Dad
Oltre al digital divide, nella grande maggioranza dei casi, è stato il modo maldestro, inefficace e qualche volta anche dannoso, di usare il digitale ad aver prodotto risultati scadenti.
L’introduzione di una nuova tecnologia modifica le organizzazioni, basta guardare come è cambiata la nostra vita. Vuoi lavare i panni? Non ti rivolgi alle lavandaie, ma usi la lavatrice, e le lavandaie sono sparite. Vuoi vedere il tuo estratto conto? Non vai allo sportello ma usi l’home banking… e il personale di banca è diminuito. Vuoi mandare una lettera? Scrivi un’email e gli uffici postali fanno altro. Per non parlare delle catene di montaggio sostituite dai robot, dell’automatizzazione in agricoltura e potrei continuare all’infinito.
Ma la scuola no! Introduco una tecnologia che ne rivoluziona le fondamenta costituite da libro e lezione e pretendo di lasciare tutto invariato compresa la simulazione della presenza. Sta qui la forte disillusione verso la DAD. Si era supposto che questa potesse sostituire l’aula, uno spazio, lasciando quanto più possibile invariato il tempo e ci si è accorti che ciò era impossibile. Si pensava che si potessero fare le stesse cose che si fanno in presenza e ci si è sbagliati. Si riteneva che si potessero finire i programmi, seppure un po’ ridimensionati, e così non è stato. Si pensava di lasciare inalterati gli esami, e si sono dovute trovare altre modalità.
È assurdo pensare che un bambino possa restare davanti a un computer per più di un’ora al giorno a sentire una che parla. E ancora peggio per i ragazzi più grandi che dovrebbero passare quattro o cinque ore davanti a uno schermo per ascoltare professori che spiegano e interrogano.
Il problema non è il tempo che un ragazzo passa al computer, perché ci starebbe anche giornate intere per giocare, parlare con gli amici, sentire musica, guardare film e cartoni, ma non per seguire lezioni o, peggio, per essere interrogati. Dopo quattro/cinque ore di lezioni, anche le più interessanti, chiunque di noi sarebbe atterrito dalla prospettiva di ripetere questa esperienza. Ma è quello che si è chiesto di fare ai ragazzi, per mesi e mesi, e non per ascoltare Barbero o Einstein.
Si potrebbe obiettare: l’unico modo per continuare a fare scuola e non abbandonare gli studenti a se stessi, era ricorrere al digitale. Certo, ma non in modalità DAD, lasciando l’organizzazione scolastica e i programmi pressoché invariati. Credete che i discreti risultati Invalsi in Inglese siano dovuti alle lezioni di Inglese? Io penso che siano il risultato di un uso intelligente del digitale da parte dei ragazzi che, spinti da una reale motivazione, hanno trovato il modo di imparare l’inglese in rete o con i giochi.
Le competenze che sono mancate
L’introduzione del digitale pretende la modifica dell’organizzazione e dei curricola, che a sua volta richiede la conoscenza dell’impatto del digitale sul mondo della scuola e sui suoi contenuti. Forse è stata proprio la mancanza di queste competenze in chi doveva decidere (e in chi ha consigliato i decisori) a determinare la scelta della DAD, di cui noi, ricercatori sulle tecnologie didattiche, non avevamo mai sentito parlare.
Cosa fare invece della DAD?
E che cosa si sarebbe dovuto fare invece della DAD? Questa è una sfida interessante, perché non si tratta solo di discutere del passato, ma molto probabilmente del prossimo futuro, quando si riaprirà la scuola. Ecco che cosa avrei fatto e che cosa farei.
Quando si introduce una nuova tecnologia, il digitale ad esempio, bisogna capire quali nuove possibilità (affordances) offre rispetto alla vecchia, la scrittura.
Gli oggetti digitali sono aperti
Le Open Educational Resources sono risorse di tutti i tipi disponibili in rete per qualsiasi argomento e per qualsiasi livello di conoscenza e bene ha fatto il MIUR a facilitarne l’accesso tramite il suo sito. Allora, specialmente se si lavora a distanza, compito principale dei docenti non è preparare una lezione come in presenza, seguendo il libro di testo, ma cercare le risorse educative aperte ritenute più efficaci per raggiungere gli obiettivi didattici stabiliti. Questo comporta un cambiamento della normale prassi del docente, da esperto che trasmette la materia, servendosi anche del libro, a progettista delle condizioni di apprendimento, che stabilisce obiettivi e organizza i mezzi per raggiungerli. Dunque, il suo ruolo principale cambia da dispensatore del sapere a progettista e coordinatore delle condizioni di apprendimento. Nella stesura di un progetto, è importante avere chiare le finalità e gli obiettivi che si vogliono raggiungere, i vincoli del progetto, i mezzi e le condizioni per raggiungere gli obiettivi e gli strumenti di verifica del loro raggiungimento. Questa è una prospettiva nuova per molti docenti che devono porsi domande come:”Quali sono le conoscenze e le credenze pregresse dello studente? Di quali strumenti, concettuali e materiali dispone? Come e quali risorse aperte scegliere? Quali domande possono attivare ricerche interessanti? Per quanto tempo al giorno posso impegnare i miei studenti? Come posso raccordarmi con gli altri docenti in modo da non sovraccaricarli?
Gli oggetti digitali sono multimediali
Nella ricerca delle risorse il docente ricercherà quelle più efficaci e motivanti, tenendo conto che esistono video, audio e testi in grado di interessare gli studenti. Poesie lette da attori, testi manoscritti di poeti con le loro cancellazioni che mostrano la genesi della poesia, film, e interessanti lezioni di storici, matematici, fisici. Come scegliere quelle efficaci e motivanti? Quanto tempo richiede la loro fruizione ed è compatibile con il tempo disponibile? Come dare un ruolo attivo allo studente che le fruisce? Come verificare i cambiamenti nello studente?
Gli oggetti digitali sono interattivi
Questa caratterista richiede un ruolo attivo in chi li usa. Per le materie scientifiche esistono tantissimi strumenti digitali che consentono non solo simulazioni, ma anche esperimenti a casa, anche senza laboratori scolastici. Per le materie umanistiche, moltissimi strumenti possono aiutare gli studenti a comprendere letteratura, storia e filosofia. Come posso aiutare lo studente a realizzare un laboratorio casalingo? Quali attività posso chiedere allo studente per comprendere la genesi dell’Infinito di Leopardi? Esistono strumenti che possono aiutare uno studente a scrivere una poesia o un racconto?
Gli oggetti digitali sono sociali
Questa caratteristica facilita l’apprendimento collaborativo e la condivisione di risorse, fornendo una solida base per lavorare a distanza. L’apprendimento a distanza si caratterizzerà perciò con l’organizzazione di gruppi di lavoro che realizzano un prodotto, un servizio, la soluzione ad un problema o anche la lettura sociale di un libro. Quali compiti proporre? Come organizzare i lavori di gruppo? Quali strumenti usare? Quali prodotti, servizio o soluzioni a problemi richiedere? Come verificare i risultati?
Scuola, un piano triennale per uscire dall’emergenza: la proposta
Le condizioni per mettersi sulla strada del cambiamento
È chiaro che per fare scuola così sono richieste alcune condizioni. La prima è che i contenuti cambino. Questo non è possibile farlo da un giorno all’altro, ma è possibile mettersi sulla strada del cambiamento, più facile per la primaria e la secondaria di primo grado, più difficile per i livelli superiori. Quindi, innanzitutto, libererei gli insegnanti dal giogo dei programmi ministeriali, giogo che spesso i docenti si autoimpongono, e dai vincoli degli esami. Varerei un progetto nazionale sullo studio della pandemia da tutti i punti di vista, coinvolgendo tutte le scuole. Chiederei a ogni insegnante di individuare i collegamenti della propria materia con la pandemia, mettendo a disposizione esperti con cui potersi confrontare online. Individuerei insegnanti pionieri in grado di aiutare localmente i docenti meno esperti nella progettazione e nell’uso del digitale assegnando loro il compito di essere referenti per i colleghi. Supportati da esperti e docenti pionieri, ogni insegnante progetterebbe il proprio corso sulla pandemia considerata dal punto di vista della propria materia, introducendo le conoscenze disciplinari prerequisite.
Affiderei il coordinamento di questo progetto a un team di persone in grado di gestirlo. In questo progetto esisterebbe uno spazio di apprendimento ibridato presenza/online, che prevede attività da svolgere online in maniera asincrona e attività che invece è bene svolgere in presenza, senza coinvolgere necessariamente l’intera classe, ma gruppi di pochi studenti. Ciò induce una riorganizzazione dei tempi e dei modi scolastici, per esempio organizzando i corsi in sequenza e non in parallelo come si fa oggi. Una riorganizzazione profonda potrebbe essere favorita dalla creazione di una comunità di dirigenti pionieri, coadiuvati da figure con esperienza nell’innovazione di sistemi complessi.
Conclusioni
Ovviamente, queste sono solo alcune suggestioni per cominciare a pensare a una scuola diversa. Non esistono soluzioni semplici per problemi complessi. Mettere in moto profonde trasformazioni a partire dall’emergenza COVID appare una strada obbligata non solo per fronteggiare la pandemia, ma anche per sconfiggere i mali tradizionali che affliggono i nostri sistemi educativi.