E i francesi che … proibiscono!
Questo il ritornello, da cantare sulle note di una famosissima canzone di Paolo Conte, e che da ieri pervade i social network e rimbalza sui media nazionali: in Francia starebbe per diventare realtà una delle “promesse elettorali” del presidente Macron. L’uso dei telefoni cellulari sarà, come si dice, “tassativamente vietato”, in tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Per altro, viene immediato il parallelo con il nostro Paese, nel quale, come è noto, vige una disposizione del 2007, a firma dell’allora ministro Giuseppe Fioroni, che vieta l’uso dei cellulari a scuola. Inoltre, notizia altrettanto nota, la ministra uscente Fedeli ha costituito una commissione (della quale lo scrivente ha fatto parte) con il compito di andare oltre quella direttiva, inevitabilmente datata, e fornire linee guida per l’utilizzo a scuola (“digitale”, direbbero in molti, ma contro questo aggettivo conduco una battaglia personale da tempo). Non solo degli smartphone (telefoni cellulari ormai non ce ne sono più in giro!) ma in generale dei dispositivi personali, il cosiddetto BYOD.
E adesso, che si fa?
Il paragone con i cugini d’oltralpe si fa pressante: loro vietano e noi, al contrario, in qualche modo incoraggiamo l’uso di dispositivi che da più parti sono indicati come fonte massima di distrazione?
In realtà, entrambe queste affermazioni risultano false, o quanto meno approssimative, anche se è in questo modo che la maggior parte dei media sta veicolando la notizia.
In primo luogo, informandosi meglio e consultando qualche fonte francese (ad esempio il sito del periodico Liberation) il divieto “tassativo” in Francia si rivela molto diverso da come è stato presentato invece dalle agenzie nostrane (si veda l’ANSA): l’uso sarà (ovviamente, ma …era davvero necessario ribadirlo?) vietato per quanto riguarda chiamate e altri utilizzi diversi da quelli didattici. Ebbene sì, i francesi certo vietano, ma “«sauf pour des usages pédagogiques», à l’exception des lieux où «le règlement intérieur l’autorise expressément»”!
In Italia
In pratica, a quanto sembra, la norma sarà molto simile a quanto proposto dalla commissione BYOD e ad oggi esplicitato dal cosiddetto “decalogo” sullo smartphone a scuola, pubblicato nello scorso gennaio: è del tutto evidente che non sarà mai consentito un uso personale indiscriminato! È immaginabile che si pensi di consentire a ragazzini e bambini di usare a loro piacimento i dispositivi personali?
La realtà è pertanto ben diversa: non siamo di fronte al rigoroso divieto sul versante francese e indulgente laisser-faire (il francese è d’obbligo!) nella nostra penisola.
Il “decalogo”, al contrario, è ben lontano dall’incoraggiare alcun uso indiscriminato ma va a precisare alcuni punti fondamentali che attengono al ruolo della scuola e al rapporto con le famiglie su una convergenza educativa che, oggi, non può che includere il “mondo digitale”.
Smartphone a Scuola per una nuova cittadinanza digitale: ecco perché
Competenze digitali in Europa
È proprio di questi giorni un’altra notizia, questa volta, per fortuna, interamente autentica: il Consiglio dell’Unione Europea ha pubblicato la versione “aggiornata” della Raccomandazione del 2006 sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente. Ebbene, in questa nuova versione la competenza digitale è inserita tra le competenze “di base”. Significa che da oggi in poi, il tradizionale “leggere, scrivere e far di conto” deve essere declinato anche (attenzione: “anche”, non “solo”!) in chiave digitale.
La scuola non può abdicare a questo compito educativo e formativo: il divario digitale dei giorni nostri non è più tra chi ha accesso alla tecnologia e chi no, ma tra chi possiede gli strumenti culturali per un uso positivo e consapevole e chi è abbandonato a sé stesso, magari preda degli utilizzi deteriori del mezzo.
Secondo una recente ricerca di Save the Children, il 97% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni possiede un dispositivo connesso a internet.
È realistico, utile, sostenibile, approcciare questo mondo con un semplicistico “divieto tassativo”?
La risposta italiana (ma in realtà, come abbiamo visto, anche quella francese!) è che la scuola debba occuparsi anche di questo, in linea con quanto già affermato, e adesso ribadito, in sede europea, relativamente allo sviluppo delle competenze.