Il coronavirus ha messo completamente a nudo la totale inadeguatezza del digitale, smascherando in modo crudo e senza possibilità di smentita, l’impreparazione, l’improvvisazione e la mancanza di strategia e visione di tutto ciò che intorno a esso, o meglio al percorso verso la digitalizzazione, da sempre ruota.
Pubblico, ma anche privato.
Questa mia riflessione prende spunto da un post del direttore di agendadigitale.eu, Alessandro Longo, che riportando la seguente frase della Ministra della Pubblica Istruzione Lucia Azzolina :”Chiedo scusa ai precari, non riusciamo a gestire un milione di domande cartacee che stanno arrivando in questi giorni. Le graduatorie per quest’anno non si aggiorneranno, mentre ci auguriamo di poterlo fare il prossimo anno, quando entrerà in vigore quel sistema di accesso telematico per il quale mi sono battuta anche in passato”.
Il direttore si domanda: “Allora noi folli evangelisti che ai politici, ai vecchi imprenditori per anni abbiamo detto che era tardi, che senza digitale non ce la facciamo e ci rispondevano con sorrisetti… Avevamo ragione?”
Sì, direttore, avevamo ragione, non c’è dubbio. E te lo dice uno che per anni, prima all’esterno della PA, poi come dirigente pubblico responsabile dei sistemi informativi, è stato oggetto di questi stessi sberleffi, sbeffeggiamenti, sorrisetti e, nel migliore dei casi, bonarie e compassionevoli pacche sulle spalle. Fino a non poterne più e a doversene andare. E no, non me ne assumo parte della responsabilità come fa qualche collega.
Ma sebbene il “te lo avevo detto” sia una delle frasi che danno maggiore soddisfazione ed appagamento a chi le pronuncia, in questo caso (e ahimè nella maggior parte dei casi dove si arriva a farlo) rappresenta la cosiddetta “ragione dei fessi”, perché ormai il danno è prodotto e non c’è molto che si possa fare.
Digitale, una impreparazione ingiustificabile
L’attuale situazione ricorda molto una celebre quanto evocativa scena del famoso film “Caccia ad Ottobre Rosso”, quando il comandante del sottomarino “Konovalov”, Tupolev, mandato a caccia del fuggitivo “Ottobre Rosso”, sbagliando per imperizia e superbia una manovra di attacco, finisce con l’auto distruggersi con i propri siluri. Un attimo prima della fine, il vicecomandante, che aveva ripetutamente cercato di dissuadere Tupolev a compiere la manovra che si rivelerà fatale, lo guarda e lo apostrofa dicendogli: “ci hai uccisi tutti, coglione!”.
Potrebbe sembrare esagerato, ma è molto più vicino alla realtà delle cose di quanto non si sia disposti ad ammettere.
Eravamo impreparati, d’accordo, non parrebbe alla fine una cosa così sorprendente. È anzi un fenomeno endemico nel nostro paese, a cui spesso recuperiamo, alla bisogna, con la famosa quanto rinomata genialità e fantasia italica. Di cui andiamo molto fieri.
Ma al contrario del SSN, travolto da un fenomeno dalle dimensioni davvero difficilmente prevedibili e a cui arrivare preparati era oggettivamente quasi impossibile, l’impreparazione nel digitale non è in nessun modo giustificabile.
E assume i caratteri del dolo.
Perché quello che oggi manca nel digitale, e che ha contribuito enormemente ad aggravare gli effetti dell’emergenza sanitaria ora e pregiudicarne una rapida uscita poi, è qualcosa che dovrebbe essere presente da anni, perché esistono specifiche norme che ce lo impongono.
E non norme recenti, da poco entrate in vigore. Il dlgs 82/2005, il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), il testo fondante, è appunto del 2005. E non è il primo. Arrivare, dopo 15 anni, a mostrarsi talmente impreparati è davvero inconcepibile.
Lo scandalo delle domande (ancora) cartacee
Ad esempio, le domande “cartacee” a cui si riferisce la Ministra, come mai sono ancora cartacee?
Il CAD stabilisce (art. 3) che comunicare con la PA in modalità digitale sia un diritto dei cittadini e che le istanze presentate per via telematica siano comunque valide (art.65). Ma non solo, nello specifico esiste una norma (l’art.35 della L. 33/2013, che abroga l’art. 57 del CAD che prevedeva obblighi simili) che prevede l’obbligo per le amministrazioni di dotarsi di appositi servizi online per la presentazione delle istanze e, laddove non ancora presenti, indicarne le ragioni, specificare entro quando l’Amministrazione li attiverà e pubblicare sul sito i relativi moduli compilabili da scaricare e l’indirizzo email a cui inviarli.
E, ciliegina sulla torta, la norma prevede anche (art. 43, c.5), per il Dirigente inadempiente, il suo deferimento automatico alla Commissione Disciplinare dell’Ente.
Se nemmeno di fronte ad una norma così dettagliata e cogente, in 15 anni non si è riusciti, a livello di Ministero della Pubblica Istruzione (e non del piccolo comunello di 300 abitanti, che anzi, spesso è dotato di un servizio di presentazione delle istanze online) a produrre nulla, non so proprio come sia possibile accampare giustificazioni e tanto meno candidamente “augurarsi di poterlo realizzare il prossimo anno”. Siamo davvero al surreale. Cosa pubblicheranno sul sito dove per legge obbligatoriamente dovrebbe essere indicato il motivo per cui il servizio online non è ancora presente? Che si augurano di riuscirci il prossimo anno?
Avete mai sentito di un dirigente deferito alla commissione disciplinare per inosservanza della norma? (io ci provai una volta, non vi racconto il risultato…).
La scuola è solo la punta dell’iceberg
In ogni caso si tratta solo della punta dell’iceberg perché durante questa emergenza è risultato palese come l’intero comparto sia totalmente inadeguato.
Partendo dall’inizio quando per i moduli di autocertificazione nelle prime zone rosse si chiese di utilizzare il servizio di un noto gigante del web costringendo gli utenti a dotarsi di un account su questo sistema invece di usare il tanto decantato SPID. La cosa provocò diverse reazioni indignate, quando invece avrebbe dovuto far seriamente riflettere sull’adeguatezza di un progetto come SPID che ancora, dopo anni, non è sufficientemente diffuso e stabile da poter essere utilizzato su larga scala (e figuriamoci in emergenza).
Per non parlare dello “smart working”, diventato di colpo la “frontiera” della digitalizzazione (in cui immancabilmente si sono già tuffati in molti) che al di là delle questioni di marketing, ha mostrato come le strutture/infrastrutture IT delle PA siano assolutamente inadeguate.
Ognuno, in ordine sparso, ad arrangiarsi in qualche modo, nella stragrande maggioranza dei casi senza alle spalle un progetto, prendendosi rischi notevoli, improvvisando. Le migliori, paradossalmente, quelle che in barba al Piano Triennale per l’Informatica, hanno continuato a investire nella loro infrastruttura e una soluzione l’avevano già, magari inutilizzata (perché lo smart working è stato osteggiato da quasi tutti fino a qualche settimana fa), ma pronta perché in realtà, lo smart working o telelavoro, come si chiamava un tempo, era da molto modalità lavorativa prevista dalla norma che ne fissava anche un contingente minimo.
Sempre in tema smart working l’esempio più indicativo di impreparazione è ancora una volta la scuola. Ma, a onor del vero, in questo caso, contando la situazione finanziaria degli istituti ed una situazione davvero imprevedibile, è difficile attribuir loro gravi colpe.
Dell’INPS non ne parlerò, è cosa fin troppo nota e imbarazzante. Tengo solo a sottolineare come il datacenter fosse fra quelli candidati come PSN, i Poli Strategici Nazionali, in cui i datacenter delle altre amministrazioni, secondo quanto previsto dal Piano Triennale per l’Informatica, dovrebbero tutti confluire. Se il buongiorno si vede dal mattino…
Il nodo della gestione dei dati
Un altro aspetto, non sempre sufficientemente rimarcato, forse perché più tecnico e meno evidente agli occhi della pubblica opinione, è quello della gestione dei dati. Durante questa crisi la raccolta e la gestione dei dati sarà un aspetto decisivo. Quello che è risultato evidente è come i dati raccolti siano disomogenei e poco affidabili. Questo è dipeso da numerosi fattori ma, al di là della difficoltà del rilevamento vero e proprio, è emersa la mancanza di un sistema coordinato, standardizzato in cui far confluire i dati. Con buona pace del DAF (il Data Analytics Framework) e di tutta la politica sugli open data. Anche qui, tutti in ordine sparso, senza coordinamento, senza una minima cultura del dato. (dati pubblicati come Pdf o, come nel caso della Regione Sicilia, in formato immagine).
Alla fine di questa desolante panoramica arriviamo agli aspetti più vicini all’emergenza Covid-19: le famose autocertificazioni, cartacee, e le app per il contact tracing, che non esistono.
Ma, sulla base di quello che si è detto sopra, trovate davvero sorprendente che l’autocertificazione sia cartacea, a differenza di quanto fatto subito dalla Francia? O che una App per il contact tracing ancora non esista? Sono cose che stanno alla fine di una lunga catena che in Italia semplicemente è quasi del tutto assente. Come pretendere che si possano realizzare in una situazione di piena emergenza?
L’Italia sarà anche campionessa nell’improvvisare ma la realtà è che la digitalizzazione è un lungo e complesso processo, anche culturale oltre che tecnologico. Se lo hai intrapreso c’è, altrimenti è impensabile lo si possa realizzare in una situazione di emergenza, specie di questa entità.
Come si diceva in apertura ormai il danno è fatto, impossibile correre ai ripari ora, se non con semplici palliativi o, se siamo fortunati, trovando qualcuno che ci possa supportare in questo specifico momento.
Imparare la lezione e agire di conseguenza
Quello che va fatto è imparare la lezione ed agire di conseguenza. Dobbiamo renderci conto che manca quasi tutto e va quindi ricostruito tutto daccapo, strategia, politiche, persone, scelte tecnologiche, salvando quel poco (davvero poco) di buono che c’è.
E ci si dovrà interrogare se con questa classe dirigente che si è dimostrata assolutamente impermeabile ad ogni tentativo di procedere sulla strada della digitalizzazione (e i risultati parlano da soli), vuoi per incapacità, vuoi per pigrizia o impostazione culturale, sorda ad ogni appello, sia possibile pensare di procedere a questa ricostruzione.
Devo ammettere di non nutrire grandi speranze in merito. I segnali non sono incoraggianti, già si vedono riposizionamenti strategici, spericolati cambi di direzione. E la riproposizione della stessa “retorica” (quella dei proclami, dei super progetti, delle mega commissioni, dei campioni digitali, delle fiere, del siamo bravissimi e ce lo diciamo da soli…) sul digitale che già una volta lo ha ucciso.
Finirà così: i responsabili di questo disastro, invece che vedere riconosciute le loro responsabilità, si presenteranno come i paladini del new deal del digitale. In modo di perpetuare all’infinito la solita retorica di cui sopra cosicché il digitale possa essere ucciso ancora.