la riflessione

Nella scuola suona l’ora della cittadinanza digitale: tutte le sfide

Conoscere e comprendere le ragioni degli altri è sempre utile e necessario per la convivenza civile ma, quando ci spostiamo a livello digitale, la “semplice” comunicazione non basta: serve l’interoperabilità. Una panoramiche sulle sfide della cittadinanza digitale insegnata a scuola

Pubblicato il 29 Ott 2020

Claudio Consonni

docente innovatore, MI - EFt

proctoring - educazione civica digitale - Borsa di studio Inps

L’inizio di questo anno scolastico e tutte le attività di programmazione in corso sono segnate non solo dalle misure di contrasto al Covid19 ma anche dall’entrata in vigore di un diritto/dovere all’istruzione che riguarda tutti: dirigenti e docenti da una lato, alunni dall’altro si stanno, infatti, occupando in un modo o nell’altro anche del fatto che la cittadinanza digitale non solo esista ma che possa essere insegnata.

Vorrei allora lanciare anzitutto un appello concreto a tutte le professionalità affinché, nel rispetto delle procedure scolastiche, possano mettere in atto anzitutto dei processi di informazione e osservazione ma anche, se possibile, una partecipazione attiva a questo sforzo sperimentale che si concentrerà molto probabilmente sull’età delle scuole medie.

Mi permetto di percorrere qui alcune riflessioni per cercare di introdurre lettori esperti di digitale nelle dinamiche interne all’ambiente scolastico in modo da offrire, lo spero, qualche spunto di riflessione positiva che potrà – per chi vorrà – portare anche a qualche azione concreta a favore non solo dei ragazzi ma anche delle famiglie.

Identità e cittadinanza in continua evoluzione

Che cosa sia la cittadinanza digitale oggi è il punto di partenza del quale ogni adulto deve essere consapevole quanto attrezzato e ci permettiamo, per ora, di darlo per acquisito. Il dibattito anche recente e svolto autorevolmente su questo sito sullo SPID e sul fatto che debba essere “statale” e fornito a tutti come la Carta d’Identità elettronica (CIE) è la prima spia che ci deve fare riflettere. Il rilascio, infatti, delle Carte d’Identità è una delle funzioni principali dei nostri Comuni e ce ne accorgiamo bene quando sentiamo un anziano scandire il nome esatto del luogo dove è nato che poi magari e nel frattempo è stato soppresso, accorpato o ha avuto il nome cambiato come qualche altra piccola differenza che può comparire nelle prime facciate del cartaceo. L’identità è infatti un “bene” inalienabile ed è sempre riferita ad una appartenenza civile come è la cittadinanza. Orbene con la CIE erogata dallo Stato il forte legame municipale è destinato ad attenuarsi per il fatto che tecnologia e sicurezza si stanno imponendo.

La nostra cittadinanza digitale, dai suoi esordi negli anni 90 intendo, sta già mutando nel senso che l’autorità che la rilascia non può che essere lo Stato ma, tra non molto probabilmente, l’Unione di Stati di cui facciamo parte.

La vicenda dello SPID, ora concesso a ben nove identity provider diversi tra loro per fondazione, mission etc, potrebbe concludersi con una centralizzazione per poi “riaprirsi” con una discussione EU sull’eIDAS come ben spiegato qui.

Gli ostacoli sulla strada della cittadinanza digitale

Per chi frequenta abitualmente agendadigitale.eu, queste riflessioni appaiono legittimamente superflue e persino inutili, ma per chi oggi nella scuola si prefigge di insegnare la cittadinanza digitale  potrebbero costituire un ostacolo per gli alunni più piccoli a cui si dovrà sempre dire: “oggi si fa così ma quando tu sarai grande…” scontrandosi con la tacita obiezione dell’interessato ma, soprattutto, con quella esplicita di qualche genitore che dirà: “ma la scuola non doveva servire a imparare a leggere, scrivere far di conto?”

Proviamo a fare un esempio più adatto ai tempi tragici in cui viviamo e prendiamo il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) per scontrarci con ben altra e meno innocua realtà già nota e riproposta nel 2018 da Alessandro Baldassari: “Conosciamo bene, però, la difficoltà di dialogo e di comunicazione attraverso i sistemi informativi per il nostro servizio sanitario nazionale, sostanzialmente costituito da 21 servizi sanitari regionali, che hanno sistemi informatici diversi tra loro”.

La problematica è stata rilanciata con interventi diversi in piena pandemia da Walter Ricciardi (ex presidente dell’Istituto Superiore di Sanità e tra l’altro membro del comitato esecutivo dell’Oms, come consigliere per le relazioni dell’Italia con gli organismi sanitari internazionali), che da febbraio è anche stato nominato consulente del Ministero della Salute. Non sappiamo però se che l’argomento sia già stato sollevato in ambito sanitario o, quantomeno, nella Conferenza Stato – Regioni (tutte) e province autonome.

Dunque oggi per chi volesse insegnare cos’è il FSE, come io ho fatto sperimentalmente in tre scuole superiori tra Varese, Monza e Lecco e online e a cittadini del mio quartiere disperati per un medico curante entrato in malattia nonché in questo programma, non si potrebbe dire che questo elemento di cittadinanza digitale sia già di per sé un vero e completo passo avanti perché solo regionale e non ancora interoperabile.

Nel frattempo, infatti le Istituzioni Ue stanno andando, giustamente, verso un livello di interoperabilità geograficamente più esteso.

La cittadinanza digitale a scuola

Insomma, chi ora intende affrontare l’argomento nella scuola, anche tra docenti e genitori come già positivamente sperimentato, avrebbe mille occasioni per far emergere il campanilismo regionalistico e, dunque, riportare ai temi giuridici della parte di Educazione civica che fa riferimento alla gerarchia delle fonti legislative. Altro ottimo riferimento, utile per far lavorare le meningi, sarà quello di confrontare singole parti – ovviamente analoghe – delle ordinanze di Autorità di pari livello sulle “chiusure”. I più arditi tra dirigenti e docenti oseranno affrontare le comparazioni tra le circolari di scuole, vicine o lontane che siano. Nella scuola, detto in altre parole, le differenze anche meno motivate, logiche, razionali e persino controproducenti, possono costituire validi strumenti per svolgere ricerche, studi e “compiti di realtà”. Conoscere e comprendere le ragioni degli altri è sempre utile e necessario per la convivenza civile ma, quando ci spostiamo a livello digitale la “semplice” comunicazione non basta e deve consentire l’interoperabilità.

Nel mondo reale i nostri campanilismi, regionali o provinciali che siano, limitatamente agli aspetti digitali intendo, sono solo palle e catene ai piedi che saranno probabilmente “perdute” per imposizioni tecnologiche appunto dovute a motivi di sicurezza come successo sin dall’esordio della CIE, prodotta centralmente dal Poligrafico dello Stato ed inviata per posta nei giorni successivi ai cittadini richiedenti.

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