Prendo spunto dall’edizione 2017 della “Giornata aperta sul web” della scuola per proseguire la riflessione sull’importanza del software libero a scuola cercando di mettere a fuoco le grandi opportunità che si aprono per quelle scuole che scelgono di intraprendere questo percorso.
Nella giornata sono previsti due approfondimenti, in particolare: riguardano Lampschool e la rete di porte aperte sul web (PASW). Sono due tra le esperienze più importanti di utilizzo del software libero per la scuola nell’area gestionale, rispettivamente per il registro elettronico e per i siti web. La rete PASW, una comunità di pratica nata in Lombardia, ha da poco raggiunto i quasi 1200 siti web scolastici, mentre Lampschool è tra i registri non proprietari più diffusi, nato dall’iniziativa della Rete DematVr, cui aderiscono la maggior parte degli istituti scolastici veronesi, e non solo.
Si tratta di realtà consolidate, che rappresentano anche dei punti di riferimento dal punto di vista organizzativo.
Software libero e consapevolezza digitale
Di recente ho avuto la fortuna di avere tra i partecipanti a un master una dirigente scolastica e un’insegnante che partecipano alla rete della community di lampschool, e ho potuto notare una “consapevolezza digitale” non riscontrabili facilmente. Perché la scelta di adottare questo software per il registro elettronico non è una scelta basata sul costo e sulla volontà di non essere costretti a modelli forniti dal mercato commerciale per attività delicate di gestione e didattica.
Non solo, almeno. È una scelta di paradigma. La scuola come luogo proattivo di comunità. Perché il software libero costringe a non pensarsi come utenti, ma parte di una rete che sostiene lo sviluppo dell’applicazione, facendo sì che sia testimonianza concreta di una conoscenza condivisa, di un apprendimento costante e collaborativo. Ciascuna scuola ha previsto del personale di riferimento per contribuire allo sviluppo del registro open source vissuto come bene comune. Il software libero costringe, infatti, a far parte della comunità, e quindi a sviluppare le competenze necessarie per essere soggetti attivi in grado di collaborare. Le reti di scuole e le comunità di pratica più solide e proficue nascono da qui, da un’esigenza concreta che solo l’energia comune e la ricchezza dei contributi possono soddisfare.
Il software libero come catalizzatore
La scuola non può che essere punto di riferimento di modelli collaborativi e luogo di apprendimento continuo: per questo la rete è la sua forma di organizzazione.
Da questo punto di vista la legge sulla Buona Scuola e il Piano Nazionale Scuola Digitale non hanno prodotto la spinta che ci si auspicava: le reti di scuole non sono diventate (e non sembra possano esserlo a breve) l’ossatura della governance scolastica. Sono rimaste forme estemporanee di aggregazione su specifici temi progettuali, e le reti che sono diventate organismi flessibili per indirizzare strategie operative comuni sono ancora poche, rimangono decisamente in minoranza.
Bisogna, credo, partire da qui: dal riconoscere come strategica la diffusione di reti stabili di collaborazione tra le scuole e di comunità di pratica tra gli insegnanti e i dirigenti finalizzate a ottenere risultati concreti e fondamentali per il funzionamento scolastico. Perché solo in questo modo possono essere perseguiti gli obiettivi di dematerializzazione e di digitalizzazione non “estetica” ma profonda e legata a un cambiamento della cultura e dei processi di funzionamento.
Questo riconoscimento deve sostanziarsi con interventi specifici di supporto, e tali anche da favorire la diffusione della pratiche virtuose di messa in comune di competenze e risorse tra le scuole. Così si sviluppa una cultura dell’”openness” che è fondamentale per gli studenti, per la società intera. Sappiamo che il software libero è un catalizzatore formidabile in questa dinamica: l’auspicio è che il Miur lo riconosca e lo sostenga con forza.