Questione di metodo

Piano Scuola 4.0, è rischio cattedrali nel deserto: come evitarlo



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Grazie al Piano Scuola 4.0, gli Istituti italiani stanno riceveranno importanti finanziamenti per innovare le aule e per creare laboratori che preparino gli alunni alle professioni del futuro. Ma senza un cambiamento dei paradigmi dell’educazione, come dice Sir Ken Robinson, sarà tutto inutile

Pubblicato il 26 lug 2023

Maria Cristina Bevilacqua

Ambasciatrce eTwinning. Aggiornatrice-Formatrice.Traduttrice della Padagogy Wheel



Scuola digitale

Grazie anche ai fondi del PNRR, la scuola, che soffre da sempre di carenze croniche riguardo le dotazioni tecnologiche, oltre a quelle strutturali, con il Piano Scuola 4.0 ha modo di ridisegnare i suoi spazi per adeguare la propria offerta formativa al mondo che cambia.

Cambiare i paradigmi dell'educazione

Il Piano Scuola 4.0

Riguardo al Piano, alcuni, confondendo gli strumenti con gli obiettivi, temono che sposti esageratamente l’attenzione sulla tecnologia, trascurando i contenuti, ma chi crede che la scuola debba ripensare i ruoli dei suoi attori – dirigenti, docenti, alunni – che debba stipulare alleanze virtuose con tutto ciò che c’è al di fuori – le famiglie, gli enti e le associazioni, l’imprenditoria del territorio, e così via- che abbia la necessità di proporre esperienze educative reali e significative, si rende conto che non è così.

Quello che propone il Piano Scuola 4.0 è l’adozione di una visione condivisa da tutta l’Istituzione, di una scuola che ha a cuore le esigenze degli alunni, che con loro cresce e si rinnova, stando però attenta ad evitare di cadere nella trappola del modernismo di facciata, che può disorientare e vanificare sforzi e risorse.

Nel Piano non si parla solo di fondi e dotazioni, si evidenzia anche la necessità di una progettazione partecipata, legata alla pianificazione educativa che già si produce (il Ptof), perché l’innovazione sia veramente integrata nel curricolare, e di una necessaria attenzione alla valutazione formativa, di cui ho sentito parlare la prima volta quando mi preparai al concorso magistrale nel 1982 e che pochi sono evidentemente riusciti ad attuare, visto che nel 2023 ancora è un obiettivo da raggiungere. Forse perché la valutazione dovrebbe essere il primo step della progettazione, e non l’ultimo, per poter orientare le scelte in modo consapevole ed efficace, ma questo spostamento di step ci risulta un po’ difficile da realizzare.

“Relazione” è la parola chiave

La parola chiave di questo piano è, a mio avviso, “relazione”: la relazione che si dovrebbe creare tra gli alunni, adottando settings d’aula collaborativi; quella che si dovrebbe creare tra il personale che pianifica, progetta e lavora in modo multidisciplinare; quella che si auspica si sviluppi con tutto ciò che è intorno alla scuola e che può diventare risorsa culturale, strumentale, strutturale: le famiglie in primis, ma anche le biblioteche, i musei, i centri di ricerca, gli Enti locali, le associazioni, le imprese e così via, per la costruzione di partenariati strategici che diano valore aggiunto a tutti i partecipanti e quindi, agli alunni.

Questa epocale innovazione di spazi e strumenti esigerebbe, in realtà, una innovazione anche dei tempi, che si rende sempre più necessaria e di cui ho già parlato in un mio precedente articolo, ma anche e soprattutto un’accurata scelta, di volta in volta, delle metodologie più efficaci per gli strumenti che avremo a disposizione e per le discipline che insegniamo. La formazione che verrà, dunque, dovrà riguardare la preparazione all’uso degli strumenti, che non è il solo addestramento strumentale, che pure è necessario, data l’innovatività di alcune soluzioni adottate, ma anche la loro integrazione nella prassi didattica quotidiana, non episodica, da parte della maggior parte dei docenti, visto che almeno la metà delle aule saranno modificate da questa innovazione.

Cambiare i paradigmi dell’educazione

La formazione iniziale degli insegnanti dovrebbe prevedere, tra le altre risorse, oltre alla lettura del libro di Don Milani “Lettere ad una professoressa”, anche la visione di un video del 2010, che potrebbe sembrare ormai datato, ma oggi più che mai estremamente attuale, ”Cambiare i paradigmi dell’educazione”, in cui il pedagogista britannico Sir Ken Robinson evidenziava la necessità di un cambio di prospettiva nella visione del ruolo degli alunni nel loro percorso di apprendimento e sottolineava l’importanza dell’educazione all’esperienza estetica, in tempi in cui le STEAM erano ancora di là da venire.

Gli alunni che diventano co-costruttori del loro percorso educativo, che si relazionano ed interagiscono non solo con l’insegnante, ma anche con i compagni, a coppie o in piccoli gruppi, che trovano un ambiente attento al loro benessere -e perché no, al benessere degli insegnanti- e alla loro unicità, chiedono che l’insegnante non sposi un metodo per tutta la vita, ma che lo cambi e lo adegui alla disciplina, agli studenti, alla situazione, per aiutarli veramente a crescere e a trovare la loro strada nella vita.

Ormai è assodato, non c’è “il” metodo ideale, ma diverse metodologie che l’insegnante deve conoscere e padroneggiare, perché l’insegnamento sia veramente efficace.

Quando il Piano Scuola 4.0 parla dell’importanza della motivazione e dell’impegno attivo, si riferisce evidentemente agli alunni, ma sappiamo che il cambiamento di prospettiva che questa scuola non solo innovata, ma nuova, presuppone, chiede che ci si riferisca anche ai docenti, che di questo cambiamento sono il motore. Il ruolo dei docenti deve cambiare, la loro interazione deve diventare veramente cooperativa, la riflessione sulle concezioni educative di alunni, docenti e famiglie si rende necessaria.

Metodi innovativi? No, metodi supportati dall’innovazione

Quando il Piano Scuola 4.0 parla di Project Based Learning o di Work Based Learning, (ma possiamo riferirci a tante delle metodologie cosiddette “innovative”), in realtà stiamo parlando della stessa modalità di apprendimento per scoperta, che favorisce lo sviluppo del pensiero critico grazie all’adozione di pratiche collaborative, in contesti reali e significativi per lo studente.

Non è innovativa la metodologia in sé, ma il fatto che ora possa essere supportata dalle tecnologie, per diventare anche inclusiva, grazie anche ad una riduzione e condivisione del lavoro, all’assunzione di ruoli e compiti tra i componenti del gruppo di lavoro ed alla personalizzazione, che una pratica didattica basata sulla sola lezione-conferenza non partecipata non permette.

Ecco perché il vero nodo cruciale del piano Scuola 4.0 non è come saranno spesi i soldi, cosa compreremo con questa valanga di fondi arrivati alle scuole, ma se e come tutta questa innovazione si tradurrà in un cambiamento della didattica, quanto profondamente verrà integrata nel curricolo, se diventerà prassi quotidiana o resterà, come avviene spesso oggi, senza tante dotazioni, un episodico utilizzo di strumenti ad effetto “wow”!

La formazione dei docenti

Dunque, come sostengo sempre, c’è bisogno di formazione dei docenti, e grazie all’offerta formativa gratuita e di qualità della piattaforma “Scuola Futura” questo sta già avvenendo, ma per supportare la progettazione richiesta dalle due azioni del Piano, forse sarebbe stato necessario che questa formazione ci fosse stata a monte, per decidere con maggior criterio cosa comprare e perché.

Così come è necessario che quei (ancora troppo) pochi che si formano, in molte scuole si facciano testimoni della necessità di cambiamento nei loro Collegi Docenti, nei loro Dipartimenti, e che “raccontino” i corsi che hanno frequentato a chi non si forma da una vita, per accompagnarli verso un cambiamento che, ormai, è inevitabile. Perché sono convinta che il Peer tutoring funzioni non solo con gli alunni, ma anche tra colleghi.

Per tutto ciò che ho premesso, per chi vorrà seguirmi, presenterò su questa testata alcune delle cosiddette metodologie innovative, che possono aiutare i docenti, se non a sopravvivere, almeno ad orientarsi, in questa necessaria transizione digitale.

Conclusioni

Concludo dicendo che sicuramente un grande vantaggio, per i genitori, il Piano Scuola 4.0 lo avrà apportato: siccome tutte le scuole avranno più o meno le stesse dotazioni di strumentazioni tecnologiche, di aule immersive, di laboratori digitali, di ambienti diffusi dedicati al benessere e alla restituzione, finirà la “lucidatura degli argenti” che puntava a stupire l’utenza in occasione degli Open Days organizzati per orientare gli alunni nel momento dell’iscrizione. Le scuole saranno tutte uguali: ciò che le differenzierà veramente sarà la modalità in cui verrà erogata l’offerta formativa. E finalmente, forse, le metodologie faranno la differenza.


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