La scuola italiana sta accarezzando una piccola rivoluzione digitale, portata avanti da un piano ambizioso e di prospettiva, ancora attuale e da proseguire con determinazione. La sta accarezzando nel senso che una parte consistente delle oltre 8mila istituzioni scolastiche ha intrapreso con decisione questa rivoluzione, diventando un’avanguardia sperimentale e di studio. Anche se, bisogna riconoscerlo, ci sono ancora realtà scolastiche che non hanno agganciato, o almeno non del tutto, questo cambiamento. Il nostro impegno è arrivare a tutti gli istituti del nostro Paese per far sì che ogni scuola possa essere luogo di innovazione e che ogni studente possa avere tutti gli strumenti adeguati per una crescita piena e in linea con i tempi in cui viviamo.
Quando nel ciclismo qualcuno tenta la volata, il gruppo si allunga e aumenta la distanza con la retroguardia. In questo momento storico stiamo vivendo qualcosa di simile rispetto allo sviluppo del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD), con scuole che hanno saputo catalizzare investimenti e risorse in piani di sviluppo efficaci e innovativi e altre che non sono riuscite a mettersi abbastanza in gioco o per scarsa fiducia o semplicemente perché impossibilitate da situazioni di partenza meno favorevoli in termini di risorse umane e competenze.
Obiettivo: colmare le distanze
Il nostro obiettivo è e deve essere, però, colmare le distanze. Bisogna riflettere seriamente su come sarà possibile ridurle, individuando innanzitutto come lavorare meglio e incidere in modo più diffuso e capillare. Esistono delle resistenze strutturali di tipo culturale ma anche burocratico-amministrativo. Ma, nonostante questo quadro “frenante” il Piano Nazionale Scuola Digitale ha portato investimenti davvero significativi in risorse umane e strumentali. Se ripensiamo a dove eravamo quattro anni fa e guardiamo dove siamo oggi, la strada percorsa è davvero tanta. Vanno considerati i buoni risultati sia rispetto alla quantità di docenti formati che rispetto alle esperienze sul campo. L’impulso concomitante dei due piani nazionali, quello per la scuola digitale e quello per la formazione docenti, ha favorito un menù ricco di proposte su una molteplicità di temi e ha migliorato il bagaglio professionale di quei docenti che, pur non essendo contrattualmente obbligati, hanno voluto usufruire di questa opportunità.
Rimane tuttavia una percentuale importante di docenti e di dirigenti che devono ancora formarsi in maniera opportuna e acquisire nuove competenze digitali. Per questa ragione è necessario continuare a investire in questa direzione, cercando un miglior coordinamento nelle proposte formative e una maggiore azione di sistema che assicuri più capillarità nei territori.
Il docente, figura cardine di tutto il sistema
Il docente rimane la figura cardine di tutto il sistema. Sappiamo bene che la tecnologia e il digitale non lo possono sostituire, ma rimangono strumenti preziosi a sua disposizione per costruire ambienti di apprendimento efficaci. La competenza pedagogica, le metodologie didattiche e la relazione educativa rimangono centrali. Tuttavia, per sapere utilizzare al meglio gli strumenti digitali (e non solo) bisogna saperli maneggiare, bisogna saperne apprezzare le potenzialità didattiche, perché è necessario conoscere e sperimentare sul campo le diverse competenze che il XXI secolo richiede. E questo è indispensabile anche per evitare che la facilità di accesso all’informazione diventi una “formazione” sommaria e superficiale.
La dimensione educativa impone una capacità di leggere il nostro presente senza semplificazioni, una sempre maggior consapevolezza del nuovo contesto culturale che la Rete, il cloud e il digitale stanno portando. Le competenze del XXI secolo sono sempre più urgenti per tutti i cittadini, non solo per gli alunni. Una scuola che non se ne interessi è una scuola fuori dal tempo. Una scuola che le prenda in carico e sappia innestarle nei curricola integrandole con i “canoni tradizionali” è all’altezza del suo compito istituzionale e della sua missione. Non serve inventare qualcosa di nuovo, serve aggiornare i traguardi rispetto alle attuali esigenze formative. Essere competenti significa prima di tutto conoscere, per poi saper agire in modo corretto. La stucchevole polarizzazione fra la scuola delle competenze e quella delle conoscenze non esiste nei fatti. Dove esiste, significa che non è sviluppata una buona didattica.
Le tecnologie e il digitale oggi sono ormai strumenti ordinari, non più nuovi. Gli analfabetismi attuali passano anche da qui e più – e prima – ne siamo consapevoli e meglio è per tutti. Se è vero che il digitale in sé non è garanzia di successo formativo ma che questo passa attraverso le metodologie e la buona didattica, è però anche vero che la tecnologia e la Rete ci portano possibilità e opportunità che fino a un lustro fa erano impensabili.
Molti docenti riescono infatti a sviluppare con ottimi risultati attività autentiche, compiti di realtà, prove esperte stimolando la creatività e la collaborazione fra gli alunni. Girando per le scuole si tocca con mano questa vivacità, questo ritorno a un approccio più costruttivista che richiama dal passato una grande tradizione pedagogica italiana. Gli atelier, le biblioteche innovative, i nuovi ambienti innovativi, flessibili, inclusivi sono le intuizioni più coraggiose del PNSD e stanno gradualmente portando a un’idea funzionale di “palestra” in cui sviluppare più competenze.
Il digitale oltre lo smartphone e l’ebook
Vedere il digitale solo nello smartphone o nell’ebook alternativo al libro cartaceo è una visione riduttiva e piuttosto semplificatoria. Il PNSD ha uno sguardo molto più ampio: il pensiero computazionale, il coding e i suoi linguaggi di programmazione, la robotica educativa, il making, il tinkering, l’autoproduzione di OER sono nuove proposte che spostano lo sguardo fuori dagli schermi e presuppongono un continuo scambio fra pensiero concreto e astratto e stimolano appunto creatività, pensiero e lavoro collaborativo. Partono da competenze e conoscenze disciplinari ma arrivano sempre a competenze e conoscenze interdisciplinari.
Bisogna continuare a investire in questa direzione portando le esperienze in campo e le sperimentazioni a disposizione delle scuole, creando modelli sostenibili e replicabili. Sostenibilità e replicabilità sono strategiche di fronte alla rapida obsolescenza dei dispositivi e della manutenzione ordinaria degli stessi. Se da un lato vanno previsti dei fondi dedicati, dall’altro occorre un’azione di monitoraggio e di manutenzione ordinaria attualmente in carico al personale scolastico o ad aziende esterne. Soprattutto nel primo ciclo l’assenza di personale tecnico qualificato costituisce un punto di debolezza che potrebbe essere risolto con la creazione di posti di personale specializzato a vantaggio di reti di scuole, se non fosse possibile prevederli per i singoli istituti.
Nuovi finanziamenti per le attività degli animatori digitali
Un eventuale “tecnico di laboratorio” che rimanga come figura prettamente tecnica, da inserire nel team digitale accanto all’animatore digitale, che deve rimanere figura di sistema strategica, di relazione, di progettazione e di coinvolgimento della comunità scolastica sui temi dell’educazione al digitale.
L’animatore digitale è la figura di sistema che deve costituire quella massa critica all’interno degli istituti e che poi riesca, nei tempi giusti, a coordinare e portare avanti l’innovazione. Proprio in questi giorni abbiamo annunciato importanti novità per loro e per le scuole: sono in arrivo oltre 8,2 milioni di euro per finanziare l’azione degli animatori digitali. È stato firmato un decreto che stanzia fondi che gli istituti potranno utilizzare per rendere sempre più operativa l’Azione #28 del Piano Nazionale Scuola Digitale, il cui obiettivo è la realizzazione di attività di formazione interna e di coinvolgimento di tutta la comunità scolastica sui temi dell’innovazione. Gli animatori digitali svolgono un importante ruolo di coordinamento e di promozione dell’innovazione didattica. Li stiamo supportando nel loro lavoro, perché crediamo che i nostri istituti debbano avere tutti gli strumenti necessari per vincere e governare le sfide dei tempi in cui viviamo.
Fondamentale è l’apertura delle scuole ai territori con convenzioni e accordi. Le galassie dei Fablab e dei Coder Dojo e di tante associazioni, cooperative e aziende che si occupano di sviluppo digitale e di cittadinanza digitale sono una realtà diffusa; va sostenuta ogni forma di collaborazione e di integrazione fra l’esperienza di questi gruppi di avanguardia e le esigenze dei nostri istituti. Per rimanere a un esempio abbastanza attuale, se è materialmente e culturalmente complicato portare un fablab in ogni scuola, anche se molto è stato fatto e si continua a fare per raggiungere questo risultato, non è poi così impossibile portare la scuola al fablab o i maker del fablab a scuola. Esistono centinaia di esempi e modelli in tal senso. Serve però sempre la regia della didattica, nella dimensione educativa che solo i nostri docenti e la nostra scuola possono dare.
Una sfida della scuola
Per questo la sfida del Piano Nazionale Scuola Digitale rimane una sfida della scuola. C’è da spingere le retroguardie in avanti e ricompattare il gruppo, continuando a pedalare a buona velocità. Occorre supportare bene le due dinamiche: da un lato incentivare il recupero e la messa a sistema delle buone esperienze in modo più diffuso e capillare, dall’altro continuare con le sperimentazioni e lo sviluppo di percorsi innovativi che costituiscano un modello di riferimento e di studio da cui trarre indicazioni per la replicabilità in altri contesti. Una non esclude l’altra, ma dà senso all’altra.
Continuiamo questa piccola rivoluzione, nell’auspicio che fra qualche anno non si parli più di nuovo ma di consueto, che il digitale e la Rete diventino talmente trasparenti da essere utilizzati con assoluta naturalezza, come se prendessimo un compasso dall’astuccio.
Ci sono due certezze: che i cambiamenti culturali hanno bisogno di tempo ma anche di determinazione; che i nostri ragazzi devono essere messi in grado di conoscere le potenzialità e i rischi dell’epoca che stiamo vivendo, attraverso un’educazione a 360 gradi che coinvolga tutti gli aspetti della persona, su cui e in cui le tecnologie, da sempre, hanno una parte importante. In fondo sono l’estensione e la proiezione delle potenzialità fisiche, psicologiche e relazionali di ognuno di noi. Non serve chiudersi nel passato e innalzare trincee. L’uomo di oggi non è più l’uomo di ieri. Piuttosto, bisognerebbe pensare a un’organizzazione diversa del tempo scuola e a un superamento del concetto rigido di classe, ad ambienti più funzionali al lavoro con metodologie più inclusive ed efficaci, ma questo è un altro argomento.