strumenti, competenze e formazione

Piano Nazionale Scuola Digitale, aggiornarlo per renderlo attuale: ecco come

Il lavoro fatto in questi 5 anni in termini di digitalizzazione e svolta metodologica nella scuola italiana non va disperso, ma rafforzato e diffuso. Per questo occorre aggiornare il Piano nazionale Scuola digitale al contesto attuale, in un’ottica infrastrutturale e tecnologica da un lato, didattica e pedagogica dall’altro

Pubblicato il 15 Set 2020

Gabriele Benassi

già Consulente della vice ministra Anna Ascani, Servizio Marconi TSI USR ER, Equipe formativa nazionale

Photo by Surface on Unsplash

Il Piano Nazionale Scuola Digitale sta per compiere 5 anni. Occorre dare un forte rilancio a molte delle azioni previste, anche alla luce della recente accelerazione della didattica a distanza. Non c’è la necessità di riscriverlo, essendo un documento coraggioso, concreto e di avanguardia[1]. C’è però la necessità di “aggiornarlo”, nel senso etimologico del termine, perché la scuola di oggi è già diversa da quella di ieri, pur mantenendo costanti le resistenze e i nodi problematici legati ad un modello di autonomia non compiutamente realizzata[2]. Le indagini statistiche e i diversi monitoraggi fanno emergere con chiarezza che, dove la triade strumenti/competenze/formazione si è sviluppata in modo integrato e graduale, l’innovazione si è radicata nel tessuto scolastico contribuendo ad una sostanziale “normalizzazione[3]” del digitale. Dove questo non è avvenuto, questa “normalizzazione” è ancora lontana dal vedersi e si procede per slanci e pause.

Un Piano Nazionale (e l’Italia sappiamo quanto sia eterogenea) scuola digitale (forse sarebbe meglio definirlo “scuole digitali”!) ha, di fatto, tre “sguardi” che ne regolano i tempi di azione e le modalità:

  • uno sguardo “situazionale” (del quotidiano): concreto e pragmatico sull’oggi e sulle urgenze.
  • Uno sguardo “strutturale” (di evoluzione), che veda in prospettiva le priorità di azione e investa sul consolidamento di tutti i requisiti che permettano lo sviluppo del digitale a scuola.
  • Uno sguardo “ispirazionale” (di rivoluzione), che sappia proporre e sperimentare una reale innovazione della didattica e delle modalità di apprendimento.

Partendo dallo sguardo situazionale, proviamo a dare un quadro complessivo con una prospettiva a breve termine.

La DAD/DDI non è il digitale a scuola ma ne è solo una parte

Le recenti linee ministeriali sulla Didattica Digitale Integrata su cui non mi soffermerò qui non vanno confuse con lo sviluppo del digitale a scuola. Il saper utilizzare da discente o docente una piattaforma, caricare o creare file, condividere e pubblicare, gestire una videoconferenza sono solo una piccola parte degli obiettivi del PNSD.

Pensare di ridurre il digitale a scuola ad uno strumento sostitutivo della presenza attraverso una simulazione della stessa, a distanza, è un autogol clamoroso. Il digitale è uno strumento perfettamente integrabile con l’analogico, favorisce l’inclusione e l’accessibilità, la collaborazione e la revisione continua; riporta, finalmente, a scuola una dimensione costruttivista, del fare, del creare, del poter sbagliare, del pubblicare. Il digitale ci aiuta a portare la realtà e l’autenticità in classe. Ci permette di velocizzare i processi, semplificare visivamente i contenuti, moltiplicare e sfruttare i canali comunicativi attraverso la multimedialità. Ancora, di pensare, progettare e sviluppare idee, di collaborare a piccoli gruppi su azioni e progetti concreti e visibili, apprezzabili. Ci permette di sfidare i nostri alunni in attività autentiche, con le web radio, il disegno e la stampa 3D, la programmazione, il tinkering, lo storytelling, il videomaking, la tv. Ci permette di rinnovare l’accesso alla cultura, alle biblioteche, agli open data, permettendo una fruibilità immediata a miniere di contenuti sul cui approccio critico il docente diventa sempre più essenziale e strategico[4].

I docenti che stanno sperimentando tutto questo stanno diventando sempre più competenti ma siamo ancora molto lontani dall’introdurre queste possibilità nel curricolo ufficiale e ancor di più in quello “nascosto”, quello legato alla consuetudine e alla routine didattica che si perpetua in modo impermeabile ai cambiamenti legislativi e metodologici.

È da auspicare una contaminazione maggiore fra le scuole e potrebbero essere utili dei modelli operativi di riferimento già agganciati allo sviluppo delle indicazioni nazionali e dei curricoli, per fare intuire ai docenti meno coinvolti e più scettici le possibilità pedagogiche e formative di queste attività, non solo dal punto di vista motivazionale[5]. Per altro le generazioni dei nostri alunni vivono la dimensione digitale come necessaria nel presente, non come possibilità futura. Di per sé il lavorare anche con il digitale dovrebbe storicamente essere una normalità necessaria e non una opportunità possibile.

Il prerequisito necessario, la connessione

La connettività rimane la condizione necessaria a qualsiasi sviluppo del digitale. Ad oggi gli Istituti non connessi sono rimasti il 10%, ma dei 25.462 istituti scolastici solamente 8.000 sono connessi con la fibra ottica, di cui la maggior parte in Emilia-Romagna.

Si sono finalmente sbloccati 400 milioni di euro che porteranno la fibra entro il 2021 a 40.000 istituti scolastici, secondo le linee del COBUL e delle regioni. È l’accelerazione che tutti ci aspettavamo, con qualche anno di ritardo. È una buonissima notizia.

L’aumento dei dispositivi

La didattica a distanza ha messo in evidenza l’importanza dei dispositivi, aumentando la dote nelle scuole (con i bandi dedicati agli acquisti per i comodati d’uso alle famiglie con digital divide) e maturando in molte famiglie la consapevolezza dell’importanza per i figli di strumenti adeguati a lavorare con il digitale.

Assisteremo dunque, già da settembre, a un aumento considerevole dei dispositivi nelle mani dei nostri alunni, di proprietà o lasciati in comodato d’uso. Presupponendo come probabile una modalità blended degli insegnamenti, si spera più a scuola che a casa, ci sarà la necessità di avviare e potenziare il byod in ogni istituto (sia a livello infrastrutturale che di tutela e protezione degli accessi alla rete) in linea con l’azione sei del piano nazionale scuola digitale.

Avere in mano lo strumento aiuta certamente a conoscerlo ma la sfida sarà quella di definire gli spazi di utilizzo finalizzati ad obiettivi di apprendimento specifici, esattamente come per gli altri strumenti che mettiamo nelle mani degli alunni. Un dispositivo in mano per fare cosa? È un mezzo, non un fine[6]! Solo per ascoltare e vedere un prof che parla? o per redigere testi, elaborare statistiche, costruire elaborati digitali, consultare fonti, leggere libri, fruire di risorse edu ..? Un dispositivo in mano per un lavoro solitario ed isolato, o per interagire e collaborare nel cloud, in ambienti digitali messi a disposizione dell’istituto, vissuti non come “granai” e “archivi” ma come grandi tavoli di collaborazione?

Gli ambienti digitali (vuoti) e le piattaforme editoriali (piene)

La didattica a distanza e l’imminente didattica digitale integrata hanno portato all’ordine del giorno anche il tema delle piattaforme, in realtà già ben presente nel Piano Nazionale Scuola Digitale con l’azione 22[7]. In questo quadro rientrano anche le piattaforme editoriali, realmente sottoutilizzate per la poca flessibilità e la scarsa interoperabilità. Oggi abbiamo scuole che utilizzano piattaforme vuote da riempire, con in parallelo piattaforme con contenuti editoriali pronti, ma rigide e poco fruibili. Occorrerebbe arrivare, preservando certamente gli interessi commerciali delle case editrici, ad uno standard di contenuto che possa essere utilizzato in modo immediato e fruibile nelle piattaforme già in uso negli istituti, perché è impensabile che gli alunni e i docenti interagiscano su più piattaforme. Questa scarsa comunicabilità e interoperabilità fra gli ambienti editoriali e quelli in uso nelle scuole sta certamente favorendo la creazione di contenuti autoprodotti e il riuso di file condivisi negli spazi collaborativi delle varie app dai docenti stessi, di ogni parte del mondo.

Il tema delle piattaforme e quello dei contenuti digitali è fondamentale per lo sviluppo digitale delle nostre scuole, ma si innesta in modo profondo alle abitudini di lavoro dei docenti e alla capacità degli stessi di programmare unità di apprendimento efficaci e chiare.

L’auspicio è arrivare ad una maggiore integrazione fra i libri di testo online (con le loro espansioni digitali) e le piattaforme in uso agli istituti, attraverso standard comuni che consentano la multi operabilità e la flessibilità di utilizzo di ogni learning object. Almeno, come obiettivo minimo, consentire su tutti gli ambienti digitali frequentati il single sign on (azione otto del PNSD).

La difficile di-gestione del libro digitale a scuola

Le scuole che hanno creato e introdotto biblioteche innovative organizzate anche con il Digital lending stanno gradualmente educando alunni e famiglie alla lettura e all’utilizzo sistematico del supporto digitale. Il periodo di lockdown ha notevolmente aumentato questa buona prassi e i book Reader e i tablet sono diventati molto più apprezzati. La nostra scuola (e il nostro paese) arrancano su questo tema, probabilmente perché inizialmente portato avanti in modo polarizzato fra cartaceo e digitale. I due supporti coesistono serenamente e si supportano vicendevolmente, ma poter accedere in ogni momento a testi e a contenuti digitali con una spesa spesso irrisoria o comunque molto contenuta, è un lusso che i docenti e i discenti di ogni generazione avrebbero messo fra i sogni impossibili. Oggi che abbiamo questa possibilità, non la sfruttiamo per scarse competenze digitali o per una infatuazione dell’oggetto libro o perché culturalmente poco preparati al rapporto diretto con gli autori e le fonti. Nessuno mette in dubbio la bellezza del contatto fisico (mica abbiamo messo all’indice i libri!) ma qualcuno sta mettendo in dubbio l’accessibilità ai saperi, come operazione sempre più a “portata di mano”. La scuola su questo si deve interrogare a fondo e investire in una educazione reale alla lettura e allo studio in digitale, prendendo atto che il digitale è il supporto più quotidiano e diffuso già oggi e valorizzandone anche l’impatto ecologico, oltre a quello legato all’accessibilità e all’inclusione ( sintesi vocali, impostazioni delle pagine etc..)

Le attività con il digitale: vale più la pratica

Molte delle attività e proposte mosse dal Piano Nazionale scuola Digitale presuppongono metodologie costruttiviste come il learning by doing e il project based learning, favorendo un approccio che integri l’astrazione alla praticità in una consequenzialità logica. Partendo dal tinkering per i più piccoli e arrivando al making, al coding, alla robotica (tutte attività fino a cinque anni fa sconosciute ai più), molte realtà scolastiche hanno arricchito la loro offerta formativa portando i propri alunni a valorizzare delle idee, svilupparle nel concreto, imparare a lavorare a piccolo gruppo su progetti che portino ad un risultato tangibile ed evidente, innestando immediatamente le competenze digitali a quelle relazionali e disciplinari. Il digitale non è quindi solo uno strumento al servizio delle discipline, ma anche le discipline possono essere al servizio del digitale, quando vengono utilizzati i saperi e le abilità per creare e sviluppare idee, anche imparando dagli errori che diventano a tutti gli effetti occasioni di apprendimento e spunti di analisi. Queste attività sono certamente da consolidare e diffondere, ma vanno assolutamente viste dentro il curricolo di istituto, innestate nella progettualità delle scuole. Occorrono a livello centrale delle linee di indirizzo e school kit che le rafforzino e le rendano accessibili e replicabili, ma è urgente soprattutto inquadrarle fra gli obiettivi e i traguardi già presenti nelle indicazioni nazionali e nei loro aggiornamenti. Le competenze digitali, come il lockdown ha dimostrato, sono necessarie e assolutamente trasversali. Purtroppo, questa trasversalità, così apprezzata e cercata in altri contesti, nella nostra scuola irrigidita nelle cattedre e nel monte ore disciplinare viene soffocata facendo coincidere, per esempio nel primo ciclo, queste competenze con il rendimento scolastico in tecnologia e informatica. Su questo la nostra scuola sconta una forte confusione di fondo e una continua contaminazione tra curricolo formale e curricolo nascosto. Non è un caso che, recentemente, sia stata risollevata la proposta di dedicare al digitale e alla cittadinanza digitale delle ore curricolari autonome che abbiano la stessa dignità delle altre discipline, per assicurare a tutti gli alunni comunque uno zoccolo duro ed essenziale di conoscenze e competenze digitali. La soluzione potrebbe trovarsi nell’aggiornamento del curricolo di Tecnologia nel primo ciclo, già previsto nell’azione 18 del PNSD, nel quadro di un curricolo verticale sul digitale, organico e graduato. Un esempio può essere il modello adottato presso l’IC3 di Modena.

Il quadro delle competenze digitali

Il DigiComp 2.1 e il DigiComp Edu rimangono i due quadri di riferimento europei più aggiornati per definire e favorire lo sviluppo delle competenze digitali. Il campo di gioco su cui si spendono queste competenze è molto vasto e va dalla dimensione più tecnica a quella più sociale e civica.

A livello ministeriale è urgente e opportuno un tavolo di lavoro che coordini assieme le azioni del Piano Nazionale Scuola Digitale, del nuovo curricolo di cittadinanza, della didattica digitale integrata, il tutto coerentemente e in sinergia con la strategia nazionale per le competenze digitali lanciata dal ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione il 21 luglio scorso. Questo non per creare l’ennesimo gruppo ma per definire una linea condivisa ed integrata, per finalizzare al meglio gli investimenti e le strategie nella scuola. Serve una maggior consapevolezza delle priorità ed una azione di sistema ben orientata e pragmatica.

Le competenze digitali dei docenti e la formazione

Il tema delle competenze digitali è strettamente connesso con quello della formazione docenti. Ad oggi si sono moltiplicate le occasioni formative, ma non tutti i docenti ne hanno approfittato. Ancora, non tutta la formazione è di qualità e soprattutto, a fronte di un quadro organico delle competenze digitali del docente (il DigiComp Edu, appunto) non esiste formalmente un percorso formativo organico e organizzato per obiettivi e livelli, come, per esempio, nel modello spagnolo con il Marco Común de Competencia Digital Docente su cui sono calibrate le formazioni e la loro certificazione.

Nel nostro modello le occasioni formative sono legate alle singole attività o metodologie e mai ricondotte ad un quadro più complesso e strutturato di competenze raggiunte e da raggiungere. Manca completamente l’idea di un curricolo e di un portfolio del docente.

Sulla formazione docenti va inoltre strutturato meglio il percorso universitario che non può non prevedere degli approfondimenti sulla didattica con le nuove tecnologie e il digitale e delle esperienze di tirocinio mirate, con scambi efficaci fra scuole e mondo accademico.

L’animatore digitale e il suo team

Una delle intuizioni più importanti del Piano è stata la nascita della figura dell’animatore digitale di istituto e del suo piano triennale (azione 28) che ha certamente portato in tantissime scuole un contributo decisivo per la diffusione del digitale. Come spesso avviene, questa figura è quasi a costo zero per l’amministrazione, non prevedendo distacchi, assorbendo nella maggior parte dei casi una funzione strumentale e comunque rimanendo una figura “fra le linee”, nemmeno prevista nell’ultimo contratto. Sarebbe di assoluto buon senso cercare di liberare gli animatori digitali per alcune ore dalla classe, per consentire maggior efficacia alla loro azione. Alcune scuole sono riuscite a farlo con buoni ritorni attraverso l’organico dell’autonomia ed i risultati sono stati certamente positivi.

Allo stesso modo, il team digitale dell’animatore deve diventare in ogni scuola quella massa critica che aiuti la diffusione delle nuove esperienze e metodologie, anche con le nuove tecnologie. Deve cioè essere costituito da docenti che sposino l’innovazione come opportunità di sperimentazione, secondo per altro i principi dell’autonomia scolastica[8]

Investire maggiormente nelle risorse umane

Una delle difficoltà strutturali del PNSD è individuabile nella scarsa capacità di azioni di sistema. Le equipe formative nazionali sono un tentativo di supportare le azioni delle singole scuole, cercando di favorire reti collaborative e condivisioni di buone prassi. Dove c’è un buon coordinamento dagli Uffici Scolastici Regionali e persone competenti in azione, lo sviluppo digitale degli istituti è più coeso e capillare. Dove questo non avviene, prevalgono le oasi nel deserto legate magari al dirigente illuminato di turno.

In questa direzione c’è molto lavoro da fare, perché non basta dare gli strumenti alle scuole, serve formazione, metodologia, sperimentazione.

Se si vedono cospicui investimenti in direzione di acquisti di hardware e software, non si vede all’orizzonte una parallela lungimiranza nel valorizzare le risorse umane che possano accompagnare lo sviluppo e l’educazione digitale nelle scuole. Troppi ruoli strategici a costo zero, parallelamente ad una moltiplicazione delle tecnologie a scuola. La sperimentazione, la formazione, la manutenzione, la documentazione richiedono tempo e lavoro ma nelle scuole, fra le mille attività da retribuire extra docenza, chi se ne occupa se non qualche docente appassionato? Può un investimento come quello degli ultimi cinque anni in hardware e software non essere accompagnato da risorse umane preparate e da valorizzare in questa sfida educativa del XXI secolo?

Conclusioni

Il lavoro che è stato portato avanti in termini di digitalizzazione e svolta metodologica nella scuola italiana negli ultimi cinque anni non deve essere disperso e va rafforzato e diffuso. Per questo è fondamentale aggiornare il Piano nazionale Scuola digitale al contesto attuale, in un’ottica infrastrutturale e tecnologica da un lato, ma anche didattica e pedagogica dall’altro. Per avere una svolta significativa occorre però investire di più sulle risorse umane e strategiche nella scuola, se non vogliamo buttare anche quello che di buono è stato fatto in questo quinquennio. Un conto infatti è gestire una digitalizzazione di un istituto scolastico in fase iniziale, un conto è sostenere e garantire la mole di lavoro conseguente ad un istituto già digitalizzato e operativo in questa direzione.

Lo sviluppo digitale deve però portare i collegi docenti ad una consapevolezza del compito educativo che la scuola italiana ha oggi, necessariamente. Le competenze digitali devono essere trasversali, praticate, diffuse in tutte le discipline ed è urgente una formazione collegiale non teorica ma pratica, “mani in pasta” su come il curricolo digitale debba essere articolato, sviluppato e valutato, gradualmente, nel percorso di formazione e crescita degli alunni.

Il terzo scenario, quello innovativo – rivoluzionario, possiamo per ora solo intravvederlo in lontananza, fra intelligenza artificiale e realtà aumentata, robotica, programmazione e internet of things. Ne parleremo.

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  1. Per una analisi attenta, rimando ai contributi del Professor Paolo Ferri: “Scuola digitale, l’Italia ha frenato: ecco le prospettive 2019” e “Scuola digitale: un ossimoro
  2. Campione Contu / Biancato Fini 
  3. Si intende per “normalizzazione” l’utilizzo quotidiano e naturale del digitale nella didattica
  4. Illuminanti due interviste al filosofo Michel Serres su “Le Monde” del 5/03/2011 “Éduquer au XXIie siècle” e su Revue Projet Numérique: « On a encore plus besoin du professeur » del 11/03/2015.
  5. Sull’impatto del digitale nella didattica, anche se dal punto di vista dell’educazione linguistica ma, a mio parere, estendibile anche alle altre discipline, illuminante è il contributo del professor Matteo Viale di cui parlai già su Agenda Digitale il 17/11/2017.
  6. Invito a rileggere il documento del Ministero sul Byod attuale e da riprendere in tutte le scuole.
  7. Si invita a leggere in particolare pagina 97 del PNSD, dove ben si inquadrano le risorse digitali fra fruizione e interazione, punto ignorato dalle recenti linee sulla DDI.
  8. DPR 275 08/03/1999 “Le istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate, esercitano l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, tenendo conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali.”

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