L’era del “prima si studia, poi si lavora” ci sembra ormai chiusa e lontana perché da tempo si ragiona di alternanza tra scuola e lavoro e più di recente di percorsi di orientamento (PCTO). Abbiamo esplorato cosa fanno gli altri paesi, come la Germania, con il sistema duale, e abbiamo scoperto il miracolo italiano degli istituti tecnici superiori (ITS) in termini di occupazione giovanile. Quindi tutto a posto? Sappiamo cosa fare per connettere scuola e mercato del lavoro e ridurre la disoccupazione? Allora perché non ci riusciamo?
La distinzione (da superare) tra scuola e lavoro
Temo che in realtà il nostro frame mentale sia sempre ancorato alla netta distinzione tra scuola e lavoro, che rimangono due condizioni di vita diverse e separate. La sfida è solo farle incontrare nel migliore dei modi, creare occasioni di comunicazione, di convergenza, non più in successione, ma in contemporanea. Ma questo non basta. Propongo allora una piccola analogia matematica: proviamo a scoprire la proprietà commutativa di scuola e lavoro, come termini intercambiabili. Dove c’è lavoro, lavoro ben fatto, c’è scuola, perché si continua a imparare. Dove c’è scuola, c’è fare, ci sono le mani in pasta, si produce conoscenza, c’è lavoro e sviluppo. Si impara a saper fare.
L’accelerazione nelle trasformazioni indotte dalla rivoluzione digitale avrebbe dovuto insegnarci almeno questo: se non impariamo più velocemente, non siamo capaci di risolvere in modo tempestivo i nuovi problemi e rimaniamo sempre indietro. Dobbiamo portare più scuola nel lavoro e più lavoro a scuola, ed è solo mettendo insieme scuola e lavoro, non importa in che ordine, che possiamo risolvere i problemi più urgenti di questo nostro tempo.
Non possiamo ridurre il lavoro alla mera occupazione e il ruolo della scuola a agenzia di collocamento. L’obiettivo della scuola non è trovare lavoro agli studenti, ma formare cittadini “interi” con una forte cultura del lavoro, parte del nostro patto costituzionale di convivenza civile. È compito della scuola formare una nuova generazione di persone consapevoli che il vero lavoro consiste proprio nell’apprendimento continuo. Non basta più imparare a fare un lavoro.
I sogni dei ragazzi fotografati dal PISA
L’Ocse studia le aspirazioni lavorative dei giovani di tutto il mondo e le mette a confronto attraverso Pisa, l’indagine internazionale sui giovani. I ragazzi e le ragazze continuano a sognare i lavori di un tempo, quelli più popolari e tradizionali, come medici, avvocati o manager. Sicuramente non sanno cosa faccia un cloud platform engineer o un esperto di data labeling. Dobbiamo aiutare i giovani a comprendere le trasformazioni del lavoro con la consapevolezza, però, che stiamo raccontando solo una parte del cambiamento in atto. Nel suo contributo di qualche mese fa, Veronica Balocco, con gli studi dell’International Data Corporation (IDC), ci ricordava che la trasformazione innescata dal digitale sul lavoro è solo all’inizio. Ecco perché dobbiamo aiutare i giovani a capire che il lavoro del futuro è l’apprendimento continuo. Perché ora non siamo più in grado di prevedere cosa sarà successo nel mercato del lavoro quando i giovani che oggi frequentano le aule scolastiche avranno conseguito il loro titolo di studio.
Il lavoro didattico nella scuola che funziona
Nel 2016 Tullio De Mauro intervistato per la realizzazione di due documentari, “Le competenze per vivere e lavorare” e “Competenti si diventa”, nati dalla collaborazione tra Inapp e Rai, spiegava come vedeva il rapporto tra scuola e mondo del lavoro. “Questo rapporto risulta sempre produttivo”, spiegava, “ma a una condizione, ovvero che l’uscita dalle aule e l’andata in azienda sia progettata e seguita come un momento di sviluppo intellettuale e sviluppo delle persone; se è una specie di più, una gita (…) slegata da un progetto di crescita culturale delle ragazze e dei ragazzi si tratta di una gita a vuoto, è tempo perso; invece è un tempo guadagnato e prezioso per lo sviluppo intellettuale se viene ben progettato e collegato al lavoro didattico complessivo”. E mi piace sottolineare l’espressione “lavoro didattico”, perché è questo che si fa nella scuola che funziona, il lavoro dell’apprendimento.
Ora la terza sfida è portare la scuola che funziona a tutti. Bisogna rimettere in moto l’ascensore sociale che consente a chi vive in condizione di maggiore disagio e fragilità di trovare uno strumento per risalire e poi portare con sé altri “pezzi” di comunità, i compagni o sorelle e fratelli. Occorre aiutare le comunità educanti a dotarsi di strumenti per interpretare i cambiamenti in corso. Come fare?
Conclusioni
Ho da sempre un approccio molto concreto ai problemi, non mi piace discutere in astratto di soluzioni, preferisco condividere quello che sto sperimentando con la Fondazione Mondo Digitale, anche se magari è ancora da perfezionare e migliorare. L’emergenza sanitaria ci ha spinto a investire sempre di più in un’offerta formativa personalizzata in grado di rispondere alle sfide poste dai repentini cambiamenti e di supportare le nuove fragilità emerse con la pandemia. Non possiamo dimenticare che sono proprio i lavoratori più fragili la sfida più grande, perché sono i più esposti a ogni crisi e sono nello stesso tempo i grandi assenti nelle azioni formative. Se non imparano a imparare, a ogni crisi sono i primi espulsi dal mercato. Vanno aiutati a reinserirsi, ma soprattutto devono appassionarsi nuovamente alla formazione per sviluppare una mentalità anti-fragile, l’unica direzione che può aiutare a sopravvivere a nuove ondate di depressione economica.
Con approcci diversi (progetti di sistema, di rete, di servizio ecc.) stringiamo alleanze ibride, dalle grandi corporation tecnologiche alle fondazioni bancarie, in modo da offrire più percorsi e soluzioni, con un approccio aperto o fortemente specializzato. Al contrario di altre organizzazioni non profit, che tendono a stringere alleanze tra simili, per noi è fondamentale il lavoro di tessitura di alleanze collaborative ibride, con aziende, scuole, università, amministrazioni locali e centri per l’orientamento e l’impiego.
Ad esempio, con Operazione Risorgimento Digitale, programma promosso da TIM, è partita la prima Scuola di internet diffusa per tutti. Con Facebook e Vagone FMD sperimentiamo a Binario F la prima comunità di pratica digitale, coinvolgendo pmi e organizzazioni del terzo settore. Ci occupiamo di competenze digitali e trasversali per il lavoro con Microsoft, Google e diversi enti locali. Lavoriamo sulle tecnologie abilitanti, anche per l’imprenditoria, in diversi settori, dalla moda alla biorobotica, con Altaroma, Sap, Lazio Innova, Regione Lazio, Johnson&Johnson.
E lanciamo continue sfide di progettazione collaborativa per costringere scuole, atenei e aziende a lavorare insieme. E funziona!
Il nostro ecosistema formativo da 0 a 100 anni, quindi per tutto l’arco della vita, è basato proprio su scuola e lavoro, e si avvale della loro straordinaria proprietà commutativa.