Sembra che questo sia l’ultimo anno (o il penultimo, non è ben chiaro) in cui le prove Invalsi vengono svolte su carta.
Certamente, questo è l’ultimo anno in cui le prove Invalsi si svolgono durante gli esami di licenza nelle scuole medie, e dal prossimo anno le prove di italiano, matematica e inglese si svolgeranno anche nelle classi quinte delle scuole superiori, sempre durante il corso dell’anno scolastico, con partecipazione obbligatoria, e come requisito di ammissione per l’esame di maturità.
Ma torniamo al superamento della prova su carta.
Non è solo un problema di costi, che comunque non sono bassi (circa 14 milioni, tra costi di stampa e di distribuzione). E non è solo un problema di accuratezza dei dati: oggi sono tutti inseriti manualmente, per di più attraverso un farraginoso sistema basato su fogli di calcolo da scaricare e compilare localmente per poi essere riportati sulla piattaforma online.
L’utilizzo del computer (si auspica su un’applicazione web) significa senz’altro rendere il processo di svolgimento delle prove più rapido e meno impegnativo dal punto di vista organizzativa, ma è importante per una ragione in più: apre la porta all’area delle competenze digitali.
Sappiamo che il test PISA dell’OCSE prevede per il 2018 anche la valutazione sulle cosiddette “competenze globali”, come le competenze informative e, in generale le competenze digitali, che consentono di utilizzare la rete in modo consapevole e fruttuoso. Il passaggio alle prove online consente di pensare che il cambiamento delle prove Invalsi possa anche prevedere un arricchimento su questo fronte.
Purtroppo, al momento, nulla di tutto questo sembra essere all’orizzonte. Le competenze digitali, anche per il prossimo anno, saranno fuori dalle prove Invalsi, sembra.
E questo lascia però prefigurare che il passaggio online sia solo una digitalizzazione dell’esistente, pessima interpretazione dell’innovazione digitale, che la mortifica e la rende inutile. In un contesto scolastico, anche dannosa.
Se le prove Invalsi continuano ad attirare più polemiche che consensi qualche ragione ci sarà pure. E non credo sia il fatto che vengano somministrate prove standardizzate che richiedono una soluzione individuale e un tempo di svolgimento definito. Il tempo è una variabile fondamentale in qualsiasi attività umana, ed è una risorsa preziosa, limitata. Uno dei problemi maggiori consiste nel fatto che in gran parte nelle scuole queste prove non sono considerate all’interno dei percorsi didattici, utili a fornire elementi per migliorare le strategie e le metodologie di insegnamento, gli ambienti di apprendimento, grazie anche ad un benchmark regionale e nazionale. Vissute come esami (dagli studenti) o come etero-valutazione (dagli insegnanti) perdono senso.
Reinserite in un percorso di apprendimento, diventano un momento di verifica, significativo, uno di tanti momenti programmati, valido perché utile nello sviluppo delle competenze. Momento non isolato, e anzi integrato in un sistema di valutazione ampio e ricco, in cui le prove Invalsi possono dare il loro contributo. Contributo che, però, può essere dato se queste prove riescono a utilizzare, considerando le diverse fasce d’età e i diversi stili cognitivi, adeguate metafore di interazione.
Il passaggio al digitale consente questa rimodulazione complessiva delle prove, non solo per la modalità di somministrazione (qui il vantaggio è solo di accuratezza, rapidità, riduzione di impegno e costi), ma di modello profondo, transitando dai test all’ambito dell’esperienza. E in questo percorso, attraversando le “competenze globali”, esplorando e valutando le competenze digitali, necessarie per essere cittadini nel XXI secolo.
Per questa prospettiva, non si può che accogliere positivamente l’annuncio dell’abbandono delle prove Invalsi su carta, ma con perplessità la mancanza di una progettualità esplicita di trasformazione delle prove grazie al digitale. E, con delusione, il trascorrere inutile di un altro anno, contrassegnato (ma forse in un mondo lontano) dal Piano Nazionale Scuola Digitale.