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Rilanciamo l’istruzione tecnica, per il bene dell’industria italiana



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Le aziende industriali italiane soffrono una cronica mancanza di tecnici qualificati, con un disallineamento tra domanda e offerta che supera le 100.000 unità annue. La crisi dell’istruzione tecnica contribuisce a una perdita di competitività e crescita economica. È urgente un rilancio dell’istruzione tecnica per sostenere l’industria e l’occupazione qualificata

Pubblicato il 1 lug 2024

Valerio Ricciardelli

autore di "Ricostruire l'istruzione tecnica"



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Da tempo le nostre aziende industriali lamentano la mancanza di tecnici. Ne scriveva già il Presidente Romano Prodi nel 2016 affermando che il nostro Paese aveva bisogno di un forte rilancio dell’istruzione tecnica, perché eravamo di fronte a un vero e proprio dramma, dove i nostri istituti tecnici, che avevano formato nel passato la classe dirigente, dando un forte impulso al nostro sistema industriale, vivevano una profonda crisi. La situazione è progressivamente peggiorata.

Il disallineamento tra domanda e offerta di professioni tecniche

Secondo i dati di Unioncamere, il disallineamento tra la domanda di professioni tecniche e l’offerta supera ormai le 100.000 unità all’anno, una cifra preoccupante che si prevede anche per i prossimi 5 anni con possibili peggioramenti e il sistema scolastico attuale non è in grado di farvi fronte. La percentuale media di insoddisfazione nel reperire da parte delle aziende personale qualificato da inserire nei propri organici ha superato il 50% e il costo che ne consegue, un disvalore che ricade sulle stesse imprese per le difficoltà di recruiting, è stato stimato in 38 miliardi di euro. Gli effetti negativi sulle aziende e quindi sull’economia sono di vario genere, con il rischio di riposizionare alcuni settori industriali su attività a medio-basso valore aggiunto e a scarso contenuto di innovazione.

L’impatto della mancanza di tecnici sulle imprese italiane

La mancanza di tecnici causa alle nostre imprese difficoltà e impossibilità ad acquisire maggiori ordini e nuove commesse dal mercato, per cui ne deriva non solo una mancata crescita ma il rischio di diminuzione delle vendite attuali, con perdita di competitività e quello che ne consegue.

Nello stesso tempo si osserva una stagnazione, che dura da anni, della produttività e quindi un incremento del costo del lavoro per unità di prodotto, in controtendenza con quanto avviene con altri paesi evoluti. Ciò comporta difficoltà per le aziende nel fare innovazione, sviluppare nuovi prodotti e nuovi mercati, introdurre nuove strategie, una governance organizzativa adeguata e agire sulla conoscenza, osservando che quest’ultimi sono i tre assi dentro i quali si sviluppano le trasformazioni aziendali. Tutto questo comporta una ricaduta economica stimabile in alcuni punti mancanti di PIL, con effetti immediati sul nostro welfare, sia per la parte assistenziale che sul sistema previdenziale, che essendo a ripartizione, avrebbe invece bisogno non solo di un incremento continuo di lavoratori non precari, ma soprattutto di lavoratori con medie e alte conoscenze e quindi con medie e alte retribuzioni.

Il ruolo dell’industria nel panorama economico italiano

Al Paese serve indiscutibilmente l’industria, e in un mondo dove il manufacturing avanzato è il pilastro di tutte le economie evolute, va preservata la nostra manifattura che ancora resiste e continua a occupare la seconda posizione in Europa dopo la Germania, ma prestando grande attenzione alla dimensione delle nostre imprese, prevalentemente piccole e medie, che per le loro caratteristiche dimensionali sono spesso inserite nelle supply chain di altre aziende, dove i driver decisionali sono gruppi industriali rilevanti, per lo più stranieri.

Le preoccupazioni vanno estese anche al fenomeno di perdita di competitività dell’Europa, ed è la ragione per cui l’Italia, che è la seconda manifattura in Europa dopo la Germania, se ne deve occupare con urgenza, ma con una visione che vada oltre l’atteggiamento del business as usual.

La necessità di anticipare i tempi: l’urgenza di riformare l’istruzione tecnica

Per sostenere questa sfida occorre un’istruzione tecnica allineata e attenta a tutti i fattori di cambiamento della nostra economia industriale in un mercato globale.

Non è più sufficiente rincorrere il tempo, ma abbiamo l’urgenza di anticipare i tempi. Per dirla con un aforista famoso, “il tempo che ammazziamo ci sta ammazzando”. È la ragione per cui serve sollecitare l’”ultima chiamata” per una policy che ci consenta di mantenere la seconda posizione manifatturiera in Europa.

L’istruzione tecnica, che in un lontano passato ha formato la classe dirigente che ha fatto grande il Paese, deve diventare di nuovo un’immediata leva strategica per generare crescita economica sostenibile per le nostre imprese, crescita occupazionale non precaria per professioni con media e alta conoscenza, e può anche essere uno strumento di regolazione e modulazione dell’emigrazione economica, da usarsi nelle politiche di cooperazione internazionale allo sviluppo, necessarie ad aprire nuove opportunità di crescita all’economia del nostro Paese, a partire dall’export nei territori dove c’è ancora crescita demografica. Ma va completamente ricostruita.

L’importanza delle professioni tecniche per la crescita economica

Le professioni tecniche dell’area industriale e dei servizi associati saranno le professioni chiave per crescere con successo.

Occorre però uscire da un immaginario consolidato, esito di un cattivo orientamento scolastico e professionale, dove i mestieri tecnici sono stati considerati per lungo tempo professioni di serie B, originate da percorsi scolastici considerati anch’essi di serie B e contrapposti ai percorsi liceali considerati di serie A.

L’istruzione tecnica, in una economia evoluta, deve essere la punta di diamante del sistema scolastico e deve potersi confrontare con i migliori sistemi di istruzione tecnica al mondo. Allora, la nostra istruzione tecnica ha bisogno di un processo di reengineering globale, per tornare ad essere di nuovo al servizio del Paese. Perché questo si realizzi occorre un progetto ambizioso che superi la grave non consapevolezza del problema e allo stesso tempo coinvolga responsabilmente tutte le parti in gioco, operando oltre gli orizzonti e le certezze dentro cui ci si è mossi finora. Servirebbero, per innescare questo vitale cambiamento, gli Stati generali per il rilancio dell’Istruzione Tecnica.

Conclusioni

Per formare delle buone professioni tecniche occorre una offerta di istruzione tecnica di alto livello, integrata anche con percorsi scolastici extracurricolari on demand, che sia attrattiva non solo per gli studenti e loro famiglie, ma anche per tutti gli altri stakeholder, e finalmente poter raddoppiare in tempi brevi il numero degli iscritti all’istruzione tecnica secondaria e terziaria del settore industriale, tenendo anche in considerazione il calo demografico, che sarà una delle condizioni aggravanti del prossimo futuro.

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