A due anni dal lancio del Piano nazionale scuola digitale, la scuola si sta interrogando per capire se veramente il progetto abbia aperto la strada a una vera innovazione o se si sia ancora lontani da un percorso di cambiamento
Ma forse bisogna ricentrare il dibattito per comprendere i veri motivi per cui la Scuola fatica sulla strada verso il cambiamento, ripartendo dalla didattica, il solo linguaggio che i docenti utilizzano e comprendono. Si possono introdurre tecnologie avanzate, si può portare la fibra ottica in ogni istituto, avere aule digitali e laboratori attrezzatissimi, addestrare i docenti alle competenze digitali e alla programmazione.
Ma se non si comprende il senso profondo della necessità del cambiamento, cosa significhi “far acquisire competenze” o perché e come creare “una scuola che sappia dare ai ragazzi non solo le competenze digitali per trovarsi un lavoro, ma la cultura digitale per abitare in maniera sicura e responsabile questo spazio immateriale che è la rete e che alcuni chiamano infosfera” (citando un recente contributo di Riccardo Luna), se il docente non sa, al di là di aspetti puramente burocratici, come trasformare la programmazione in progettazione, come e cosa certificare, quali metodologie mettere in atto per rendere la propria didattica più attiva, come riconquistare l’attenzione dei propri ragazzi, cosa e come valutare…. Insomma, senza tutto questo, l’operazione rischia di diventare inutile.
La scuola avrà sempre due velocità, quella del pomeriggio o dell’extra-scuola in cui si svolgono progetti bellissimi grazie alla robotica, alle stampanti 3D, ai droni, e quella classica della mattina, ancorata sempre più alla tradizione, alle sole conoscenze, alla rincuorante e rassicurante lezione frontale. Una modalità didattica gradita non solo dai docenti, ma anche alle famiglie e soprattutto agli studenti che non amano confrontarsi, ascoltare, comunicare, mettersi in gioco, riflettere, autovalutarsi, leggere e rielaborare, analizzare e approfondire.
Diventa così chiaro perché poi ci si scandalizza di fronte alla proposta dell’autorizzazione dello smartphone in classe come proposto dalla ministra Fedeli, perché il BYOD non riesce a decollare: se il docente non comprende la valenza positiva dello strumento tecnologico, qualunque esso sia, e non modifica la propria didattica, il mobile device risulterà “un oggetto che distrae e che bisogna tenere spento nel cassetto o nello zaino”. Negando l’uso dello smartphone, questo rimarrà spento per tutta la lezione. Ma è proprio così? Ascoltando i nostri ragazzi ben altri sono gli atteggiamenti, ma perché si possa dare un giudizio che si basi su dati scientificamente validati è opportuno fare serie ricerche e su questo ImparaDigitale, insieme all’Università Bocconi, ha promosso uno studio approfondito per poter fornire risposte che vadano oltre a percezioni o a vaghe opinioni.
E’ dunque giunto il momento di fermarci, ora abbiamo bisogno di sistematizzare, di avere punti di riferimento, linee guida, step da seguire, soprattutto dobbiamo comprendere il contesto in cui ci si sta muovendo.
Riflettiamo, cerchiamo di capire a fondo il fenomeno, creiamo linee guida che indichino con chiarezza le criticità e le positività e l’impatto che il digitale ha nella vita dei nostri giovani, per potenziarne l’apprendimento soprattutto a fronte di preoccupanti fragilità.
Da queste considerazioni, dalla presa di coscienza dei grandi rischi verso cui sta andando la scuola italiana, ImparaDigitale è partita con progetti di ricerca.
Il primo che abbiamo deciso di portare avanti vuole studiare come la Realtà Virtuale possa sviluppare la creatività dei ragazzi e come questa possa diventare un valido strumento per descrivere il loro processo di apprendimento.
Siamo andati poi oltre e ci siamo rivolti a diverse Università – Bocconi, Università di Padova, Università di Oxford – e a associazioni specializzate quali il Cnis, ad aziende partner per tentare di comprendere tutti insieme come rimotivare e interessare di nuovo i nostri studenti alla loro vita scolastica.
Per raggiungere questi obiettivi abbiamo cercato di individuare i focus dei nostri studi. Saranno tenuti in grande considerazione da un punto di vista neuroscientifico, con il team della professoressa Daniela Lucangeli, alcuni aspetti ormai sempre più rilevanti nei nostri ragazzi: le difficoltà nella gestione della paura e delle emozioni, dell’ascolto, della riflessione, della comunicazione orale e diretta, dell’attesa e del tempo, nell’approccio all’informazione con senso critico e capacità di approfondimento.
Questo studio verrà svolto su almeno 500 bambini delle primarie, in scuole sparse su tutto il territorio nazionale per studiare:
- i processi cognitivi di base quali la memoria verbale e visuo-spaziale, a breve e lungo termine, funzioni esecutive, attenzione sostenuta, focalizzata, inibizione e shift attentivo, percezione visiva e uditiva;
- gli apprendimenti di base legati all’acquisizione delle abilità strumentali di: lettura, scrittura, calcolo e comprensione del testo scritto e orale;
- le variabili comportamentali quali: autoregolazione, motivazione, intelligenza emotiva e comportamenti prosociali.
L’obiettivo è analizzare non solo l’impatto della multimedialità nell’apprendimento, ma anche le differenze tra scrittura in digitale e sulla carta, l’impatto che l’immaterialità e la virtualità (compreso il videogioco) hanno sulla mente dei bambini.
Insieme all’Università Bocconi, oltre a studiare i comportamenti degli studenti nell’uso dello smartphone in classe analizzando dati aggregati di 30 scuole campione in Italia, si incontreranno i referenti delle metodologie didattiche maggiormente diffuse nella scuola italiana, per confrontare e condividere idee, impostazioni e modalità di lavoro, con l’obiettivo ultimo di fare sistema.
Questi incontri, oltre a portare alla nascita di gruppi di coordinamento nazionali, puntano a evidenziare gli aspetti, comuni e divergenti, delle varie metodologie sia nell’ottica pedagogica-didattica che in quella degli spazi, degli arredi, delle infrastrutture, delle tecnologie, puntando a un “modello scuola” scalabile, personalizzabile e modulare, che permetta al docente di svolgere l’attività più consona per rendere la propria lezione il più interattiva possibile.
A tirare le fila di questi studi, sintetizzando i risultati delle sperimentazioni in atto, saranno due ricercatori con borse di studio, che monitoreranno l’azione dei focus group e i risultati dei team di progetto.
La sintesi di questo lavoro punta ad offrire all’intera comunità scolastica italiana una proposta educativa e un modello didattico e di scuola che risulti efficace attraverso un nuovo paradigma di apprendimento/insegnamento, con una solida base scientifica di riferimento. I risultati verranno poi resi pubblici a tutta la comunità scolastica, consegnati sia al Miur che a palazzo Chigi ma allo stesso tempo saranno messi a punto modelli di scuole innovative dal punto di vista organizzativo-infrastrutturale da sottoporre all’attenzione della Struttura di coordinamento per l’attuazione di interventi di riqualificazione dell’edilizia scolastica, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Una risposta al disorientamento concreta, valida scientificamente, che parta dalle vere esigenze della base docente del mondo scuola.