Sono più di vent’anni che gli “innovatori” italiani provano a trovare un modo per fare sì che le relazioni didattiche e competenze di apprendimento digitali entrino nel lessico della scuola italiana e ora d’improvviso e per una causa esterna, drammatica e inaspettata tutto questo è diventato una necessità vitale.
E sono molte le “lezioni” che questa emergenza ci sta dando: dalla necessità di investire, ancora e massicciamente, sulla banda larga e ultra-larga e sulla dotazione di hardware anche delle famiglie a quella di lavorare sulla formazione digitale dei docenti, fino alla non più rinviabile dotazione alle scuole di una piattaforma per la gestione delle classi virtuali e di una progettazione didattica strutturata delle attività all’interno di ogni “campo di esperienza”.
Vediamo allora quali sono, alla nostra esperienza di questi mesi, le dimensioni metodologico-didattiche che ci permettiamo di indicare al Miur e agli Uffici Scolastici Regionali per la formazione degli insegnati alle “tecnologie didattiche” per l’avvio del prossimo anno.
Il “confinamento” di un tecnologo didattico
Sono ormai due mesi che l’emergenza Covid-19 flagella l’Italia e che tutti stiamo forzatamente provando ad abituarci a questa “nuova realtà”. Più pericolosa, insidiosa e spesso tragica. Credo che in tempi di crisi ed emergenza sia necessario misurare le parole e svolgere ordinatamente e in silenzio il proprio lavoro, senza troppe dichiarazioni o protagonismi. Il dibattito è meglio lasciarlo al “dopo”. Ho provato, in questi mesi, per quanto possibile e nei miei limiti, ad aiutare, i colleghi universitari meno avvezzi alla “didattica digitale” a trasformare forzatamente le loro prassi di insegnamento. Tutti, almeno all’Università Bicocca e presso il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione, lo hanno fatto in maniera appassionata e con grande spirito di servizio rivolto agli studenti e all’Università. Ho anche lavorato molto con i miei allievi, registrato e condotto on-line decine e decine di ore di lezioni e svolto live-chat con loro. Allo stesso modo ho provato a stare vicino agli insegnanti, coinvolti in progetti di ricerca o formazione comuni, nel “faticoso” compito di passare da una didattica “quasi solo analogica” ad una didattica “solo digitale”. Ma davvero non mi sarei, però mai augurato questa potesse mai essere l’unica didattica possibile. Ora visto che l’emergenza sta diventando la “norma” e lo sarà ancora per un numero oggi non stimabile di mesi vorrei condividere alcuni pensieri e riflessioni scaturite dal mio “confinamento professionale”.
La didattica “aumentata digitalmente”, questa sconosciuta
In questi mesi di didattica forzatamente “solo digitale” ho paradossalmente rafforzato la mia convinzione la didattica nel suo complesso o sarà “aumentata digitalmente” o non sarà, con buona pace dei “chierici” tecno-timidi (Calvani A., Trinchero, R., Dieci falsi miti e dici regole per insegnare bene, 2019; Gui M., Il digitale a scuola. Rivoluzione o abbaglio? 2019) e dei “chierici” tecno-catastrofisti Galli della Loggia, E., L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola, 2019, Casati, R., Contro il colonialismo digitale, 2013 ). Oggi è il tempo dei tecno-realisti!
Prima dello tsunami del Covid-19 la scuola era forse una tra le poche agenzie sociali dove i “nuovi bambini”, i “nativi digitali” (Ferri, I nuovi bambini, 2014), non trovavano o trovano raramente tecnologie digitali usate in maniera metodologicamente avvertita per espandere i loro campi di esperienza e apprendimento (forse nel 15% degli istituti scolastici). La scuola, infatti, non aveva ancora introdotto in maniera diffusa e consapevole, il digitale come strumento di potenziamento delle competenze di apprendimento e di cittadinanza dei propri allievi e studenti.
Si trattava di una dimensione della realtà – quella digitale – che è, in Italia, è sempre stata guardata con grande sospetto da dirigenti, accademici, e anche da molti insegnanti. In questo modo il sistema della formazione italiana si è trovato in ritardo di più di almeno dieci anni, dato stimato dall’OCSE – rispetto alle nazioni più sviluppate d’Europa (Ferri, P., 2015, Il gap digitale della scuola italiana). Ora i “nativi digitali” – si badi, lo sono divenuti in famiglia e nel contesto sociale allargato amicizie – hanno posto e pongono da anni un problema rilevante e irrisolto alla scuola italiana. Come integrare il loro modo di comunicare, apprendere e la loro cultura partecipativa tra pari che usa il digitale quotidianamente (lo studio di Henry Jenkins, 2009, è oramai un classico di undici anni fa) con le prassi burocratiche, le regole, i programmi, e gli spazi e gli orari di una scuola che è ancora nella sua maggioranza radicalmente novecentesca e gutemberghiana.
Questa era la questione aperta e irrisolta, prima dell’emergenza Covid 19, e cui ha tentato di dare un soluzione efficace la riforma della Buona Scuola con il Piano Nazionale Scuola digitale della fine del 2015, poi congelato dal governo giallo-verde.
Emergenza Covid-19: faro sulla povertà digitale della scuola italiana
Tutto è cambiato con lo “tsunami” del Covid 19. A causa del nuovo virus dal tra il 24 febbraio e il 5 marzo in tutta Italia tutte le Scuole e le Università sono state chiuse per ottenere quel distanziamento sociale che ad oggi è l’unica possibilità realistica di contenere la pandemia globale. A questo punto tutte le istituzioni formative italiane dai nidi alle Università si sono trovate di fronte a un paradosso che ha portato allo scoperto tutte le carenze di un sistema formativo ancora ancorato a logiche “novecentesche e molto sospettoso rispetto alla digital transformation. Per continuare ad esistere, per continuare a lavorare e a svolgere la loro fondamentale funzione educativa e sociale l’unico strumento è diventato il Web, quel sistema di comunicazione digitale che con tanto sospetto e a volte con decisa ostilità è stato guardato dalla maggioranza dei docenti, dei dirigenti, dei rettori e anche dei genitori italiani. Non ce lo saremmo mai augurato ma è accaduto proprio questo.
Per portare a compimento l’anno scolastico e per proseguire gli anni accademici ma soprattutto per mantenere una relazione di apprendimento ma anche sociale con gli studenti e i colleghi il digitale è diventato l’unico strumento ed è stato necessario digitalizzare ogni relazione formativa e organizzativa.
Da notare che molti colleghi ed esperti avevano sostenuto che questa “relazione” non poteva esistere nel mondo digitale ma solo in presenza.
Covid-19, digital divide e scuola: banda e hardware
Secondo i dati OCSE le famiglie italiane che hanno un personal computer sono poco più del 70% e come al solito difettiamo rispetto all’80% della Spagna, all’84% della Francia e al 92% di Finlandia e Germania.
fig.1 Access to computers from home
Quindi più di un terzo delle famiglie italiane – come ha ben evidenziato Valeria Piantoni su “La stampa” – cioè (33,8%) non ha personal computer o un tablet a casa, e solo una famiglia su cinque (22,2%) ha riferito di avere almeno un dispositivo per ciascun membro della famiglia, un gap digitale che si aggrava ancora maggiormente al Sud (40% delle famiglie senza personal computer). Senza contare che molte famiglie con più di un figlio non hanno nemmeno gli spazi dove i bambini o i ragazzi si possano connettere alla scuola per le lezioni on line. La prima durissima lezione che apprendiamo dell’emergenza è la necessità di investire, ancora e massicciamente, sulla banda larga e ultralarga e sulla dotazione di hardware, non solo delle scuole, ma soprattutto delle famiglie e dei bambini e ragazzi.
Il Miur sta provvedendo con saggezza, i primi 85 milioni di investimento straordinario all’inizio dell’emergenza sono stati dedicati dal Ministro Azzolina alle licenze per gli ambienti digitali di apprendimento (10 milioni), per i device per gli studenti meno abbienti (70 milioni) e 5 milioni per formazione degli insegnanti. Inoltre con il recente Piano Scuola del 5 maggio sono stati stanziati ben 430 milioni per la connessione veloce a 1 giga bit (con 100 Megabit garantiti) degli Istituti Comprensivi e per i voucher per l’acquisto di connettività e hardware, ovviamente in base a reddito ed Isee. Il Miur e la Azzolina si stanno davvero comportando meglio delle famiglie italiane, in primo luogo perché 515 milioni sono un investimento ingente: la metà di quelli investiti da Matteo Renzi per in il Piano Nazionale Scuola Digitale. In secondo luogo, perché la tipologia di stanziamento indica una strada chiara alle famiglie sulla necessità primaria di dotare le loro figlie e figli di strumenti digitali adeguati all’apprendimento e non solo di gadget elettronici.
Le famiglie, infatti, negli ultimi 20 anni, hanno sempre meno collaborato con la scuola ma spesso la hanno vista come una controparte da criticare sempre. Forse in preda di un abbaglio o alla rabbia “anti-istituzionale” hanno dimenticato e/o non compreso a sufficienza il ruolo centrale per il futuro dei loro figli di una scuola autorevole, ben infrastrutturata digitalmente, seria, ed innovativa. Un esempio: è chiaro che esistono famiglie disagiate e incapienti … ma ricordiamoci che esistono in Italia più 80.400.000 di SIM attive (Report Digital 2020, We are social, 2020) la stragrande maggioranza installate su smartphone. Forse anche i genitori – e non sono davvero pochi quelli che ne hanno le possibilità economiche – devono o dovrebbero preoccuparsi della necessità di acquistare ai propri figli in primo luogo un personal computer (notebook) per lo studio e l’”accesso” alla cittadinanza digitale consapevole e non considerare più come esigenza fondamentale dei loro figli uno smartphone che fa status. Smartphone di cui, tra l’altro i genitori e di conseguenza i figli fanno spesso un uso terribilmente “povero”. Senza contare che un notebook entry level ma efficiente costa (230-260 euro) forse la metà di uno smartphone di fascia media e permette ai bambini e ai ragazzi un’interazione molto più attiva e partecipata con i proprio compagni e insegnanti quando sono al di là dello schermo. La scuola è centrale, anche per far comprendere ai cittadini e alle famiglie quanto sia importante la “cittadinanza digitale” attiva e critica dei loro figli. Fino a quando questa consapevolezza non sarà largamente diffusa, come sostiene Gloria Tam e Diana El-Azar in un articolo per il World Economic Forum. “il divario nella qualità dell’istruzione e quindi l’uguaglianza socioeconomica sarà ulteriormente aggravato e i figli delle famiglie meno abbienti e digitalmente esperte sono vengono lasciati indietro”.
Quali ambienti digitali e metodologie didattiche usare
Il secondo fronte dove l’epidemia ha evidenziato profondi ritardi della scuola italiana è quello legato alla fatica e alla difficoltà che ho riconosciuto in molti maestri e insegnati delle scuole con cui ho lavorato in questi mesi nel traghettare una scuola “solo analogica” in istituzione per necessità e “improvvisamente” sono digitale. Una fatica reale, dura e spesso nascosta ma molto concreta. Tantissime ore passata a imparare l’utilizzo delle piattaforme per lo streaming e a provare ad inventare format didattici solo on-line per bimbi della prima e seconda elementare (qui una raccolta di esempio molto efficace ideata ad esempio dal Centro Internazionale Loris Malaguzzi – Reggio Children). Gli insegnati italiani, così come i loro colleghi accademici, contro ogni stereotipo, hanno lavoro moltissimo e con passione in questi mesi e hanno lavorato per colmare un digital divide metodologico e infrastrutturale di “sistema” che ovviamente non può essere imputato ai singoli insegnati o docenti – lo salvo le ovvie e non quantitativamente irrilevanti eccezioni.
Vediamo dove a nostro parere si tratta di intervenire con maggior urgenza per colmare questo gap metodologico didattico; anche in vista delle incertezze sull’avvio del prossimo in presenza o “a distanza”. Da questo punto di vista vogliamo segnalare un caveat e due grossi ambiti di competenze su cui andrebbero formati i docenti nel corso del periodo estivo.
“Didattica a Distanza” e relazione con gli studenti
Il termine e anche il suo acronimo ancor più discutibile – “Dad” – è un termine antico che non si utilizzava più da tempo nel dibattito sul Blended e sul digital learning e che sembra ripreso dai tempi della scuola Radio Elettra e del primo consorzio Nettuno della Rai, se non da quello della Distance School della fine dell’Ottocento. Lezioni che si svolgevano via posta, via audiocassetta, al meglio attraverso la televisione – ricordiamo l’ottimo Non è mai troppo tardi del Maestro Manzi. In effetti con Distance learning nel mondo anglosassone si intendono le prime forme di didattica erogate attraverso la posta “non elettronica” per le esigenze di località remote negli USA o nell’Australia della fine dell’Ottocento. La didattica digitale non può in alcun modo essere considerata alla stregua del Distance learning e men che meno una replica di quella frontale trasmissiva che ancora si pratica in molte scuole italiane. Questo termine poi tende a stabilire una grande “distanza” tra la didattica digitale e quella d’aula tradizionale e implicitamente relega la prima ad un ruolo “emergenziale”, datato e sostitutivo di quella tradizionale in presenza. Questo non può essere nella nostra moderna società informazionale. Per contro il Digital learning deve privilegiare la relazione e la partecipazione attiva degli studenti. Occorre come vedremo di seguito progettare con cura ambienti virtuale di apprendimento che attivino le competenze piuttosto che annoiare con video interminabili gli studenti.
Gli ambienti virtuali di apprendimento
In questi mesi molti insegnati si sono dovuti preoccupare di scegliere da soli e spesso senza averne le competenze molteplici strumenti digitali: ambienti di videoconferenza online (Zoom, Skype, Meet, Teams ecc.) oppure a utilizzare da zero e con grande fatica Google Drive, G-suite for education, o Google Classroom. Il problema, però, è prima di tutto metodologico-didattico. Va abbandonata sia la logica della classe virtuale come “repository” di compiti e di lezioni videoregistrate, sia quella della video-lezione in streaming sul modello della lezione tradizionale. Non è possibile catturare l’attenzione dei bambini o degli adolescenti per più ore (posto che lo sia in presenza) con una lezione frontale per più mediata, impoverendola del contatto umano, da uno schermo.
Ogni dirigente dovrebbe dotare la propria scuola di una piattaforma per la gestione delle classi virtuali (Google Classroom, Edmodo, Moodle ecc.), che permetta agli insegnati della scuola di allestire e progettare insieme con cura e molto in anticipo rispetto all’inizio dell’anno scolastico un doppio digitale della classe reale e la porzione di PTOF da dedicare a queste attività. Una classe digitale cioè che permetta all’insegnante, di integrare le differenti funzione proprie della didattica on-line o blended:
– forum;
– video-chat live;
– chat testuali;
– gruppi di lavoro;
– materiali di studio multimediali e testuali;
– linkografie;
– test e grigie di valutazione;
– infografiche
– tutorial video
– interazione scuola famiglia ecc.;
Si tratta cioè, a livello di Scuola, di permettere agli insegnati, possibilmente attraverso un’offerta omogenea, di variare consapevolmente il disegno della progettazione didattica (Laurillard, 2013) delle differenti componenti del PTOF e di dare enfasi alla relazione ed alla partecipazione attiva dello studente, proprio perché l’ambiente digitale è più freddo. Per altro la “barriera” dello schermo se ben utilizzata contribuisce a “smorzare” la distanza con gli studenti e permette di stabilire con loro una relazione più simmetrica. Un’opportunità che se ben utilizzata, in modo sorvegliato, contribuisce a superare la freddezza dell’ambiente on-line.
Ci permettiamo perciò di consigliare al Ministero e alle USR regionali, di attivare le procedure per finanziare la progettazione e la realizzazione o acquisire Mooc e di Corsi on-line, specifici e validati scientificamente, dedicati alla gestione consapevole degli ambienti virtuali di apprendimento.
La didattica come scienza della progettazione
L’adozione di un ambiente virtuale per l’apprendimento in ogni scuola e co-progettato dagli insegnanti, la creazione di una classe virtuale per ogni classe reale e la formazione degli insegnanti all’uso corretto e soprattutto non sporadico di questi strumenti è però solo una precondizione per l’avvio di una didattica davvero “aumentata” digitalmente.
Il punto più delicato è proprio quello della comprensione da parte degli insegnanti della necessità di una progettazione didattica strutturata delle attività all’interno di ogni “campo di esperienza” o di apprendimento come indicato dalle indicazioni nazionali per la scuola primaria o dai programmi degli altri ordini di scuola. Progettare un’attività cooperativa o un un’unità di apprendimento solo on-line o Blended, infatti, non è semplicemente una questione di conoscenze tecnologie o di applicazione delle tecnologie didattiche già esistenti. Si tratta di un lavoro di progettazione didattica “fine” e molto complesso (Laurillard, 2013, Ferri, Moriggi, 201). Per questo anche l’Unione europea ha disegnato il framework Digicomp.Edu che indica quali competenze digitali debba possedere un insegnate che lavori in una scuola del XXI secolo.
Vediamo quali sono le dimensioni metodologico-didattiche per la formazione degli insegnati alle “tecnologie didattiche” per l’avvio del prossimo anno.
- Temi e tempi. Lavorando on-line o in forma Blended si tratta di chiarire bene e scontornare in maniera chiara l’oggetto di apprendimento e i tempi di lavoro dell’argomento che si desidera trattare. Questo per permettere agli studenti di comprendere bene, anche a distanza l’organizzazione e gli obbiettivi dell’apprendimento loro richiesto.
- Il ritmo e gli strumenti. E’ necessario definire la cadenza, potremmo dire il “ritmo” delle attività alternando lezioni live, mai più lunghe di un 30/45 minuti (se di tratta di video caricati online è buona norma non eccedere per ciascun video i 5/10 minuti a seconda anche del tipo scuola) a momenti di studio individuale e a lavori di gruppo o laboratori avviati in forma live e successivamente gestiti e monitorati attraverso i forum e le chat sincrone. Una particolare cura va messa perciò nella progettazione prima dell’avvio delle tipologie di interazione tra docenti e studenti più adatte.
- Le tipologie di relazione online. Anche nel caso delle metodologie da adottare è chiaro che può essere adottato a secondo dell’argomento o della singola unità di apprendimento un approccio più asimmetrico cioè più guidato dalle interazioni live con il decente o un approccio più cooperativo e simmetrico che lasci maggior spazio alle attività svolte autonomamente dallo studente e lascia più spazio al docente per la dimensione del coaching. In ogni caso è necessario pensare la “relazione di apprendimento” dando un ruolo il più possibile attivo allo studente attraverso strumenti quali la scrittura in collaborazione, l’ascolto partecipato di fiabe e la loro discussione, la condivisione ragionata di materiali con i pari o lo svolgimento di attività esperienziali/laboratoriali di gruppo.
- La necessità del feedback. È fondamentale in tutte le attività on-line, ma anche in quelle Blended che l’insegnate o il gruppo di insegnati dia un feedback constante ai bimbi agli studenti e nel caso dei più piccoli anche alle famiglie o al genitore di riferimento. La comunicazione on-line è molto più ambigua di quella in presenza e si presta ad un gran numero di fraintendimento, come dimostrano le difficoltà avute da moltissimi insegnati in questi due mesi nella relazione con i genitori dei loro allievi. Per questo è necessario cadenzare in maniera fissa e rispettare i tempi del feedback che si fornisce agli studenti e quello della comunicazione che è rivolta alle famiglie.
- La valutazione in un ambiente on-line può essere arricchita dal tracciamento delle attività degli studenti nei forum, nei gruppi, dall’analisi dei lavori postati on line e dalle sue interazioni con i pari e con l’insegnate e dal feedback fornito dalle attività che vengono proposte on line (test, sondaggi ecc.). Per questo è certamente da privilegiarsi, in modalità solo online o blended una valutazione di processo rispetto ad una meramente sommativa.
Conclusioni
Alla fine di questo non “breve” né “agevolissimo” percorso di riflessione e dopo avere descritto la mia esperienza sulla didattica “solo on-line”, ci auguriamo che l’emergenza in corso possa non perdurare troppo nel tempo e che si possano presto utilizzare i tempi verbali al passato per descriverla. Ci auguriamo anche, però, che la lezione così duramente appresa da tutti noi possa essere almeno un’indicazione di speranza per tutti gli insegnati che hanno cominciato in questo modo pur traumatico ad affacciarsi all’universo della didattica digitalmente aumentata. Il Miur e la ministra Azzolina stanno sostenendo da vicino gli insegnati in questo sforzo di capitalizzare la lezione appresa: speriamo che almeno questo ci resti della ombra cupa che stiamo attraversando.