Il nuovo anno scolastico si era aperto all’insegna del digitale. Nel suo saluto di apertura, il 19 Settembre, la Ministra dell’istruzione Fedeli aveva sottolineato l’importanza dell’innovazione metodologica e tecnologica. “Stiamo lavorando per accelerare l’attuazione del Piano Nazionale Scuola Digitale, per darvi sempre di più le competenze che vi servono per guardare al futuro”, affermava Fedeli. Vero, dal momento che il gap di quindici anni, segnalato dall’OCSE nel 2013 e ribadito nel report 2017 rispetto ai paesi più avanzati in tema di digitalizzazione è ancora molto presente. Anche gli ultimi dati che abbiamo a disposizione grazie all’inchiesta voluta dall’Agenzia Giornalistica Italiana sul tema dell’attuazione del Piano Nazionale Scuola digitale e forniti dall’Osservatorio Nazionale Scuola digitale (Agi del Novembre 2017, inchiesta a cura di Riccardo Luna) segnalano che la situazione sta lentamente migliorando ma la strada da percorre è ancora molto lunga (si rammenta che la raccolta dati, ha in valore indicativo si basa sulle risposte volontarie delle scuole e quindi non ha il valore statistico di un campione rappresentativo). Basti pensare che hanno risposto al questionario dell’Osservatorio meno di un terzo delle scuole sul territorio italiano. Sono stati, infatti, coinvolti nella consultazione in totale 27.458 plessi (escluse quindi le scuole dell’infanzia), di cui 22.200 del I ciclo e 5258 del II ciclo e hanno risposto solo 8088 plessi del I ciclo e 891 del II ciclo. Davvero poche e probabilmente quelle più attive. Più in generale, anche a partire da questi dati, dobbiamo, con rammarico, constatare come l’attuazione del Piano Nazionale Scuola Digitale del 2015 comincia a dare i sui primi frutti ma che questi sono acerbi e maturano con grandissima lentezza.
La situazione della banda
La banda larga è, a oggi, tutt’altro che un diritto di cittadinanza. Solo il 13% dei plessi scolastici, del nostro paese secondo i dati dell’Osservatorio del Miur, ha una connessione di questo tipo, con enormi differenze tra regione e regione. In Emilia-Romagna sono raggiunti dalla fibra oltre il 35% delle istituzione scolastiche, seguono, Toscana e la Lombardia, con il 17%, e poi Puglia, Lazio, Friuli Venezia Giulia e Veneto con il 12%, Abruzzo e Sardegna, con percentuali appena sopra l’1% e il Molise, dove la fibra pare non essere mai giunta. Ovviamente l’ADSL non basta per “aumentare digitalmente” la scuola, il che impedisce una vera diffusione delle metodologie attive e laboratoriali volute da PNSD, così come dei contenuti digitali dal momento che questi presuppongono una connessione sempre attiva in tutte le classi cosa praticamente impossibile con un ADSL. Da notare che la connettività e il suo costo vengono lasciati alla contrattazione dei dirigenti con gli enti territoriali e le spese costi per la banda ricadono spesso sulla singola scuola, non proprio la situazione migliore dal momento che internet a scuola dovrebbe essere un diritto per tutti i bambini e gli allievi.
Gli Animatori digitali
Tutti gli istituti italiani hanno nominato un Animatore digitale, ma si è avviato e non completato, solo lo stanziamento dei 1000 euro, per l’anno 2016, che doveva finanziare le iniziative degli Animatori per la formazione degli insegnanti, poco si sa del 2017…. Non ci sono, poi, dati o ricerche sull’ attività degli animatori digitali, e il rischio, senza monitoraggio, e che gli animatori digitali, su cui poggia, quasi per intero (insieme ai dirigenti) l’attuazione del PNSD, si demotivino, senza incentivi e controllo, o agiscano in maniera non coordinata ed episodica, senza fare sistema. Ovviamente al netto di alcune virtuose eccezioni.
La didattica: nessun dato ufficiale
Ma la connessione delle scuole è utilizzata nella didattica? O serve solo per scopi amministrativi e di marketing scolastico. Ad esempio i circa ottomila plessi che hanno risposto al questionario dell’Osservatorio nazione scuola digitale, dichiarano quasi tutto di avere una connessione “dedicata” per le attività didattiche, ma poi le aule realmente connesse e cablate si attestano intorno al 60%. Non sappiamo nemmeno in quante di queste classi si svolga realmente una didattica “aumentata digitalmente” e non sappiamo quasi niente, di come, a livello, il digitale entri nei due terzi delle scuole che non hanno risposto al questionario e nelle scuole dell’infanzia. Possiamo supporre, un po’ maliziosamente che non ci entri affatto. In queste condizioni possiamo affermare, e non è certo un dato di merito, che non abbiamo, né il Ministero ha, dati affidabili sull’osservanza delle norme contenute nel Piano Nazionale Scuola Digitale e che l’Osservatorio Nazionale Scuola digitale non funziona, eufemisticamente, a pino regime….. Così se il PNSD, meritoriamente promuove, l’adozione di un didattica laboratoriale, attiva e non più nozionistica (Ferri, 2015, Agenda Digitale), abbiamo davvero poche evidenze su quale sia la situazione reale nella scuola.
Gli ambienti virtuali di apprendimento e il registro elettronico
Sappiamo, però, che le metodologie didattiche che fanno da sostegno epistemologico al PNSD non possono essere adottate se non vengono utilizzati, a regime e non in forma sperimentale, gli ambienti digitali per l’apprendimento (ad esempio Moodle o Google Classroom) ma anche in questo caso, non solo questo non è un obbligo di legge, ma non abbiamo idea di quante scuole abbiamo cominciato a lavorare con piattaforme digitali di condivisione dei contenuti e delle pratiche didattiche (Ferri, 2013, Agenda Digitale). Abbiamo, invece qualche dato, e poco confortante sull’applicazione delle norme del 2012 (sic!) relative all’adozione in tutte le scuole italiane del registro elettronico. I dati forniti dal Miur, ad AGI dicono che solo meno (40%) della metà delle scuole italiane ha attivato, realmente questo strumento e che circa il 60% comunicano, ancora, con le famiglie attraverso il cartaceo. Prima, anche qui, nell’innovazione come spesso accade l’Emilia-Romagna, con il 57% degli istituti, seguono la Puglia, Liguria, Basilicata e Campania. Al penultimo posto il Lazio e all’ultimo la Sardegna.
Il coding e il pensiero computazionale
Anche nel caso del Coding e del “pensiero computazione” la realtà, almeno quella rappresentata dalla ricerca dell’Agenzia Giornalistica Italiana, è molto differente rispetto alle intenzioni e alla “lettera” del PNSD. Secondo le dichiarazioni dell’allora Ministro Giannini dovevano essere previste “60 ore l’anno di coding” per ogni studente di tutte le scuole. Ora, anche quest’obiettivo si è rilevato irrealistico, le regioni meglio posizionate nell’avviare queste attività sono Abruzzo Puglia ed e l’Emilia, dove più del 40% degli istituti è attivo su questo fronte, seguono la Campania (35%) e la Basilicata (34%). In fondo alla scala Lazio, Piemonte, Friuli e Sardegna, con un istituto su 4 o addirittura su 5 che dichiara di fare attività di questo tipo. E in ogni caso è difficile verificare a livello qualitativo e quantitativo lo stato dell’arte anche in questo settore.
Conclusioni: attuare davvero e per intero il Piano Nazionale scuola digitale!
Bene ha fatto il ministro Fedeli, a porre l’enfasi sulla necessaria e ineludibile trasformazione digitale della scuola perché in assenza di un forte impulso del Ministero, ma anche di doverosi e improrogabili finanziamenti – e non ce ne sono molti nella legge di stabilità – la “spinta propulsiva” del PNSD rischia di spegnersi. Inoltre è necessario e improrogabile attivarsi sul fronte del “monitoraggio” e della verifica dei risultati senza un istanza di controllo centrale (preferirei) o regionale l’attuazione del Piano è lasciata alla buona volontà dei singoli dirigenti. Inoltre il Piano, soprattutto ora, che il quadro politico e istituzionale verrà di nuovo e imprevedibilmente rimescolato dalle elezioni di primavera rischia di essere bloccato almeno per tutto il 2018, come si sa in Italia l’insediamento di un nuovo governo rallenta i processi decisionali. Per ora, quindi, il cambiamento, non certo la “rivoluzione” digitale si è avviata nella scuola, grazie al PNSD e alcune regioni, in particolare l’Emilia-Romagna, la Puglia e la Campania, si muovono più velocemente, altre arrancano (Sardegna, Molise e Lazio) mentre le regioni del Nord non eccellono e stanno nella media. Quello che è chiaro è che in molte regioni, in tutte le regioni potremmo dire, esistono casi di eccellenza, ma in generale la scuola italiana nel suo complesso si mostra molto “resistente” al cambiamento metodologico e didattico e non fa sistema. L’Italia resta tra gli ultimi a livello europeo per ciò che riguarda le competenze digitali. Che dire speriamo che il PNSD non si trasformi in una delle tante occasioni perdute.